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Channel: Storie di pascolo vagante
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Con il caldo arriva anche…

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Da quant’è che invocavamo un po’ di caldo? Personalmente non ne sentivo quella gran necessità, mi piace entrare nel letto con tante coperte e sprofondarci dentro, cosa che non puoi fare con l’afa! Però su in alpe abbiamo bisogno di un po’ di calore che sciolga le valanghe nei canaloni, che faccia crescere l’erba. Se sarà caldo “normale” e non torrido, saremo tutti felici!

Ma cosa succede quando in pianura arriva di colpo il caldo umido e l’afa? Succede che, specialmente in quelle vallate proprio a ridosso della piana, le prime montagne che si innalzano sopra alle “terre calde”, arriva la nebbia. E la nebbia non è amica dei pastori. Uno dei motivi per cui si attaccano tante campanelle a pecore e capre è proprio quello di riuscire ad individuare sia gli animali ritardatari, sia eventuali gruppi che si sono allontanati dal grosso del gregge, ma anche intuire i movimenti, mentre tu sei lì che a malapena scorgi poche bestie intorno a te.

Forse da questa immagine capite meglio cosa io intenda, anche se comunque nei momenti di nebbia più fitta non riesco nemmeno a scattarle, le foto. Solo il pastore più esperto se la cava bene anche in giornate di nebbia, ma è fondamentale conoscere pietra per pietra la montagna, individuare ogni campana, saper prevedere i movimenti degli animali, intuire dove e quali possono essere i rischi.

Per fortuna che, nelle giornate meno sfortunate, al pomeriggio o alla sera la nebbia si alza e così c’è modo di vedere se qualche animale si è allontanato, dov’è andato, se si sta avviando sulla strada del ritorno o se è necessario salire per andare a riprenderlo. Solitamente il più delle volte succede così, anche perchè non ti fidi solo della tua vista e vai a fare un giro di controllo, per vedere che non resti indietro un capretto, un agnello addormentato, una capra sotto una sporgenza di roccia.

Fin quando pascoli in basso la nebbia non ti impensierisce più di tanto, perchè è lassù sulle punte, scende fin verso i 1800-1700 metri, ma ormai giù non c’è più niente da mangiare e bisogna andare in alto, dove la neve sta sciogliendo e spunta l’erba nuova. E così ci saranno tanti giorni da passare nella nebbia, specialmente in certe vallate.

Per i giorni a venire le previsioni sembrano confermare questa tendenza, con qualche temporale qua e là. Ormai sempre più animali sono in quota, le transumanze si susseguono, tra poco durante ogni gita in montagna gli escursionisti incontreranno vita sugli alpeggi. Spero che sia per tutti una buona stagione, mi auguro vi sia reciproco rispetto e comprensione delle esigenze di tutti. Ci si vede “su di là”, tempo per andare io a trovare gli amici ne ho sempre poco, ma fa piacere quando qualcuno viene a fare un giro e passa per un saluto. Sapete dove trovarmi…



Fine della primavera

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Tecnicamente non era ancora estate. Il calendario dice che quella inizia oggi, il 21 giugno, con il solstizio. Però nei giorni scorsi era arrivato, all’improvviso, il caldo, che tanto si era fatto attendere, soprattutto in quota. In pianura non si stava male, con il fresco, però molti settori dell’agricoltura piangevano su di una stagione di scarsi raccolti frutticoli, di fieno marcito nei prati. In montagna tanti andavano a vedere i pascoli per la salita in alpe, poi tornava indietro dicendo che c’era ancora da aspettare.

Quelli che invece erano già su, come avete potuto vedere su queste pagine, hanno attraversato svariate giornate difficili, caratterizzate spesso da grandine e pure neve, oltre alla pioggia battente. Adesso però è stagione di nebbia e di temporali. A mano a mano che la pianura si scalda, qui le nebbie si appiccicano alle montagne.

Credo che, per un pastore, questi siano i momenti più difficili. Solo il più esperto riesce a stare tranquillo in giornate del genere… oppure il più incosciente!  Non che ci sia un vero pericolo, gli animali pascolano come sempre, solo che, con la nebbia, tendono maggiormente a dividersi. Le campane al collo sono fondamentali, in queste condizioni.

Quando la nebbia va e viene, bene o male riesci a raccapezzarti e, tra uno sprazzo e l’altro, ti dai da fare per individuare gruppi e gruppetti, ma soprattutto singoli animali allontanatisi dal gregge o rimasti attardati. Lo sapete bene qual è il pericolo… Il rischio è rappresentato dal lupo. Il predatore può attaccare sia in pieno giorno, mentre si è al pascolo, sia di notte, se qualche animale non rientra al recinto. Ecco perchè il pastore deve preoccuparsi di ricondurle tutte al recinto, la sera.

Bisognerebbe tenere gli animali tutti uniti, potrebbe argomentare qualcuno. Il guaio è che non è sempre possibile. Non lo è su montagne del genere, con ripidi pendii, rocce, cespugli. Adesso il recinto è ancora a quota abbastanza bassa, quindi ogni giorno si cammina per arrivare ai pascoli non ancora percorsi dagli animali. C’è il giorno in cui il gregge si mette a pascolare subito, appena uscito dalla rete, e quello in cui invece infila veloce il sentiero e sale, sale… Non tutti però riescono a tenere il passo delle prime, così c’è sempre qualche ritardatario che resta indietro, addirittura che si ferma a pascolare più in basso.

Quest’anno la fioritura dei rododendri è al suo massimo splendore soltanto ora, mentre nelle passate stagioni ci aveva accolti durante la transumanza di salita all’alpe. Macchie rosa intenso colorano la montagna, segni evidenti di quanto la copertura anche di questi cespugli sia estesa. Oltre ai rododendri, sono però gli ontani a farla da padrone, una fitta “foresta” dentro la quale spesso scompaiono gli animali, andando a pascolare l’erba verde che cresce lì in mezzo. Capre, ma anche pecore e agnelli. La speranza è sempre che tutti escano di lì e si accodino al gregge.

E’ vero che la pecora è un animale gregario e tende a stare in gruppo, ma anche per loro non tutte le giornate sono uguali, così magari c’è quella che decide di fermarsi a pascolare più a lungo delle altre, c’è quella zoppa che fatica a seguire il gregge, c’è l’agnello, sazio dopo la poppata, che si addormenta in una conchetta erbosa. Con la nebbia poi gli animali hanno maggiore tendenza a dividersi, non vedendosi gli uni con gli altri.

Il caldo della pianura arriva anche quassù, si sta in maglietta nonostante la nebbia o il cielo coperto. I cani fanno frequenti bagni nei ruscelli e qualcuno addirittura cerca refrigerio sui rimasugli dei nevai. Il sentiero, che fino a poco tempo fa era transitabile a fatica, ora è ormai sgombro, la neve sta sciogliendo velocemente.

Giorno dopo giorno si torna sui propri passi. Un giorno gli animali si fermano più in basso, un altro “scappano” verso l’alto approfittando della copertura della nebbia. Solitamente il pastore le lascia andare, le guida solo in alcuni punti, perchè non vadano in posti pericolosi in giornate di maltempo, perchè finiscano di pascolare in basso, perchè non corrano troppo verso le alte quote, dove l’erba è ancora tenera e bassa.

In alto c’è ancora neve, anche se sempre meno, giorno dopo giorno. Questa si protende verso il basso in lunghi canaloni di valanga, maggiormente pericolosi quando si assottigliano e minacciano di crollare sotto il peso delle pecore. Di sicuro chi è giù in pianura a boccheggiare invidia queste “fresche” immagini!

Al mattino, dopo le varie attività nel recinto, quando si inizia a salire con gli zaini in spalla però si suda a profusione anche qui. Mentre le pecore iniziano ad allungare la loro fila, ti chiedi se è il caso di legare sullo zaino anche l’ombrello. Sarà “solo nebbia” come nei giorni scorsi, o il caldo sfogherà in qualche temporale?

Verso l’ora di pranzo ci sarà la risposta. Gli ultimi bocconi vengono inghiottiti in fretta, la nebbia si trasforma in qualcosa di diverso, l’aria si fa più densa, si ode un brontolio lontano. C’è quell’immobilità che precede la burrasca. Persino gli animali avvertono quelle particolari condizioni e, a differenza del giorno prima, non puntano verso l’alto, ma si fermano. Per i lunghi attimi di attesa restano quasi immobili, senza nemmeno pascolare. Poi i tuoni si fanno più vicini ed inizia a cadere qualche gocciolone pesante.

Non tutti abbiamo l’ombrello e comunque non c’è da correre dietro al gregge, così precipitosamente scendiamo di alcune decine di metri, a raggiungere un’ampia balma dove si può stare al riparo, uomini e cani, addirittura sdraiandosi o sedendosi, a scelta. Seguiranno oltre due ore di lampi e tuoni quasi ininterrotti, con pochissima pioggia. Il gregge riprenderà a pascolare, ma i cani, terrorizzati, non se ne andranno da vicino a noi, soprattutto quelli da guardiania, che poco amano i temporali. Poi i tuoni si allontaneranno e, su verso le creste, emergerà qualche raggio di sole.

Quella sera il rientro al recinto non sarà problematico. L’aria è più fresca, la nebbia si è dissolta, la serata sembra avviarsi verso un bel tramonto. Però in montagna, soprattutto a questa stagione, il meteo evolve con grande rapidità, così ci sarà ancora un veloce temporale mentre i pastori stanno finendo i lavori nel recinto ed un altro, più intenso, con chicchi di grandine grossi come ceci, quando finalmente si consumerà la cena seduti a tavola.


Monotonia d’alpe

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C’è chi pensa che trascorrere una stagione in alpe sia sinonimo di quotidiane gite in montagna. Certo, in montagna ci sei, ma di gite non se ne parla… Ogni giorno i lavori si susseguono con una cadenza quasi monotona, anche se spesso c’è più di un imprevisto a turbare il solito corso delle cose. Imprevisti legati al lavoro, che comportano attività aggiuntive ed orari più prolungati nella notte…

Ultimamente una delle costanti era la nebbia. Al risveglio, il cielo era sereno, ma già durante la colazione iniziava ad apparire qualche nube. Per l’ora di aprire il recinto, il cielo si era già coperto, ma spesso permaneva un certo calore, mischiato all’umidità.

Anche il cammino da percorrere, giorno dopo giorno, è sempre lo stesso. Le pecore partono prima, una volta aperte le reti del recinto si incamminano quasi a piacimento verso il pascolo. Il pastore le indirizza appena, poi loro vanno e tocca agli uomini raggiungerle per frenare la salita verso l’alto, a cercare erba sempre più verde, sempre più tenera. In alto dove la nebbia già si è posizionata…

Anche la settimana scorsa vi raccontavo di nebbia che andava e veniva, “belle” giornate in cui si è fortunati ad avere qualche ora in cui guardare lontano, o almeno riuscire a vedere tutte le pecore la sera, quando è ora di rientrare al recinto. Effettivamente non c’è molto altro da raccontare, la routine quotidiana è fatta di queste piccole cose, al massimo ci può essere qualche goccia di pioggia, un temporale da qualche parte, un po’ più caldo, un po’ più freddo.

Tutte le mattine ci si interroga sulla necessità o meno di portarsi al seguito l’ombrello, a spalle o legato sullo zaino, visto che da giorni ci si fa spaventare dalle nubi, senza però poi avere delle piogge. Il giorno che lo si lascia alla baita, il cielo si scurisce e inizia a gocciolare, ma per fortuna non sarà una vera pioggia e nemmeno un temporale.

Nebbia, ancora nebbia. Nonostante faccia meno caldo dei giorni precedenti, continua ad incombere la nebbia. Gli animali salgono lungo un sentiero scosceso, i pastori si affrettano su quello “ufficiale”, per precederli nel punto dove occorre indirizzarli, affinché non salgano troppo in alto, laddove invece pascoleranno nelle settimane successive.

Quella sarà un lunga giornata di nebbia durante la quale, contrariamente al solito, l’umidità densa non se ne andrà nemmeno dopo il tramonto. Ancora più difficile, per i pastori, localizzare e far rientrare tutti gli animali al recinto la sera.

Solo nel tardo pomeriggio c’è un breve, illusorio, sprazzo di visibilità. Bisogna approfittarne per guardarsi intorno il più possibile, aguzzando le orecchie, per aiutarsi con il suono delle campane, oltre che con gli occhi.

Infatti c’era un gruppetto di animali saliti troppo in su, di cui uno soltanto con la campana. Il pastore “prende nota” dei componenti di questo gregge, dovrà aggiungere qualche campana in più, per non correre troppi rischi. Intanto, con l’aiuto dei cani, fa scendere gli animali verso il basso, ormai è ora di “ritirarsi” e la discesa di tutti al recinto necessiterà quasi due ore. Gli animali scendono piano, pascolando; cammineranno in fila, più veloci, solo nell’ultimo tratto, quello che percorrono ogni giorno, mattino e sera.

Poi il tempo all’improvviso cambia con delle giornate limpide, fresche, dal cielo terso e dal vento più o meno forte. Sembra di rivivere, si respira in un altro modo, c’è anche maggiore entusiasmo nell’affrontare il solito sentiero che ti porta su, come ogni giorno…


Capretto al forno con polenta

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Estate, caldo, eppure quello nel titolo è un piatto decisamente da inverno! Io però ve lo propongo oggi, perché in alpe l’abbiamo gustato nei giorni scorsi, quando le temperature si sono nuovamente abbassate (e non poco!). C’erano ospiti a cena (presto gregge e pastori si sposteranno più in alto, per gli amici e parenti sarà più difficile riuscire ad andare in visita) e così si è scelto di mangiare carne di capretto. Pasqua quest’anno è stata presto, i capretti erano nati da poco ed in seguito il macellaio non li ha più ritirati. Solo che il pastore non può tenere così tanti capretti maschi… E quindi, invece di andare a comprare carne, si utilizza quella che c’è a portata di mano, per organizzare la cena.

Carne di capretto tagliata a pezzi grossolani

Timo serpillo

Rosmarino

Olio evo

Burro

Sale

Cipolla

Farina da polenta

Oliate una teglia capiente, disponetevi i pezzi di carne affiancata, tritate grossolanamente la cipolla, spezzettate a mano gli aromi e cospargetene la carne. Salate con sale grosso e cospargete con fiocchetti di burro. Coprite la teglia con un foglio di alluminio e mettete in forno a 180-200° (io ho usato il vecchio putagè in alpe, quindi non posso dirvi temperature e tempi esatti).

Dopo almeno un’ora togliete la teglia dal forno, rigirate i pezzi di carne ed infornate nuovamente, senza copertura. Il vostro capretto sarà cotto quando la carne sarà ben colorita, con una crosticina non troppo secca. La carne dovrà staccarsi dall’osso facilmente. Se l’intingolo consuma troppo, irrorate con un po’ di brodo di verdura o anche solo acqua tiepida durante la cottura. Al momento di servire, sul fondo della teglia ci deve essere un sughetto abbastanza abbondante.

Ottima, per accompagnare il tutto, della buona polenta morbida. Io ho usato quella di pignoletto rosso della Cascina dei Conti di Osasco.


Non pensavo di trovare un ingorgo quassù!

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Scorrono lenti e frenetici insieme i giorni in alpeggio. Per qualcuno la stagione d’alpe è una transumanza, una sede, un periodo da trascorrere su, con gli animali che pascolano ora una zona a quota minore, ora maggiore, fino al ritorno in pianura. Per altri invece le cose non sono così semplici e lineari.

Dopo una breve parentesi, il caldo si era nuovamente ritirato e il sole non era nemmeno fastidioso. Se poi le nuvole coprivano il cielo, era necessario aggiungere una maglia. Non se ne lamentavano gli animali, che invece soffrono e non poco quando le giornate sono afose o torride.

Tutto sommato quindi non ci si lamentava affatto, visto che così c’era modo di pascolare una seconda volta quei pascoli che già avevano sfamato il gregge ad inizio stagione, ormai più di un mese e mezzo prima. Con il caldo sarebbe stato difficile, gli animali avrebbero cercato l’ombra e avrebbero patito l’assalto delle mosche.

Poi viene il giorno della partenza, dello spostamento. In questo caso si cambia addirittura vallata, per cercare un luogo dove non solo gli animali possano brucare buona erba, ma soprattutto i guardiani del gregge abbiano una struttura degna di questo nome dove ricoverarsi la sera, cosa ahimè non scontata ancora oggi, nel XXI secolo.

Si attraversano i pascoli magri dove nelle settimane scorse il gregge già ha brucato quel che c’era di più appetibile. Gli animali camminano in una lunga fila sul sentiero, sanno che oggi non sono lì per pascolare, ma per andare altrove. Il cielo resta velato, la speranza è di non incontrare nebbia o temporali durante il cammino, per il resto la mancanza di sole è addirittura gradita.

Sul colle c’è un’aria quasi fredda, a contatto delle schiene sudate. Più che una tappa, il tempo necessario per far sì che il gruppo si ricompatti e si possa riprendere il cammino senza che nessun animale resti troppo attardato. Il tragitto è ancora lungo…

Si percorrono sentieri quasi soffocati dalla vegetazione, antiche vie di transito che oggi restano aperte quasi solo più grazie al periodico passaggio di uomini ed animali. In questa transumanza infatti il pastore era “armato” di roncola per tagliare i rami che maggiormente invadevano la via.

Un altro colle, un altro vallone, una scorciatoia seguendo le piste dei cervi per evitare un lungo giro sui sentieri ufficiali, e di colpo il suono di altre campane, di altre transumanze. Poco dopo ci si ritrova incolonnati tra una mandria di vacche con tanto di rudun e, più indietro, un altro gregge di pecore, di piccole dimensioni.

Rideranno, coloro che quotidianamente affrontano il traffico cittadino, ma comunque rimanere incolonnati con un gregge su di un sentiero di montagna dove passeranno poche decine di escursionisti in tutta l’estate è un avvenimento abbastanza inconsueto. La mandria, che già seguiva un gregge di capre transitate precedentemente, poi proseguirà il suo cammino, mentre le pecore devieranno per altre piste frequentate soprattutto dagli animali selvatici.

Nonostante la data, anche a quote non elevate, c’è ancora da attraversare un nevaio che scende nel canalone. In molti alpeggi gli animali stanno salendo solo in questi giorni, la stagione è tardiva, la neve scioglie a poco a poco e l’erba inizia appena appena ad essere quella “giusta” per il pascolo.

Anche i rododendri sono nel momento della loro massima fioritura, colorando i versanti a chiazze dalle tonalità vivaci. Il gregge ormai si sta affacciando sull’altra valle, la transumanza è quasi conclusa, almeno per quel giorno. Bisognerà però ancora attendere qualche tempo per salire ancora a quote maggiori, dove finalmente ci si fermerà per qualche mese.

Il tempo fino ad ora è stato clemente, ma verso sera in cielo si accumulano densi nuvoloni che si fanno via via più scuri più a ridosso delle montagne. Si sentirà anche qualche colpo di tuono e cadrà un po’ di pioggia, ma è solo un classico temporale estivo. D’altra parte c’è da augurarsi che ogni tanto un po’ di pioggia cada, per scongiurare la siccità che aveva drammaticamente colpito gli alpeggi lo scorso anno.


Un pastore che se n’è andato

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Sono stati numerosi gli amici che mi hanno segnalato la scomparsa di un pastore. Si chiamava Dino, più conosciuto come “il Grillo” originario della Valsesia. Io l’avevo incontrato mentre lavorava per altri pastori. Non so se possedesse animali suoi, a quel tempo credo di no, piuttosto lavorava come aiutante per altri allevatori, soprattutto nell’area Nord-orientale del Piemonte. Il decesso è avvenuto per cause naturali (pare) proprio in alpeggio. Non so di preciso quanti anni avesse, credo una quarantina.

La sua storia, per come la conoscevo io, raccontata da lui, ma soprattutto dagli altri, aveva numerosi chiaroscuri e purtroppo si è interrotta molto presto. Le storie dei pastori sono spesso complesse e ricche di aneddoti, ma quelle dei loro aiutanti tante volte lo sono ancora di più e raccontano vite grame, difficoltà, privazioni, eccessi, fughe dal mondo, disagio. Nel bene o nel male, ci ritroviamo comunque tutti qui a ricordare il Grillo e la sua voce roca, il mio ultimo ricordo di lui è proprio una telefonata, ma sarà passato ormai più di un anno, forse due.


Appuntamenti e galleria fotografica

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Oggi vi voglio ricordare un po’ di appuntamenti dove possiamo incontrarci e conoscerci, poi vi mostrerò varie immagini che tanti amici mi hanno inviato in questi mesi.

Per cominciare, questo fine settimana 6-7 luglio 2013 a Challant Saint-Anselme (AO) ci sarà la 3° Festa della capra, dove, alle ore 18:00 presso il Salone Comunale, presenterò il mio libro dedicato ai giovani allevatori. Sempre “Di questo lavoro mi piace tutto” sarà protagonista a Fenestrelle (TO) il 13 luglio, ore 21:00, presso la Sala Consigliare. Altrimenti… per incontrarmi dovrete venire in alpeggio!

(foto F.Laurenzi)

(foto F.Laurenzi)

Vostre foto, iniziamo da quelle che attendono da più tempo. Francesco ci invia delle immagini di un pastore sull’Altopiano di Aielli (AQ).

(foto L.Marcolongo)

(foto L.Marcolongo)

Leopoldo invece ci fa conoscere un giovane pastore: “…Fabio Zwerger di Borgo Valsugana che ho fotografato a San Giorgio in Bosco il giorno dell’Epifania di quest’anno. La foto della tosatura invece me l’ha mandata sua mamma.

(foto L.Marcolongo)

(fot L.Marcolongo)

(foto L.Marcolongo)

Sempre Leopoldo ci fa varcare i confini e ci porta in luoghi dalla storia tristemente famosa. “Queste sono pecore della Bosnia (Cantone Tuzla), fotografate nell’autunno del 2012.

(foto L.Marcolongo)

Ancora un’immagine, ma meno recente: “una vecchia foto fatta in Bosnia (Cantone Tuzla) nel 2005“.

(foto G.Grosso)

Giacomo con orgoglio mostra il suo nipotino in compagnia del pastore Giovanni. Samir sembra molto contento del luogo in cui si trova e ben predisposto alla pastorizia!

(foto L.Battaglini)

Per concludere, al Salone del Libro tenutosi a Torino nel mese di maggio, Luca ha colto uno scatto a tema, che intitola “I linguaggi della pecora“. Grazie a tutti, come sempre, per contribuire ad aprire le finestre di questo blog su altre realtà che, direttamente, non ho modo di visitare.


Perchè condividere

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Oggi volevo commentare con voi un “fenomeno” di attualità, cioè la presenza sempre maggiore di allevatori tradizionali sui social network, facebook in particolare. Non è su FB solo il grande allevatore di pianura, che magari usa il computer per aggiornarsi, per ordinare materiale, non è su FB solo il ragazzino che segue i coetanei, ma lo è (magari solo saltuariamente) il pastore vagante ed il margaro. Certo, tendenzialmente sono giovani e giovanissimi a vantare la maggior presenza, ma non solo. Moda? Omologazione? No, spesso è un qualcosa che semplicemente fa star meglio.

Salita alla Gardetta (foto M.Colombero)

Un tempo il pastore scriveva sulle rocce, incideva immagini di animali fin dalla preistoria, poi ha iniziato a scrivere il suo nome, la data, a far disegni di stelle alpine. Oggi fotografa, scrive e pubblica on-line. Sono cambiati i tempi, sono cambiati gli strumenti, ma in fondo c’è comunque sempre la volontà di lasciare una traccia, far sapere che che ci siamo. Mi raccontavano che un tempo si saliva in cresta e, con uno specchio, si facevano segnali a chi era nell’altro vallone, non vere comunicazioni, giusto dire che si era ancora vivi. Oggi invece c’è modo di esprimersi con maggiore completezza!

Transumanza verso il Barbara (foto D.Melli)

In un lavoro che spesso necessariamente isola, il mantenere i contatti con amici e “colleghi” è un grande aiuto, sia per la risoluzione di un eventuale problema, sia anche solo per tirar su il morale dopo una giornata difficile, o ancora condividere un evento felice. Per qualcuno saranno stupidate, ma mi accorgo che, tra i miei tantissimi amici presenti in rete, ci sia un’effettiva lampante utilità nella condivisione attraverso il social network, forse più ancora che non in altri “mondi”, dove di forme di comunicazione e dialogo ne esistono parecchie e senza tutte le difficoltà che vi sono in montagna. L’ho potuto vedere, purtroppo, quando ci si è uniti virtualmente intorno ad un giovane che aveva posto fine alla sua vita, lo vedo quando qualcuno si lamenta per non aver trovato l’alpeggio ideale per la stagione, quando nasce un bambino, quando ci si sfoga per qualche “avversità”, quando si ricorda un anziano scomparso…

(foto Y.Vial)

Ci si sente meno soli in un alpeggio dove si riesce a collegarsi a FB con il cellulare e continuare il dialogo virtuale con gli amici. Si mostra ad esempio la sistemazione per quell’estate: “La stanza dei puffi… io e mio fratello, abbiamo già dato un paio di craniate al tetto!“, racconta un giovane dalla Val d’Aosta.

(foto Y.Vial)

E mostra agli amici anche il nido trovato sulla porta della camera da letto: “Ospiti trovati in camera… sono in 4.. Prima c’era la madre a portargli da mangiare… Costretto a lasciargli un buco aperto per entrare.. Speriam che continui a guardarli“.

Reines presso Fenis (foto A.Martignon)

Niente di che, piccole cose, ma si mantiene un contatto con il mondo anche mentre sei lassù, grazie agli amici che ti rispondono e commentano da ogni dove. C’è un certo stereotipo del margaro e del pastore che lo vede intento a bere nei momenti di estrema solitudine, stereotipo giustificato ahimè da certe situazioni, ma in questo caso io preferisco vedere margari e pastori che, con cellulare alla mano, pensano e scrivono frasi del genere “in alpe, fuori dal mondo, senza luce e altre distrazioni, sei più vicino a te stesso… pensi, ragioni in modo diverso! è strano…“. O ancora: “ma chi sta meglio dei bimbi in alpe? Per loro tutto è un’avventura, un gioco, una scoperta… senza luce è ancora più magica l’avventura“. Lo stesso papà, prima di partire per l’alpe, scriveva questo: “il mio piccolo marghè ha già preparato le scatole di giochi da portare in alpe…il suo orsetto… non vede l’ora d partire.

(foto D.Paratscha)

Sono un po’ le poesie di questo nostro secolo, non trovate? Altri invece si dilettano soprattutto con le foto e così documentano il loro lavoro, i posti dove si trovano al pascolo, ma soprattutto i loro animali. “Ci voleva proprio un po’ di neve per rinfrescare… No ma siamo seri, il 2013 tutto l’anno autunno/inverno? La primavera ce la siamo già giocata, ora pure l’estate?” E gli amici rincuorano il pastore raccontando che anche in pianura fa freddo e continua il maltempo. Grande tristezza per un margaro che se n’è andato: “2 luglio 2013 oggi è mancato Troglia Gamba Giuseppe per tutti Notu Gamba. Decano dei margari delle Valli di Lanzo. Da sempre, con la cadenza delle stagioni, è salito con la sua famiglia e con la sua mandria, all’alpeggio del Ciavanis facendo riecheggiare i rudun in tutta la val grande. Grazie per tutto quello che mi hai insegnato. D’ora in poi ogni volta che saliro’ al Ciavanis un pensiero salirà per te. Ciao Notu.

Albe Bancet estate 2012 (foto D.Bonnet)

Si aspetta il momento di tornare in montagna: “Non vedo l’ora che sia finita la scuola per vedere le mie amicizie … Le mie bestie … Le mie valli … Le mie montagne … Estive … Belle, in tutto il loro splendore … Che mi fanno capire il senso della vita … È che non mi giudicheranno mai per quello che faccio o che farò … Sono le uniche cose a cui tengo di più in tutta la mia vita ….“.

I pascoli di montagna (foto M.Dreon)

Molto spesso si usa il dialetto, scritto così come si legge. A volte si litiga persino, partendo da un commento su di una vacca, che per uno è bella, per l’altro troppo magra/grassa/con le corna storte… C’è anche chi trova l’amore on-line, sulla scia di passioni comuni, e chi vorrebbe trovarlo: “Vorrei quelle sere d’estate sul fresco della sera nel pieno del relax con una ragazza a dar quei baci pieni di amore quelle coccole che mi fanno star bene e mi fanno sentir un uomo vero …..” ed un amico replica “pure dicevo sempre che preferivo stare solo, ma quando mi è capitata stavo bene, è bello avercene una. adesso non c’è più e mi manca tantissimooo. Purtroppo è che il lavoro che facciamo che ci porta via tempo e sopratutto non siamo accettati“. Prontamente però replica una ragazza: “Che non siete accettati concordo… perchè ormai di ragazze che fanno quel lavoro o a cui piace quel lavoro sono veramente rare… ma se cercate bene… vedrete che troverete anche la vostra!!!“.

Guadando il Tagliamento (foto G.Morandi)

Allevatori con qualche anno in più invece si dedicano spazio soprattutto ai loro animali, ma spesso condividono video, musica, ma anche riflessioni politiche e sociali. …Scusate se ho scorrazzato sulle vostre bacheche, amici di Facebook. Non ho volutamente riportato nomi associati alle frasi, per rispetto, ma mi sembrava bello condividere qui sul blog un po’ di vostri pensieri, per far capire meglio chi sono gli allevatori del XXI secolo. Persone come tutti, persone che fanno forse un mestiere particolare, ma molto meno isolate dal mondo di quanto accadeva un tempo. Anche su questo c’è da riflettere, perchè molti mi scrivono di voler “fuggire in alpe” per lasciarsi alle spalle il mondo, mentre chi in alpe c’è sta sì bene lontano dalla confusione, ma nello stesso tempo ha piacere di mantenere dei continui legami con tutto quello che c’è altrove.



Dieci anni fa

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Sapevo che era più o meno in questo periodo, poi sono andata a controllare tra i miei vecchi album di foto. Già, 10 anni fa scattavo foto e le facevo sviluppare… Altri tempi! Il bello è che ho altre immagini di quel giorno, ma nessuna dell’evento che sto per raccontarvi. Dieci anni fa ho incontrato il Pastore. Tanti di voi la storia la conoscono… Stavo lavorando al censimento delle strutture d’alpe per conto della Regione Piemonte (Assessorato alla Montagna) e, nella spartizione delle vallate tra noi giovani rilevatori, per questioni logistiche avevo scelto, tra le altre, le Valli Chisone e Germanasca.  Così, di alpe in alpe, ero arrivata lassù, alla ricerca di un gregge di pecore e relativo pastore. Ero ancora molto ignorante, all’epoca… Fortunatamente, grazie anche alle indicazioni dei margari dell’alpe confinante, ero riuscita a localizzare il pastore abbastanza rapidamente, lungo un sentiero, tra i larici. Ecco come e quando il Pastore mi parlò per la prima volta del pascolo vagante!

Per avere foto di quel gregge e di quel personaggio ho dovuto cercare tra gli album dell’anno successivo, 2004. Invece, dell’8 luglio 2003, ho solo uno scatto di una mia amica che mi teneva compagnia quel giorno, insieme ad un cucciolo. “Nessuna sede invernale degli animali, pascolo vagante“, così aveva risposto il Pastore ad una delle domande della scheda. Poi mi aveva spiegato che “…i miei animali non vedono mai una stalla, sono sempre fuori!“. Anche gli altri colleghi, alle riunioni in cui ci trovavamo per fare il punto della situazione, mi avevano raccontato di aver incontrato altri “pastori vaganti”, chi con greggi di 5-600 animali, chi di 1000 e più.

Così l’anno dopo, nel 2004 appunto, ero poi tornata dal Pastore, l’avevo trovato e lui si ricordava bene di me. Avevamo chiacchierato a lungo, aveva risposto a tutte le mie domande curiose, mi aveva spiegato che, più avanti nella stagione, si sarebbe trasferito in quella che lui chiamava la sua “villa”, una vecchia caserma ancora in condizioni abbastanza buone, su quella che per lui era la montagna più bella che si potesse trovare. Certamente il carattere del Pastore ha influito su tutto ciò che è successo da allora in poi… Perchè se il primo “pastore vagante” da me incontrato fosse stato un altro, forse le cose non sarebbero andate così.

Ed eccoci, sempre nel 2004, davanti alla “villa”, una rara foto in cui è immortalato anche questo personaggio un po’ schivo. Ero tornata lì dopo che amici mi avevano segnalato la presenza di un gregge ai Tredici Laghi. Stava germogliando in me l’idea di scrivere un libro sul pascolo vagante, su di un mondo sconosciuto ed affascinante. Avevo iniziato proprio da lui, dal Pastore, inizialmente restio ad essere “protagonista”, ma nello stesso tempo ben disponibile a chiacchierare con me. Non usavo registratori, mi annotavo tutto su carta la sera, dopo aver passato ore in alpeggio a cercare un agnello disperso o a controllare tutte le pecore sparse per la conca dei laghi, o ancora a cercare di seguire il passo veloce del mio amico su fin verso la cresta, per affacciarsi in Francia e vedere le altre montagne, dove lui sognava di lavorare con un grosso gregge… Il resto poi, bene o male, lo sapete, è tutto su “Dove vai pastore?” (Priuli&Verlucca Ed., 2006) prima e qui sul blog dopo.


In transumanza con le telecamere

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Ogni tanto mi chiedete a che punto è il film sui pastori piemontesi… Procede, lentamente, come il cammino delle pecore! Questa volta siamo riusciti ad andare a filmare una transumanza, nello specifico quella del pastore vagante che abbiamo già incontrato tra inverno e primavera.

Il gregge era da tempo in montagna, ma quel giorno si spostava da un alpeggio all’altro e siamo andati ad incontrarlo nel suo cammino di risalita della valle. Era un sabato mattina, non così presto, ma uomini ed animali erano già partiti da un po’…

Un rapido saluto, poi gli operatori vanno davanti a riprendere frontalmente il gregge, il resto del “team” invece sta in coda per non rientrare nelle riprese. D’altra parte il pastore sicuramente non amerebbe delle telecamere al fondo del gregge, a mostrare gli animali che, come sempre accade, hanno qualche problema in più ad affrontare il cammino. Anzi, proprio dopo pochi minuti due agnelli leggermente claudicanti vengono caricati sul camion che segue la transumanza.

Il traffico è abbastanza scarso, ma ogni tanto comunque capita di incrociare qualche auto in discesa. In un paio di occasioni invece si riesce a far transitare le auto che si erano trovate a dover seguire la transumanza. Inizia a fare caldo, c’è afa e gli animali camminano lentamente sull’asfalto.

Per l’occasione, come al solito, ci sono amici e parenti ad accompagnare il pastore. La transumanza per loro, specialmente per i più piccoli, è un momento di festa. Un’altra versione dei fatti la darà Elsa, la moglie di Giovanni, che si trova (come molte altre donne nella stessa situazione) a dover pensare a tutto ciò che contorna la transumanza, dai viveri e le attrezzature che dovranno salire in alpe (nei basti) al pranzo da offrire a chi accompagna il cammino del gregge.

La strada da percorrere è più lunga di quello che sembrava in auto… Telecamera ed attrezzature varie non sono facili da spostare, ognuno ha la sua parte faticosa da fare! Per il pastore è il solito viaggio di ogni anno, per chi lo filma un qualcosa di nuovo, mai vissuto prima. Anche alcuni turisti stranieri incrociati lungo la via scattano fotografie e realizzano brevi filmati con i loro cellulari.

La strada sale, il gregge compattato visto da lontano sembra ben poca cosa, mentre all’inizio veder sfilare la fila aveva fatto scattare la solita domanda del: “Ma quante sono?“. Con la salita il cammino si fa ancora più lento, il calore appena mitigato da qualche chiazza d’ombra e da un po’ di brezza. E’ ora di andare in su, verso altre quote, altre temperature!

Finalmente si arriva a Fondo, pittoresca frazione dal caratteristico ponte. Qui è prevista una tappa per far riposare gli animali, per permettere loro di pascolare e per attendere che il caldo diminuisca prima di affrontare lo sterrato e la salita su sentiero all’alpeggio.

Non ci sono tante campane al collo delle pecore e un amico del pastore, grande appassionato del genere, con un pizzico di delusione mi racconta di come Giovanni “non le voglia più”. Ce n’è solo qualcuna di quelle “da pascolo”, al collo delle capre e di qualche pecora, ma niente di più.

Approfittando della pausa e prima che i pastori “si mettano a tavola”, si scambiano due battute con Giovanni ed Elsa. Il tragitto della transumanza, le difficoltà di questa giornata movimentata, l’alpeggio…

Poi tutti all’ombra per fare onore a quanto è stato portato per la transumanza, dalla mocetta di pecora ai salami casalinghi, dalle tome alla pentola di spezzatino e salsiccia, senza dimenticare il vino. Forse è a causa dell’abbondanza che il momento della partenza si allontana sempre di più… Ma tanto fa caldo, gli animali faticherebbero troppo, quindi tanto vale aspettare. Io però sono attesa altrove, quindi mi tocca abbandonare la troupe e dirigermi verso altre vallate.


Due appuntamenti e un racconto

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Dopo questa breve pausa che mi ha vista maggiormente presente “a valle”, nei prossimi mesi invece questo blog “riposerà” un po’, con aggiornamenti solo saltuari, in quanto in alpe non c’è né il collegamento internet (e nemmeno il segnale del cellulare), né la corrente elettrica per lavorare con il pc.

Volevo però segnalare agli amici due appuntamenti con il mio libro “Di questo lavoro mi piace tutto”: 13 luglio 2013, ore 21:00 a Fenestrelle (TO), Sala consigliare, Via Roma 8 e 18 luglio 2013, ore 15:30 a Valleve (BG), frazione Vendullo, nell’ambito della rassegna “Pagine Verdi”.

Poi vi racconto una storia, o meglio, ce la racconta Daniela. Ahimè non ha allegato foto e così ci dobbiamo accontentare del testo…

Sono Daniela, leggo molto volentieri il tuo blog. A volte nella vita incontri delle persone, che a loro insaputa ti cambiano la vita, o meglio ti fanno vedere una strada. Quando avevo 10 anni e mia sorella 8, un giorno bussò alla porta una signora vestita di stracci, con dei zoccoli fatti a mano. In mano aveva una formella di formaggio e ci chiese in cambio pasta o pane. Anche noi famiglia povera l’abbiamo accolta, e ci raccontò che vicino a casa mia aveva delle capre un asino e un cavallo e girava all’avventura. Io e mia sorella il giorno dopo eravamo con lei nel bosco, da quel giorno sono passati molti anni, tante cose sono accadute. Oggi mi ritrovo con un’azienda che mia sorella ed io mandiamo avanti con grandi sacrifici. Chi sa se quel giorno non avesse bussato alla mia porta quella signora come sarebbe stata la nostra vita. Grazie Caterina ovunque tu sia.

Continua poi Daniela: “Si può dire che quell’incontro ci ha dato l’input. Io e mia sorella Michela siamo sempre state amanti della natura avendo la fortuna di vivere in un paese situato nel Carso triestino. Come ti avevo scritto il giorno dopo la visita di Caterina io e Michela  siamo andate a trovarla dove stava con le sue bestiole, era un campeggio austro-ungarico che nel futuro farà parte della nostra vita per molti anni. Lei stava in un albergo abbandonato in questo campeggio. Aveva 4 capre un caprone un asino un cavallo e una cagnetta con i cuccioli. Tante avventure abbiamo fatto con lei, tanti episodi da raccontare come quella volta che mi ha portato in una bicicletta senza freni per tanti km in discesa in un paese vicino al mio che all’epoca c’era un povero orso in gabbia e mi ricordo davo da mangiare all’orso mettendogli le noci in bocca, che lui aspettava a bocca aperta. O come quella volta che ha portato mia sorella con le capre in una transumanza per il Carso, tornando a notte fonda, con i miei genitori in ansia. A volte mi chiedo con che fiducia mia madre ci lasciava andare, grandissima donna mia mamma. Ma erano altri tempi, non c’era tutta questa paura. Caterina e i suoi animali è rimasta per parecchi anni in questo bosco, avendo anche molti problemi con gli animali che viaggiavano liberi per il bosco, arrivando anche nelle case. Aveva anche un carro, un giorno è finito giù per una scarpata, rompendosi. Una volta qualcuno aveva chiamato la polizia per via dell’asino. Due poliziotti vanno a cercarla nel bosco e dopo un po’ vedi i poliziotti che correvano con l’asino che correva dietro a loro, purtroppo ha fatto una brutta fine, è finito sotto un’auto. Le capre con il passare del tempo si sono moltiplicate finendo sul Carso, tante sono morte cadendo dalle scarpate, finendo in mare. Tanti anni erano passati, noi avevamo incominciato a frequentare le medie e le cose erano cambiate, la scuola i compiti gli amici, di Caterina non abbiamo saputo più niente, gli animali tanti erano morti e le capre libere sul Carso.

Quando avevo 19 anni e mia sorella 17, stufe di stare senza far niente avevamo deciso di occupare l’albergo dove anni in dietro stava Caterina. La struttura era molto grande composta da tanti bungalow ormai sommersi dal verde. Assieme a nostro cugino ci siamo messi a pulire dalla vegetazione il posto. Intanto la voce ha incominciato a girare nel paese e tutti i nostri amici ci dicevano: ” Vi arresteranno!”. Agli inizi stavamo lì a passare i pomeriggi a fare un piccolo orticello, fino a quando un vecchio contadino ci donò per un litro di vino una capra sarda. Le avevamo dato il nome di Caterina. Dopo avevamo trovato un capretto tibetano, Timoteo. Intanto mia sorella aveva trovato lavoro in un agriturismo in un paese vicino, agli inizi ha lavorato molto per pochi soldi solo per l’amore che ha per gli animali. Ma il proprietario aveva visto lungo con mia sorella, la mandò a Vicenza a frequentare un corso di caseificazione, che frequentò con molta passione. Dopo qualche anno sono entrata a lavorare anche io in questo agriturismo. Ci occupavamo degli animali, mungere e fare il formaggio, eravamo arrivate ad accudire 100 animali tra capre camosciate e pecore sarde ,siamo rimaste a lavorare 15 anni, il proprietario ci aveva dato carta bianca e si fidava di noi. Avevamo sempre le capre nel bosco, che intanto avevamo fatto azienda agricola “Case gialli”. L’agriturismo aveva cambiato gestione e noi avevamo deciso di metterci in proprio andando via e producendo i nostri formaggi. Avevamo preso in affitto un terreno nel Carso, ma le capre stavano sempre nell’albergo nel bosco. 6 anni fa ci avevano proposto di gestire un agriturismo in un paese a 15km dal nostro, spostando tutti gli animali. A malincuore, con tanti pianti, siamo andate via dal nostro paradiso. Non andò bene, siamo state per 2 anni, sono stati 2 anni assurdi con gente assurda. Fatto sta che siamo andate via anche da là. Abbiamo portato tutto il nostro allevamento nel terreno in affitto, abbiamo costruito ripari, stalle per i cavalli e tuttora siamo li con 50 capre, un pony, Nespolino, un cavallo nato lì, ma la mamma è morta, galline, oche. Partecipiamo a fiere e siamo state anche a Bra al Cheese. Nel nostro settore ci siamo fatte un nome, ma è dura emergere, ci sono le aziende più grandi che prendono tutto loro dai fondi a pubblico. Ma i nostri formaggi sono buoni, sono andati in giro per il mondo grazie ad amici che spediscono a parenti. L’altro anno nostra mamma è morta  in seguito a un incidente. E’ stata investita sulle strisce pedonali, dopo è morta per un tumore. Grazie alla assicurazione che ci ha lasciato siamo riuscite a comprarci una cella frigo e un minicaseificio. Ora si va avanti con una nuova vita sperando che il futuro ci offra il meglio. E con questo è tutto o quasi, mi ha fatto bene rivivere il passato spero di non essere stata noiosa, e mi scuso per gli errori.

Una lunghissima storia che però meritava di essere letta… Non c’è un sito dell’azienda “Case Gialli”, ma viene citata qua e là in elenchi di produttori della provincia di Trieste. E’ inutile che vi dica che mi piacerebbe andare fin da loro per incontrarle… ma chissà, se tornassero a Bra per la prossima edizione di Cheese, magari sarà più facile vederci!


Serve un manuale d’istruzioni?

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Vita d’alpe, mondo idilliaco. “Beata te che sei lassù e non prende nemmeno il telefonino…“, così mi dicono. Però ormai l’imbecillità umana, la prepotenza ed altre simili caratteristiche salgono anche in quota. Il cafone non è solo un “tipo da spiaggia”, ma lo incontri ad ogni altitudine. E così, prima ancora di narrare le ultime vicende di pastorizia in alpeggio, mi trovo a fare qualche riflessione su come sia forse necessario un “manuale” per chi si reca in alpeggio. O meglio, in montagna, luogo dove vi sono anche alpeggi e gente che vi abita/lavora per alcuni mesi all’anno.

Ormai di stagioni in alpeggio ne ho già trascorse alcune, anche se non in modo costante e continuativo. Di anno in anno però, sia per esperienza personale, sia per sentito riferire da amici sparsi qua e là per le valli, vedo aumentare gli episodi negativi che coinvolgono pastori/margari e “turisti”, dove con questo termine comprendo dal “merendero” che sbarca dall’auto e allarga la tovaglia a 5-10 cm dal pneumatico all’alpinista equipaggiato di tutto punto che passa prima dell’alba diretto alle cime che sovrastano l’alpeggio. Con tutta l’infinita casistica di frequentatori della montagna che ci sta in mezzo, appiedati, motorizzati, ciclisti ecc ecc. Come ho già avuto modo di dire altre volte, basterebbe quel naturale rispetto reciproco per non aver bisogno di spendere parole sull’argomento. E invece…

Era una domenica mattina, finivo gli ultimi lavori “domestici” alla baita, avevo già fuori sulla panca zaino e scarponi e stavo per avviarmi a raggiungere il gregge. Sento il vecchio cane che abbaia e mi affaccio, ci sono due escursionisti in arrivo, con due cani (pastori tedeschi) liberi che scorrazzano a piacimento. Non voglio subito partire con la polemica, quindi mi limito ad un: “Buondì“, per poi vedere come prosegue il discorso. Uno dei due, senza nemmeno rispondere al saluto, mi apostrofa con un: “Ci sono quei rompic… dei maremmani qui?“. E così scatta il diverbio piuttosto acceso, con il mio tentativo di spiegare come i cani da guardiania siano uno dei pochi mezzi efficaci che i pastori possono utilizzare per difendere il gregge dal lupo. “Quella del lupo è una balla, io in questi anni non ho mai avuto problemi con il lupo, ma con i maremmani sì e se uno dei vostri mi tocca io la denuncio!“. Tralascio il resto dell’amabile chiacchierata e vi lascio immaginare come abbia reagito il nostro amico quando gli ho fatto presente che, in presenza di animali al pascolo, lui avrebbe dovuto tenere al guinzaglio i suoi cani…

Il lupo non è un’invenzione e, ahimè, anche quest’anno iniziano ad apparire articoli del genere, per non parlare poi delle foto e dei racconti che gli stessi allevatori pubblicano su Facebook. E i cani sono veramente efficaci, posso testimoniarvi attacchi in pieno giorno, con pastore presente, e cani da guardiania che hanno effettivamente messo in fuga il predatore. Solo che, anche in presenza di appositi cartelli di segnalazione, con norme di comportamento da seguire, gran parte dei turisti questi cani non li accetta, ha paura (presunta o reale, dopo incidenti verificatisi in passato) e finisce per litigare con il pastore, già con i nervi a fior di pelle per tutti gli scompensi, i danni e le spese che la “convivenza” con il lupo comporta.

Ecco perchè, secondo me, servirebbe un bel manuale d’istruzioni, un codice di comportamento in alpe da far circolare nelle associazioni di persone che, per piacere, sport o altro frequentano la montagna (CAI & C.). Far capire che questa non è un “parco giochi”, un luogo di relax per cittadini stressati, una palestra per chi vuole stabilire nuovi record di resistenza, velocità… Spiegare che il sentiero è percorribile anche perchè qui c’è qualcuno che lavora. Quello nella foto era letteralmente invaso dalla vegetazione: le pecore si sono aperte un passaggio, il pastore ha tagliato i rami degli ontani a colpi di roncola, poi ha aperto un varco nella valanga che ancora intasava il canalone, interrompendo il suddetto sentiero e costringendo a pericolosi equilibrismi chi avesse voluto andare oltre.

L’alpeggio è una proprietà privata, non un luogo da visitare con disinvoltura, entrando a piacimento quando si trova una porta aperta. Cosa dovrebbe spingere il turista ad entrare in una casa privata, quando non vi sono i cartelli che indicano un punto vendita di formaggi? I pascoli, in quanto tali, non sono luoghi deputati a campeggio, pic-nic con abbandono di immondizia (fenomeno questo, per fortuna, apparentemente in diminuzione), ma soprattutto non è il caso di correre in mezzo agli animali, abbattere o tagliare eventuali fili e recinzioni per il contenimento degli animali stessi. E, come si diceva prima, se si incontra una mandria o un gregge e si è accompagnati da cani, sarebbe correttezza legarli al guinzaglio per due motivi: non possiamo essere sicuri al 100% del comportamento del nostro amico a quattro zampe in presenza di animali estranei, tanto meno sappiamo come reagiscono capre, pecore e vacche nel vedere un cane. Potrebbero sia scappare precipitosamente, mettendo in pericolo la loro incolumità, sia andare verso l’intruso, creando situazioni difficili per il cane ed il suo incauto padrone.

E sull’annosa questione dei cani da guardiania, che fare? Ormai è quasi scontato che ve ne siano in ogni luogo si trovi un gregge. Non devono essere accanto al padrone, ma qua e là a sorvegliare pecore e capre sparse al pascolo. Sui cartelli che avvisano della loro presenza sono riportati tutti i comportamenti da tenere, ma posso anche capire che sia difficile mantenere il sangue freddo quando ci si vede venire incontro 3-4 grossi cani con i denti in bella vista. Nel piano regionale per la difesa dagli attacchi da canidi della Regione Piemonte viene stabilito come numero adeguato di cani da protezione uno ogni 150 capi. Fate voi il conto di quanti cani da guardiania dovrebbe avere un pastore con un gregge da 1500-2000 pecore… Il problema c’è è ed ben reale, basta un brutto incontro o aver sentito raccontare di un incidente per far sì che l’escursionista (anche se meno insolente di quello che ho incontrato io) parta prevenuto o si lamenti di “non poter più andare” dove ci sono le pecore. Coloro che continuano a ripetere che è giusto che ci sia il lupo e il pastore deve conviverci, hanno soluzioni da proporre? E’ urgente, perchè la quiete in alpeggio sta diventando sempre più uno stereotipo lontano dalla realtà!


Erano anni che non si ricordava tanta neve così

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La memoria dell’uomo è cosa strana, per fortuna oggi si registra e si annota tutto, così si anno dei veri dati e non solo delle “impressioni”. Comunque, tutti quelli che arrivano su in alpeggio, prima o dopo dicono che era da anni che non si vedeva tanta neve così a questa stagione. Non è un male, la riserva d’acqua è assicurata e ci sarà erba verde e fiori fino al mese di agosto se non oltre. Il problema magari può porsi per chi sale in alpe con numeri spropositati di animali, ma, visto che le leggi dell’uomo non intervengono efficacemente per fermare certi scempi, sarà almeno la natura a farsi rispettare!

Transumanze notturne per salire su in alto, ormai è ora, la neve ad una certa quota se n’è andata, resta al massimo nei canaloni, o almeno così dovrebbe essere. Su l’erba è verde, abbondante, i pascoli sono in fiore. Quando ci sono strade trafficate da percorrere, strade con poche possibilità di far defluire le eventuali auto, camion, pullman, ci si mette in cammino nel cuore della notte.

Il cammino è lungo, il sole sorge e sale nel cielo, ma ormai si è sulla strada per l’alpe, l’asfalto ed il traffico frenetico sono alle spalle, per qualche mese la parola “transumanza” non verrà più pronunciata. Non si penserà agli affanni che questo giorno comporta, alla fatica, alle cose essenziali, a quelle che verranno portate su in un secondo momento, a quelle che (nonostante tutto) vengono dimenticate.

Il vero alpeggio è quello su in alto. Certo, ve ne sono alcuni anche a quote medie, 1.500-1.700 metri, ma quando ti avvicini ai 1.900-2.000 è un’altra cosa. Respiri un’altra aria, cambia l’erba nei pascoli, si dirada il bosco, sai che ogni giorno andrai su, sempre più in su, a mano a mano che la neve se ne andrà.

Proprio come dicono, infatti, di neve ce n’è ancora tanta. Magari a chiazze, magari qua e là, però scende nei canaloni, occupa intere conche e non sembra sciogliere molto in fretta, specialmente se il cielo è nuvoloso. Quest’anno pare che non si debba avere un’estate calda e soleggiata, a queste quote. Dal momento della prima transumanza i giorni di pieno sole, senza nebbia, temporali, pioggia o anche neve e grandine sono stati ben pochi.

Dopo aver pascolato le zone più basse, dove l’erba rischiava di diventare vecchia e dura, il gregge viene fatto salire su, lungo sentieri che sono solo tracce, cammini storici dove sono stati più gli animali che l’uomo a tracciare il percorso. L’abbandono delle passate stagioni ha fatto sì che la vegetazione avanzasse sempre più ed ora persino gli animali esitano ad avventurarsi lungo la traccia evanescente. Poi si incamminano, ad una ad una…

E’ proprio vero che di neve ce n’è e non poca. Oltre a “rubare” spazio all’erba, complica gli spostamenti di uomini ed animali, che si avventurano spesso con titubanza. Solo i cani si lanciano in corse e pazze scivolate, specialmente i cuccioli, o cercano refrigerio. Non tutti i nevai sono sicuri, il pastore cerca di evitare al gregge il transito su canaloni invasi dalle valanghe, sotto i quali scorre l’acqua. Qui la neve potrebbe cedere sotto il peso delle pecore. Si racconta anche di “stragi” del passato, capre o pecore morte sotto il peso della neve dopo aver cercato la frescura nel tunnel naturale che si forma sotto la valanga.

Quando c’è il sole la neve però scioglie a vista d’occhio ed i torrenti si gonfiano, talvolta causando problemi nell’attraversamento. Laddove al mattino con un salto si riusciva a passare senza bagnarsi i piedi, in giornata le cose si fanno più complicate, con l’acqua che scorre impetuosa e spumeggiante. Persino le pecore esitano ad avvicinarsi anche solo per bere, mentre altrove non rischiano di sconfinare nei pascoli confinanti, proprio grazie alla barriera naturale del torrente.

Non sempre però splende il sole, anzi, spesso le giornate sono interrotte da nebbia e pioggia fine, quando non da temporali anche di forte intensità. C’è chi dice che farà così per tutta l’estate, i pastori alzano le spalle e si accontentano di vivere alla giornata, come sempre. L’importante è che ci sia erba e che il lupo giri alla larga…


Allevatori tradizionali uniti contro gli speculatori

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Volevo riprendere un commento apparso su questo blog qualche giorno fa a proposito dei “lupi a due gambe”, gli speculatori degli alpeggi, ma prima vi invito a leggere questo articolo sul blog di Roberto Colombero a proposito della nuova PAC e del “greening” (non capite cosa significa? Leggete l’articolo…). Altro che sperare nei cambiamenti, sembra che la cura sia peggiore dell’attuale malattia! Non solo i famigerati contributi continueranno a finire sempre più nelle “tasche sbagliate”, ma per margari e pastori tradizionali, per i piccoli, per chi pratica agricoltura ed allevamento in modo estensivo vi saranno sempre meno spazi.

Veniamo ora al commento che vi dicevo. “Ti scrivo riguardo al problema dei “lupi a due gambe”… anche qui ce ne sono e hanno fatto razzia dei nostri pascoli, molti nostri colleghi sono rimasti senza un fazzoletto di terra su cui pascolare e altri sono stati costretti a sub-affittare da questi tizi! Noi pastori qui ci stiamo mobilitando perchè la situazione ci sta soffocando e perchè in vista della nuova riforma PAC vorremmo far sentire la nostra voce! Abbiamo fatto già diverse riunioni tra noi pastori e nella prossima vorremmo raccogliere delle firme e istituire un comitato promotore per far capire a tutti che non rimarremo a guardare e a subire in silenzio (tutto ciò tenendo fuori organizazioni sindacali e politica, perchè se c’è una cosa che abbiamo capito è che sono loro i primi a venderci al miglior offerente!!)
Abbiamo già contattato pastori provenienti da Abruzzo, Marche e Umbria ma vorremmo che chi come noi si sente vittima di quest’ ingiustizia ci segua!
Cercando su internet mi è saltato fuori il tuo blog e da qui ho capito che non siamo stati i soli ad essere attaccati dai “Lupi”. Ci piacerebbe che altri come noi si muovano o si uniscano a Noi.
Lascio il nostro indirizzo mail in modo che chi fosse interessato possa contattarci: info@caseificioiltratturo.it
Grazie per avermi dato la possibilità, tramite il tuo blog, di lanciare/raccogliere questo SOS. Siamo in tanti, tutti con gli stessi problemi, se ci uniamo proveremo a fare qualcosa di buono per non far scomparire questo lavoro millenario che è stato per secoli il pilastro dell’economia del nostro Paese!

Carla mi scrive poi ancora: “La nostra riunione è sfociata nella costituzione del comitato come ti avevo accennato e quasi tutti i pastori presenti hanno
firmato (ce ne sono stati alcuni che però hanno preferito non firmare
per “paura” o perchè forse hanno bisogno di altro tempo per capire che
insieme saremo una voce ascoltata). Ti invio il nostro “patto tra pastori” fallo girare tra i tuoi amici pastori,se ci fosse qualcuno interessato ad unirsi ti mando anche un modulo di raccolta firme per far aderire chi fosse interessato.

Purtroppo la stagione è un po’ difficile, perchè i pastori sono tutti in alpeggio e non sarà facile far arrivare loro questa voce, ma forse il Comitato dovrebbe muoversi per partecipare a qualche fiera zootecnica da queste parti con un banchetto, spiegare le sue ragioni e raccogliere firme. Io intanto pubblico il patto e invito gli interessati a contattare Carla. Tra l’altro… se Carla e suo marito venissero con il loro camioncino e affiancassero all’azione informativa i loro ottimi arrosticini, sarebbe una meravigliosa occasione per far conoscere questo prodotto a base di carne di pecora!

Patto di cooperazione tra pastori e addetti al settore armentario

 in data … presso … noi sottoscritti allevatori ci impegniamo a sostenere le sorti di tutto il comparto, in considerazione che l’ingresso dell’Italia nella Comunità Europea ha portato tanti vantaggi tra i quali un sostegno alle attività produttive ma purtroppo si sono verificate delle situazioni in cui una scarsa attenzione ai meccanismi procedurali e ai limiti imposti ha determinato la distorsione dei fondi destinati alla pastorizia creando di fatto delle iniquità  che per gli esperti dei regolamenti si sono rivelate soprattutto una fonte di rendita parassitaria  senza una ricaduta positiva sul territorio;

 tenuto conto che la pastorizia da millenni rappresenta l’attività non solo per la produzione di cibo e di lana, ma è un elemento fondamentale per il mantenimento della biodiversità, sia attraverso le pratiche connesse alla conduzione dell’attività quali pulizia pascoli, disseminazione delle essenze pascolive attraverso lo spostamento delle greggi, fabbisogno alimentare per tante specie in via di estinzione, dall’avifauna ai grandi carnivori, oltre che un presidio ambientale mediante la presenza costante e sostenibile  nelle aree meno antropizzate;

considerata l’importanza della continuità culturale di una storia millenaria, che ha lasciato segni consistenti sul territorio come i tratturi e le emergenze lungo la rete tratturale, i riposi, le chiese e così via, ed essendo questo patrimonio fortemente legato alla fruizione turistica sempre più in espansione anche nei prossimi anni, garantire la contiguità delle attività pastorali rappresenta elemento di autenticità ed inoltre le produzioni e la gastronomia derivante ne fanno una risorsa turistica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio;

 vista l’importanza di queste attività come unica garanzia per favorire la permanenza attiva della popolazione nelle aree rurali più marginali, già soggette a drammatico svuotamento;

 tutto quanto sopra considerato, i sottoscritti si impegnano a contrastare ogni forma di uso distorto delle risorse del territorio, anche attraverso canali formalmente legittimi quali i fondi europei, che di fatto vengano utilizzati in maniera anche legittima ma che di fatto tradisce lo spirito della loro destinazione.

 I sottoscritti pertanto si costituiscono in un Comitato Promotore che difenda il ruolo e l’identità pastorale, tutelandone l’immagine da chi scorrettamente utilizza l’immaginario ed evoca un mondo pastorale senza garantire la qualità dei prodotti e della produzione né la salvaguardia del territorio che appartengono alla nostra cultura e tradizioni.

 I sottoscritti si impegnano a tutelare le future generazioni garantendo loro di avere in eredità un territorio integro e suscettibile di un uso rinnovabile e sostenibile, così come ci è stato trasmesso da coloro che ci hanno preceduto. Non può una norma di applicazione di regolamenti comunitari usata in malafede contribuire all’abbandono e alla desertificazione del nostro territorio, anziché essere utilizzata in modo coerente con il fine di salvaguardare i territori, svuotandoli di fatto delle loro risorse e così distorcendo quanto i contribuenti europei destinano alla conservazione dell’ambiente rurale.

 I sottoscritti pertanto si impegnano ad operare una sensibilizzazione degli enti territoriali affinchè evitino di concedere in godimento porzioni di territorio a chi non rispetta i principi di tutela e salvaguardia della biodiversità e della tradizione pastorale, garanzia di una gestione etica e rinnovabile e utile alla attività turistica. Al fine di garantire la massima trasparenza ed informare in modo completo i contribuenti, elettori e cittadini, i sottoscritti si impegnano inoltre a pubblicare e dare diffusione alla stampa dei dati di tutti gli enti che hanno dato disponibilità dei loro pascoli solo in funzione di un tornaconto economico, analizzando la destinazione di quanto incamerato in modo da dare trasparenza alle scelte sul territorio che hanno ricadute fondamentali per lo sviluppo e il futuro delle nostre valli e montagne. 

Spero davvero che si possa fare qualcosa, perchè sempre più alpeggi stanno cadendo nelle mani degli speculatori e potrebbe essere ancora peggio in futuro. Ovviamente sono invitati ad aderire non solo i pastori di pecore, ma anche tutti i margari!


Di fiori, di nuvole, di pastorizia

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Sentite la mancanza dei post quotidiani, ma lassù in alpe non prende nemmeno il telefono e la centralina carica 2 batterie da 12 Volt, quindi niente computer, niente internet, niente blog! Però ogni tanto scendo con il mio bagaglio di biancheria da lavare, lista della spesa e… nuove foto!

La stagione tardiva mi permette di mostrarvi ora lo splendore delle fioriture, cosa che altrimenti avrebbe caratterizzato l’inizio del mese. Non ovunque le fioriture sono altrettanto abbondanti e variopinte, la loro ricchezza dipende da diversi fattori. Uno di questi è il tipo di terreno, infatti dove il suolo è calcareo, generalmente si incontra un maggior numero di specie erbacee a fioritura evidente, come in questo caso.

Nonostante ci sia chi non lo vuole ammettere e chi preferisce una montagna “senza l’uomo”, popolata solo da selvatici, queste fioriture esistono indirettamente anche grazie all’uomo ed alla sua opera di gestione della montagna. Un corretto pascolamento, con un numero di capi adeguato ed animali adatti al territorio fa sì che i “pascoli” si mantengano tali, che non vengano invasi dai cespugli, che non si trasformino in boscaglie impenetrabili e che si mantenga la biodiversità.

Accanto alla grande varietà di piante (e di fiori), c’è pure una grande biodiversità animale. Camminando sul sentiero che attraversa i pascoli, in questi giorni si è letteralmente circondati da nuvole di farfalle di innumerevoli specie diverse, senza parlare poi di tutti gli altri insetti. L’altro giorno, accanto all’alpeggio, sui due lati del torrente, si aggiravano entomologi armati di retino, che dopo un’ora o poco più se ne sono andati soddisfatti per la “caccia” andata oltre le aspettative. Per non parlare delle falene notturne che si intrufolano in casa al calar della notte, appena vedono chiarore ed una finestra aperta.

Potrebbe sembrare un paesaggio naturale, i pascoli sembrano essere lì da sempre, ma non è così. E’ l’uomo, è il pastore a far sì che esistano. Intendiamoci, un carico errato (troppe bestie, animali pesanti non adatti alla montagna) o una gestione non razionale (insistere troppo a lungo nella stessa area, passaggi quotidiani ripetuti per settimane nello stesso luogo, ecc…) causano danni anche superiori all’abbandono…

Ma guardate questo versante, dove negli ultimi (10? 15? 20???) anni il pascolamento è stato nullo o frettoloso: a fatica il pastore ha riaperto un varco per il gregge e gli animali camminano in fila a lungo prima di allargarsi a pascolare, finalmente fuori da ex-pascoli invasi da cespugli. Giorni di pascolamento perso! Se qui ci fosse tutta erba, il gregge trascorrerebbe alcune giornate a brucare, senza la necessità di andare oltre a cercare foraggio. E lì, su quel versante, pensate che la fioritura sia abbondante come quelle che vi ho mostrato prima? Finita quella del rododendro, non c’è paragone con altre aree limitrofe utilizzate meglio.

Alle alte, altissime quote, sopra i 2500-2600 metri, non è più l’uomo ad avere influenza, ma soprattutto il clima: la neve, il ghiaccio, le valanghe, il vento… E’ lassù che incontriamo dei gioielli che il giardiniere più raffinato non potrà ricreare. Piccole piante che fioriscono tra le rocce o cuscinetti compatti, verdi, che all’improvviso si colorano di rosa intenso.

Quassù il gregge sale fin dove trova erba, poi lassù tra le rocce al massimo si spinge qualche capra, ma in alto è il regno degli stambecchi, che osservano placidi ed indisturbati, per mettersi in movimento nel tardo pomeriggio-sera, quando fa meno caldo e il gregge ormai sta rientrando verso il recinto.

Il caldo aumenta in pianura e su sono le nuvole a farla da padrone, spesso anche portando momenti di freddo. Generalmente le giornate iniziano con un risveglio in un cielo limpido e terso, ma già dopo la colazione spesso si vede una nuvoletta. A mano a mano che la giornata procede ed il gregge sale in quota, il cielo cambia.

Le nuvole vanno e vengono, ci si copre e ci si sveste, il sole è bruciante, ma fa ancora fresco quando questo si nasconde, il grande caldo non è ancora arrivato quassù. Al mattino conviene sempre mettere nello zaino la tuta antipioggia, a spalle portare l’ombrello, perchè quando lo lasci giù alla baita…

…la bellissima giornata vista al mattino può riservare sorprese improvvise. Le nuvole si chiudono, diventano più scure, inizia a tuonare e arriva aria di pioggia. Qualche volta il temporale colpisce  tutt’intorno, lo vedi addirittura passare con la sua scia d’acqua, ma altre invece si scatena con violenza e non hai nemmeno tempo / modo di cercare un riparo, ammesso che ve ne sia uno.

Per adesso però, anche grazie alle piogge, l’erba si mantiene bella verde, i torrenti sono gonfi d’acqua e non ci si preoccupa per la siccità come accadeva la passata stagione. Basta poco per avere delle difficoltà, in questo lavoro apparentemente idilliaco e sereno. Sempre, tutto l’anno, si è in balia del tempo!

Come vedete, la neve non è ancora sciolta tutta, anche se progressivamente si va ritirando e assottigliando. Con il caldo, gli animali la apprezzano persino, per cercare refrigerio, ma il pastore li smuove temendo cedimenti, mandando il gregge verso i pascoli, dove potrà nutrirsi con l’erba invece di rimanere lì per ore con lo sguardo a terra.

Nelle belle giornate il pastore vive i suoi momenti più belli, quelli in cui può permettersi di salire su fino al colle e vedere i suoi animali “tutti belli allargati”, fermi, intenti a pascolare. Sono quelle rare occasioni durante le quali si “abbandona il gregge”, ce lo si lascia alle spalle per salire un po’ più su, fino ad affacciarsi dall’altra parte, per vedere “altre montagne”, altri pascoli. Vagare con lo sguardo e il cannocchiale per riconoscere altri alpeggi, associarli a nomi di pastori e margari.

In un attimo poi sembra di essere in tutt’altra stagione, con la nebbia arrivata all’improvviso ad avvolgere tutto. Per fortuna qui, a differenza di altre montagne, raramente dura per ore (o anche giorni!), si tratta piuttosto di passaggi rapidi, destinati a dissolversi in poco tempo.

Il tardo pomeriggio così è fatto di nebbie che vanno e vengono, a volte di temporali improvvisi, persino grandinate, ecco perchè nello zaino è sempre meglio avere un abbigliamento vario ed adatto a tutte le situazioni. Ma questa è la montagna, da sempre, bisogna essere pronti a tutto e non farsi cogliere impreparati.

Ecco una serata con le nuvole ancora incerte sul da farsi, con il gregge che inizia a scendere per la via del ritorno, ma ancora allargato a pascolare. Le giornate sono sempre lunghe, anche se le ore di luce lentamente diminuiscono, il pastore deve accompagnare il gregge al recinto, non può più limitarsi a lasciare pecore e capre in quota in posto lontano dai confini degli altri pascoli, lontane dai pericoli. Il pericolo a quattro zampe può arrivare ovunque, in qualsiasi momento…



Perchè invidiare?

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Gli amici che seguono questo blog e che vivono/lavorano in montagna /in alpeggio capiranno bene quello che voglio dire. Agli altri cercherò di spiegarlo.  L’invidia è un sentimento che a volte tutti proviamo, ma questo stato d’animo non porta alcun beneficio. E poi, cosa serve invidiare vedendo le cose dal di fuori, senza sapere veramente com’è la realtà? Ricordo che, anni fa, una persona che abitava in un luogo montano veramente splendido mi aveva rivolto uno sguardo perplesso quando gli avevo fatto notare quanto fosse bello stare lì, quanto lui fosse fortunato. La bellezza la vedevo io, visitatrice occasionale. Lui probabilmente ci vedeva l’isolamento, l’impossibilità di muoversi a piacimento perchè vincolato dal lavoro. In effetti anche per me raggiungere quel posto non era stato facile, ma un conto è una gita, un altro è affrontare per forza la lunga strada stretta e tortuosa, magari quando si è stanchi, magari con condizioni meteo pessime.

Quando sei in alpeggio, quante volte ti senti rivolgere quella frase? Generalmente io non sono alla baita, ma, sbrigate le faccende domestiche, raggiungo gregge e pastori in quota. In una giornata quasi interamente passata “a casa”, ho avuto modo di vedere un buon campionario di visitatori occasionali del luogo (in numero ridotto rispetto alla norma a causa di una temporanea interruzione della strada di accesso, quindi si trattava solo di escursionisti e ciclisti). Non è mancata il classico: “Beati voi che state qui!” o, appunto “…che invidia!“. Perchè invidiare pastori e margari? Certo, quassù non abita nessuno, alla sera resta solo chi fa questo mestiere e nessun altro.

Però l’escursionista, seguendo il suo cammino, può decidere di trascorrere una notte in quota, può fare un trekking, può sostare in un rifugio. Conosco margari che, da generazioni, salgono sullo stesso alpeggio, quindi del resto delle vallate magari non hanno mai visto nulla, se non andando a qualche fiera. Escursionista, ciclista che raggiungi l’alpe, rinunceresti alle tue gite domenicali o anche settimanali, rinunceresti alle tue ferie, alla possibilità di essere oggi qui, domani là, per rimanere fisso in un luogo, per bello che sia? Lo sai che in alpeggio capita di rimanere isolati per giorni a causa di temporali, senza nemmeno la possibilità di comunicare perchè il cellulare non prende?

Certo, magari qualcuno accetterebbe di farlo. Come dico spesso a chi vuol fare questo mestiere, cambiando vita, bisogna sentirselo dentro, altrimenti all’entusiasmo iniziale seguirà una profonda disillusione, un senso di costrizione, perchè gli animali vincolano al 100%, 365 giorni all’anno. Come scrivevo ieri, sei lì in montagna, in un posto splendido, ma magari capitano solo poche, pochissime occasioni in tutta la stagione per poter salire al colle che ti permette di affacciarti su altre vallate. Fare il pastore, il margaro, non è una “bella vacanza”, è un lavoro, particolare sicuramente, ma un lavoro, con tutte le sue problematiche, anche se ha come sfondo bellissime montagne.

Non è che, automaticamente, in un posto del genere la bellezza del paesaggio (ammesso che ci siano giornate di sole e piacevole brezza) azzeri le difficoltà economiche, personali, ecc. Certo, aiuta a sentirsi più positivi, ma non sempre è sufficiente. Tante volte la fatica, la stanchezza, la frustrazione per certe situazioni arrivano sovrastare tutto. Penso a allevatori invischiati in beghe burocratiche, che lottano affiancati da avvocati per far valere i propri diritti. Proprio ieri un ragazzo mi scriveva questo: “La mia montagna è già il secondo anno che va all’asta e non è finita… Con contratti annuali! Questo a causa di un sindaco che cerca di favorire certi elementi. Andiamo avanti a suon di avvocato e palanche per pagare l’affitto.. Tutti soldi che potrebbero essere investiti nell’alpeggio!! Ma così non è purtroppo!! Questo dopo 18 anni che carichiamo noi l’alpeggio…!!!“.

Certo, chi passa casualmente in un alpeggio che è anche un bel posto non immagina che dietro ci possano essere così tante cose. Forse può arrivare a capire le ore di duro lavoro, gli orari lavorativi spesso pressochè infiniti, il fatto che certe soddisfazioni compensino i sacrifici, ma difficilmente associa ad una mandria o un gregge la burocrazia, la frustrazione, il disgusto per sentirsi dimenticati, per sentirsi “di serie B”. Perchè se il turista ha delle necessità, ci si affretta, se una strada per l’alpe è interrotta, non importa niente a nessuno. Perchè certe piste vengono messe a posto nel mese di agosto e non a giugno, prima della monticazione? Ce ne sarebbero di esempi da fare… Ammirate l’alpeggio, rispettate il territorio, gli uomini, gli animali, ma senza invidia. Cercate di documentarvi, cercate di conoscere questo mondo e pensate a quante piccole cose che date per scontate manchino lassù.

Non è vanità, non è scarso spirito di adattamento, non sono queste le cose che mi fanno dire che in alpeggio spesso mancano troppi elementi ormai essenziali. Va bene per una vacanza avventura lavarsi nel torrente o illuminare la cena con la pila o la candela, ma quando vivi e lavori duramente per diversi mesi in alta quota, avere un bagno, addirittura una doccia, aprire la porta e accendere la luce non dovrebbero essere lussi (per non parlare di quei luoghi dove quasi manca persino la porta e, più che una baita, si parla di un ricovero di fortuna). Forse è più la donna ad avere queste necessità, anche perchè, se presente in alpe, è lei a passare più tempo nelle baite a far scaldare sul fuoco acqua per lavare e lavarsi, a cercare di conservare il cibo dove non c’è la corrente e la possibilità di avere un frigo (a meno di mangiare polenta e latte, latte e polenta, pasta e scatolette a pranzo e cena), ecc. ecc… Chi invidia la vita d’alpeggio, ci pensa mai, a queste cose?


E le pecore?

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Un po’ come se fosse un sogno. Perchè nei sogni c’è quello, una “montagna” enorme, bella, comoda, con pascoli immensi, buon clima, erba ottima, e la baita in mezzo. Nessun confine, nessun pascolo da sorvegliare perchè appartiene ad altri, solo tu ed il tuo gregge nel vallone.

Certo, l’avvicinamento non è rapido. Il sentiero sale impervio, il sole batte a picco sulle rocce chiare, nell’aria il profumo intenso della resina dei pini silvestri e quello delle tante fioriture multicolori, in basso lo scrosciare del torrente nel vallone scavato e ripido. Poi a poco a poco si inizia ad intuire che lassù ci saranno delle belle sorprese, poichè il vallone lascia presagire spazi di ampio respiro. Però ci si pongono anche delle domande, visto che alle quote più basse non si intuiscono segni di pascolamento. Ma… e le pecore?

E infatti il sogno sembra sempre più reale. I pascoli si estendono, fiancheggiati da erte pareti che nemmeno le capre scalerebbero. Tra i pascoli ricchi e profumati scorrono torrenti e ruscelli, qua e là sgorgano sorgenti e, più in alto, dovrebbero persino esserci dei laghi. Non c’è bisogno di chiudere gli occhi, la realtà è più bella del sogno.

L’alpeggio c’è, a metà tra i pascoli inferiori e l’alto vallone. La baita è essenziale, ma funzionale, sistemata ed allargata recentemente con una soprelevazione in legno. Intorno l’erba è stata decespugliata di recente, la fontana gorgoglia, il tavolo con panche sembra attendere i commensali. Il recinto fisso però è sommerso dall’erba alta e segni recenti di pecore, ahimè, non ve ne sono. Passare qui una stagione… Certo, bisogna salire e scendere poi solo dopo mesi, il sentiero di avvicinamento è lungo, meglio pensare ad un carico con tutto il necessario trasportato in quota con l’elicottero. La luce è assicurata dal pannello fotovoltaico, c’è il bagno, magari con un mulo o un asino ogni tanto si può pensare di scendere a valle per fare la spesa…

Oltre al sentiero ufficiale, ben marcato, tracce qua e là, chiari segni del passaggio ripetuto di un gregge, stagione dopo stagione, conducono a conche erbose e laghi più o meno estesi, da cui si dipartono ruscelli che appaiono e scompaiono tra le rocce calcaree. Unica pecca, i moltissimi detriti ferrosi di origine militare: resti di bombe, schegge ferrose e altre parti di non immediata identificazione.

Salire su fino al colle, affacciarsi di là ed individuare mandrie al pascolo in territori immensi, ma soprattutto guardarsi indietro e continuare a sognare di avere un alpeggio così… Certo, se anche le aree dove prevalgono rocce e terra fossero erba da pascolare, allora… Ma già così è davvero un vallone fantastico. Quindi si continua ad interrogarsi sul perchè non vi sia un gregge a pascolarlo. Ormai è tardi per la vegetazione delle parti a quota inferiore, dove l’erba si fa troppo alta, dura e secca, mentre sarebbe l’ideale essere lì…

Lì dove quelle chiazze rosate dal profumo intenso sono pascoli splendidi composti da trifoglio alpino quasi in purezza, il sogno di ogni pastore e margaro. Viene da pensare che da noi, in Italia, in un posto del genere come minimo avrebbero portato su qualche centinaio di vacche, bestie in asciutta o manze. Qui invece questo è indicato come alpeggio per le pecore persino sui depliant turistici presi al bureau di fondovalle. Eppure quest’anno, ad inizio agosto, le pecore non ci sono.

Non credete che sia veramente trifoglio? Bene, eccovi la prova definitiva. Si scende con un misto di sentimenti: estasi per aver visto un posto così, rimpianto per non averlo a disposizione, per non essere lì con il gregge, un pizzico di amarezza per non aver incontrato un gregge locale, quelle pecore che passano l’inverno giù nelle pianure della Crau. Ebbene sì, siamo in Francia, paese dove sulla copertina dei depliant turistici, tra le attrazioni locali, c’è appunto il gregge di pecore e la transumanza. Solo che noi quelle pecore purtroppo non le abbiamo incontrate, chissà perchè…

(Nevache, Chalets du Vallon e Col du Vallon).


In fondo niente di nuovo

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Passano le settimane, finisce luglio e arriva agosto, ormai sono più i giorni già passati in alpe di quelli che restano da trascorrere su. I mesi scorrono veloci, ad agosto si sa che basta poco perchè, dal caldo, si arrivi ad avere una nevicata improvvisa. Per “il resto del mondo” agosto è estate, ferie (forse adesso un po’ meno, con la crisi), caldo. Qui ad agosto si pascola in alto, ma ti accorgi che le giornate man mano si accorciano.

In una settimana possono succedere tante cose, pur non capitando niente di nuovo… Un giorno magari piove, poi quello dopo si alza un vento fortissimo, che regala sì una splendida giornata di cielo terso, ma annulla tutti i benefici della pioggia, “rovina” l’erba ed impedisce di dormire in quelle baite d’alpeggio dove il tetto di lamiera sembra dover volar via da un momento all’altro sotto l’impeto delle folate. Le stufe a legna spesso non hanno un buon tiraggio e riempiono le stanze di fumo denso…

Dopo il vento resta il bel tempo, ma dall’aria tersa e secca via via si passa prima al caldo e poi all’umidità e all’afa. Dopo aver avviato il gregge lungo il solito sentiero che porta su ai pascoli di alta quota, si sposta il recinto ai piedi di un altro vallone, un po’ più in alto. Piccole variazioni alla routine, ma il lavoro è sempre quello, giorno dopo giorno. Con il caldo, le pecore al mattino faticano di più ad incamminarsi, rimarrebbero tutto il giorno all’ombra tra i cespugli, oppure addossate ad una roccia, per iniziare a pascolare solo nel tardo pomeriggio o la sera. Dovrebbero essere libere, dovrebbero poter dormire in quota, non dovrebbero essere forzatamente rinchiuse tra le reti ogni notte, ma sono passati i tempi in cui ciò era possibile.

Altrove, in quelle vallate più a ridosso della pianura, il caldo porta subito la nebbia. Si va a fare un giro per controllare che anche di là sia tutto a posto, si guardano le pecore, si ascoltano i resoconti del pastore, si gioisce per lo sventato attacco ad opera di un lupo solitario grazie al pronto intervento dei cani da guardiania. Poi ci si scambiano le notizie, di valle in valle…

Sempre più caldo, sempre più faticoso avviare il gregge, bisogna incitarlo con i cani, evitare che gli animali si ammassino lì sotto le rocce, dove quelli sopra possono far cadere sassi sui gruppetti sottostanti, cosa che comunque accade spesso anche nei momenti di normale pascolamento. Non si può nemmeno esagerare con gli incitamenti e così i pastori mangiano pranzo attendendo che lentamente il gregge prenda la sua strada verso l’alto.

Anche lassù comunque arriva il calore e, se non proprio l’afa, comunque si avverte l’umidità che incombe sulla pianura. Non c’è più ombra a queste quote, il sole ti cuoce, si spera che continui a passare di tanto in tanto una nuvola per donare qualche attimo di sollievo. Prima o poi sarà inevitabile che tutto questo calore sfoci in dei temporali, ma per ora le nuvole si limitano ad andare oltre, sospinte dal vento in quota.

La neve scioglie rapidamente, in questi giorni, e l’erba, a queste quote, cresce altrettanto rapidamente. Qui le piante “sanno” di avere poco tempo a disposizione per il loro ciclo vitale, così appena dopo la scomparsa dei nevai, a vista d’occhio, si vede avanzare il verde e poco dopo si hanno addirittura i fiori, tutto nel giro di pochi giorni. Nebbie di calore vanno e vengono, il gregge pascola finalmente ben allargato, ma tra poco sarà ora di avviarlo verso il ritorno, perchè c’è da scendere fino al recinto ed occuparsi delle ultime incombenze di giornata. Il rientro dei pastori alla baita ormai avviene con il crepuscolo, quando non con l’oscurità e le pile frontali accese.


Almeno due buoni motivi per tornare lassù

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E’ da qualche anno che, per un motivo o per l’altro, ogni estate c’è un post che riguarda questo alpeggio e questi amici. Anche quest’anno sono tornata all’alpe Giulian. Vi ricordate la visita dello scorso anno? Quindi bisognava tornare per avere gli aggiornamenti che riguardano questi giovani, visto che di novità ce ne sono eccome!

Questa volta salgo a piedi, non avendo motivi di lavoro o materiale da portare su, preferisco una sana camminata alla tensione di affrontare quella ripida e tortuosa strada. Con tristezza osservo l’abbandono che avanza ed il progressivo crollo di antiche baite che solo qualche anno fa avevo immortalato ancora con i tetti al loro posto. Qui i pascoli sono utilizzati, ma non le strutture, se non come stalle di fortuna per le capre in alcuni momenti della stagione.

Poi arrivo all’alpe Giulian ed uno dei motivi per andare lassù era vedere finalmente la nuova baita. Torniamo indietro anche a questo post per ricordare meglio quali erano le condizioni di vita e di lavoro quassù. Sarà Ivan più tardi a spiegarmi com’è che alla fine la baita c’è ed anche Katia mi racconterà la storia della loro casa in alpeggio… “Se non continuavamo ad insistere noi, non so se alla fine avrebbero fatto qualcosa! Il bando della Regione alla fine non è stato aperto e così abbiamo dovuto mettere dei soldi anche noi. Un rischio, visto che qui siamo in affitto e quindi la certezza assoluta di continuare a salire qui non c’è… L’hanno tirata su in 11 giorni…“. Ivan spiega: “Il Comune ha pagato parte del materiale e noi l’altra, più abbiamo messo il lavoro. Non ti dico che fatica, poi portare su tutto per quella strada!“. Oggi però la casa c’è, è confortevole, persino fin troppo calda, accogliente, adatta ad un bambino di pochi mesi ed a tutti quelli che vivono a queste quote. Grazie alla corrente elettrica della centralina c’è il riscaldamento, il frigo e persino la lavatrice, che consente di evitare di lavare a mano alla fontana o mandare giù ai genitori il bucato.

C’è anche un’altra novità in alpe, legata all’arrivo del piccolo Luca. Ivan questa primavera mi aveva chiesto se conoscevo qualche ragazza disponibile per passare la stagione in alpe e dare una mano a sua sorella, sia con i lavori, sia con il bambino. Per caso, negli stessi giorni, un’amica di questo blog mi raccontava le sue vicende personali. “Mi mancherà l’alpeggio, quest’estate…“. Comprendendo al 100% le sue parole e per una di quelle illuminazioni che a volte ti colgono istantaneamente, sfruttando la tecnologia che accorcia le distanze ho accennato la cosa all’uno ed all’altro. “Ci penso…“. “Ne parlo in casa e poi ti dico…“. Ma nel giro di poco tempo l’accordo è stato trovato e così ecco Camilla, che su questo blog era intervenuta in passato con commenti e foto. Classe 1990, una laurea di primo livello in Valorizzazione e tutela dell’ambiente e del territorio montano all’università di Milano, sede di Edolo, una tesi sull’accrescimento degli agnelloni al pascolo in alpe in relazione al cotico erboso… “Dalle pesate è emersa una mancata crescita e questo fattore è stato ipotizzato dovuto al turbamento degli attacchi dell’orso che si sono verificati in quella stagione“. Camilla ci aveva già parlato di questi problemi qui.

Per me praticamente questo è il quarto anno in alpe. Prima ero in Lombardia, al Crocedomini, dove ci siamo conosciute. Lì quell’estate ho passato su più o meno un mese. Poi le due estati successive sono stata su due mesi. Quest’anno qui starò due mesi e mezzo. Aiuto con il formaggio, vado al pascolo. E’ il primo anno che mungo, avevo paura di non riuscire. Per adesso mungo le vacche, sette a mano, stamattina volevo farne otto, ma non non ce l’ho ancora fatta! Sono contenta dell’esperienza. Ero abituata alle pecore, ad andare al pascolo, ma per il resto il lavoro è quello, gli orari sono un po’ diversi, ma uno si abitua. A casa abbiamo pecore, una quarantina, mio papà le tiene per passione. Mio nonno aveva le vacche, ma quando non ha più potuto tenerle abbiamo preso le pecore.

E qui riceverà anche un prezioso regalo. Ci sono delle differenze tra Lombardia e Piemonte, per esempio qui si usano molte più campane e queste poi sono sorrette dalle canaule. E così, dal lavoro di Ivan e Katia (uno intaglia, l’altra colora), eccone una appositamente dedicata che servirà per adornare il collo di Susy, un’agnella speciale che avevamo conosciuto qui. “La cosa che mi piace di più è andare al pascolo delle pecore, però sto prendendo gusto anche a fare il formaggio e mungere.” Camilla si è stupita per la folla che partecipa alle transumanze (quella dell’Alpe Giulian è particolarmente numerosa e allegra), abituata ai pastori vaganti per cui ogni giorno è una transumanza, per cui anche in alpe si sale senza particolari clamori.

Raggiungo gregge e pastore al pascolo. Lungo il sentiero le tracce dei recinti, Ivan sta facendo un buon lavoro per migliorare i pascoli. Invece di realizzare i recinti nelle aree più comode, pianeggianti (e solitamente con un’erba migliore), li sposta via via sui versanti, cercando di far arretrare i cespugli di mirtilli e rododendri. E bravo pastore, questo sì che vuol dire gestire la montagna!

Il gregge è in un vallone laterale che non conoscevo. “Se al posto dei sassi ci fosse tutta erba, qui salterebbe fuori un altro alpeggio…“. In effetti il posto è davvero bello, ma tutto il cotico è disseminato di rocce e vi è pure il pericolo che gli animali, spostandosi, ne facciano cadere altre, mettendo a rischio la loro stessa incolumità. Chiacchieriamo a lungo, si parla della nuova baita, dell’andamento della stagione, dei danni subiti da altri pastori per causa del lupo, degli avvistamenti nella parte alta della valle.

Adesso che abbiamo la casa, inizieranno i problemi per il caseificio. Lo so che non è come dovrebbe essere, ma lo spazio a disposizione era quello e non si può fare nella stessa baita anche il bagno e lo spogliatoio. Poi l’alpeggio è del Comune, abbiamo già messo tanto di nostro per la baita, rischiando… Se l’asl vuole un altro caseificio, vada a dirlo al Comune! Lo so che adesso non ci sono soldi, mi rendo conto che il Comune deve spendere quei pochi che ci sono per tutti, quindi magari asfaltano una strada che serve per 50 famiglie. La gente potrebbe trovare da dire se si spendono migliaia di euro per qualcosa che serve per una famiglia sola per pochi mesi all’anno quassù…“. Il discorso ha la sua logica, le difficoltà sono tante, la legge non sta a guardare le singole realtà. Eppure la caseificazione è fondamentale: non tanto quassù, dove si vende poco (il transito di turisti è soprattutto composto da escursionisti stranieri che seguono la GtA), quanto in generale. “Camilla si stupisce a sentir parlare di mungitura delle pecore, ma come ti ho sempre detto, è quella mungitura che mi fa tirare avanti, lo stipendio quotidiano del pastore… Paga la benzina ad andare su e giù…“.

Come era accaduto in passato presso altri pastori, ho l’occasione di filmare il pastore mentre manda il suo cane a girare le pecore, che stanno avviandosi in massa verso un punto troppo ripido e pietroso. Quant’è prezioso il lavoro dei cani in questo mestiere! Insostituibile! Una persona non potrebbe mai svolgere lo stesso compito, ma anche il cane deve avere il giusto addestramento e la predisposizione, altrimenti il rischio di incidenti sarebbe ancora maggiore del passaggio spontaneo del gregge in quel punto.

Torno all’alpeggio, passo accanto alle vacche, sta salendo la nebbia e cadono alcune rade gocce di pioggia. Chiacchiero ancora con Camilla e Katia, in alpe c’è anche il giovanissimo Davide (11 anni), cugino di Katia e Ivan. Sta passando qui l’estate per badare al bimbo e dare una mano in generale. Sul tavolo ci sono i libri dei compiti delle vacanze aperti, ma vengono chiusi rapidamente per lasciare il posto ad una tazza di thè con i biscotti.


E’ finita l’estate?

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Ci sarebbero tante cose di cui scrivere, argomenti legati al mondo dell’allevamento, della pastorizia, dell’alpeggio, di cui sarebbe bello parlare con voi. Molte sono notizie negative, tristi o che fanno innervosire. Francamente non ne ho voglia e non me la sento di impegolarmi in queste discussioni, tanto più che la mia ricomparsa on line è di breve durata e presto tornerò in alpe, quindi non potrei nemmeno portare avanti la discussione.

Parliamo così più semplicemente dei giorni passati, quando il grande caldo era stato bruscamente interrotto da una perturbazione che, qua e là, era stata anche abbastanza intensa. Dopo tanto caldo e sole, trovarsi delle giornate immersi nella nebbia fitta, interrotta solo da violenti scrosci di pioggia, temporali, vento freddo, era stato un cambiamento abbastanza brusco. La montagna non conosce molte sfumature, più si sale in quota più il clima si fa sentire in modo drastico. Questa volta però, a sentire le notizie che vengono dalla pianura, le cose sono state ben più gravi là nella bassa e quassù, nebbia a parte, si sentono solo i benefici del “rinfresco” generale.

Poi, come accade di solito in questa stagione, al maltempo fanno seguito alcune belle giornate. Ci sono ancora alcune nuvole passeggere, ma niente che faccia temere perturbazioni. L’aria è tersa, limpida, ed anche piuttosto fresca. Sembra già di cogliere delle note autunnali da fine stagione. Il sole ha i raggi più obliqui, le giornate si accorciano, il vento è subito più freddo. Che sia già finita l’estate, decisamente in anticipo sul calendario? Non ci sarebbe poi tanto da stupirsene, quassù.

In queste giornate succede un qualcosa che si verifica raramente, cioè che, senza nemmeno particolare sforzo, dalla cresta delle montagne si vede la città, di solito soffocata da una cappa di smog e foschia. Le “montagne di casa” le tocchi con un dito e dietro c’è Torino. Ad occhio nudo intuisci qualcosa, poi con il binocolo arrivi ad individuare gli edifici. Addirittura, oltre la collina, spicca addirittura la mole inquietante della centrale di Trino Vercellese. Sono in momenti così che i pastori pensano al “viaggio” dei loro colleghi che, a piedi, con il gregge, vanno anche oltre quei luoghi che ora loro stanno guardando con i propri occhi.

L’estate è appena arrivata su in alta quota, dove le piante devono sbrigarsi in poche settimane a compiere tutto il loro ciclo vegetativo. Qui c’è la flora che preferisco, tante erbe dalle fioriture meravigliose, più sono piccole ed abbarbicate al poco suolo disponibile, più ti stupiscono con colori e forme di rara bellezza. Anche la qualità di queste erbe è pregiata, ben lo sanno gli animali, che si spostano fin quassù per cercare i ciuffi che spuntano qua e là in quelle che vengono definite “vallette nivali”. Man mano che il pomeriggio avanza, l’aria si fa più fredda, il vento intenso spinge uomini ed animali a rientrare verso il basso.

Poi però, nei giorni successivi, la stagione riprende il suo corso e, al mattino, quando il recinto viene aperto gli animali già si ammucchiano, nel classico atteggiamento da giornate calde. Fosse per loro, passerebbero così delle ore, fino al raggiungimento di temperature più miti ed adatte per andare al pascolo. Ma questo poteva funzionare quando gli animali venivano lasciati liberi, ora che si è obbligati a confinarli nei recinti, bisogna anche forzarli a pascolare anche quando fa caldo.

La salita verso le quote maggiori e verso i pascoli avviene lentamente, con una fila che si snoda irregolarmente lungo il sentiero. Le nuvole di quel giorno hanno una consistenza diversa, non sono cariche di pioggia, né si tratta di passeggeri ammassi nuvolosi. Queste sono nuovamente le nebbie del caldo, quelle che si formano quando il calore della pianura arriva fin quassù. Per fortuna non sembrano essere troppo fitte e stazionarie.

Su su in quota l’estate forse non inizierà mai del tutto. Mentre il gregge pascola più in basso, si sale a vedere la testata del vallone, tra la nebbia che va e viene. Lassù, sui nevai, le tracce dei camosci e degli stambecchi, che pascolano in alto sulle cenge tra le rocce. Si sentono le pietre che cadono, mosse dal loro passaggio, ed i caratteristici sibili di allarme dei camosci, spaventati dai cani del pastore. Anche se quassù non verrà mai l’erba per il gregge, anche se (per fortuna) la neve non scioglierà mai del tutto, il pastore sa quanto è importante tutta questa massa d’acqua solida, a garantire torrenti mai asciutti ed erba fresca anche a fine stagione.


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