Oggi una riflessione traendo spunto da fatti personali. Raramente parlo di me stessa in queste pagine, pur raccontandovi sempre luoghi, personaggi ed avvenimenti a cui ho partecipato, salvo diverse indicazioni. La riflessione parte dal fatto che… ho acquistato i primi animali veramente miei. Le mie vicende personali in questi anni mi hanno portata in vario modo ad avere a che fare con animali di tutti i tipi, ovicaprini in particolare, ma non solo. Ho contratto la “maladia” come ben sapete. E questa non si cura allontanandosene… per cui ecco che attualmente sono titolare di un codice di stalla e di un piccolissimo numero di capre. Sul perchè capre e non pecore se volete ne parleremo poi…
Comunque, in questo strano mondo dove le cose accadono più qui, su questi schermi (di computer, tablet, smartphone), le mie capre e la reazione che hanno suscitato mi hanno stimolato riflessioni più profonde. Qui si parla di allevamento, ma potrei estenderle a qualsiasi altro settore. Rimaniamo nel nostro campo… Dicevo che le foto delle mie capre, pubblicate su Facebook (non uso altri social network) hanno ricevuto, in meno di una settimana, 500 mi piace come album e un numero che non ho quantificato di apprezzamenti alle singole immagini. Gli amici si sono scatenati nel darmi suggerimenti, consigli, suggerire nomi, c’è chi mi ha offerto assistenza tecnica e chi voleva vendermi del fieno…
C’è un aspetto anche divertente in tutto questo. Prima di tutto vi dico che lei alla fine l’ho battezzata Chocolat. Poi vi invito a riflettere su quanto conti il sapersi creare un’immagine e come la nostra società, oggi, premi più certi modelli rispetto ad altri. Fa più notizia chi sceglie di dedicarsi all’allevamento… piuttosto di chi l’ha sempre fatto. Se le stesse capre le avesse comprate un allevatore “per professione”, figlio, nipote di allevatori, e avesse condiviso le stesse foto, può anche darsi che si sarebbe sentito dire: “Che cosa hai preso?”. Qualche collega l’avrebbe criticato, gli avrebbe detto che le sue sono più belle. E se le avesse pubblicate l’allevatore che me le ha vendute? Vi sembra giusto che abbia più riconoscimento il mio averle acquistate, piuttosto che la storia che hanno alle spalle? Eppure, purtroppo, è così che vanno le cose oggi.
Mi hanno segnalato questo articolo, “Basta computer, farò il pastore“, una delle tante storie che piacciono ai giornalisti, raccontare una scelta di vita, un ritorno alla montagna, alla terra, all’agricoltura, all’allevamento. Ma anche quest’altro, la storia di un giovane di 19 anni che, dopo l’estate in malga con la famiglia, ha deciso di continuare il cammino seguendo il gregge di un pastore vagante. Potrebbe non esserci niente di eccezionale, ma… come dicevo prima, nella nostra società piace creare delle immagini. L’ho visto anche quando ho realizzato il libro sui giovani allevatori “Di questo lavoro mi piace tutto“.
Ma cosa c’è dietro? Quante sono le aziende tradizionali in seria difficoltà? Pensate alle recenti polemiche sul prezzo del latte, che arrivano alle orecchie di tutti quelle due, tre volte all’anno o magari nemmeno. Tutti gli altri giorni sono i produttori a farci i conti o meglio, a non riuscire più a farli quadrare! Basta un servizio, molto tendenzioso, sulla carne “nociva” per causare danni a tutto il settore. Poi escono nei giorni successivi articoli, interviste, documenti che attestano come ciò non fosse vero, fosse esagerato, fosse mal interpretato. La nostra carne, i nostri salumi, mangiati con moderazione non fanno male. Ma l’immagine creata ad arte condiziona rapidamente una buona fetta di pubblico, incapace di ragionare con la propria testa. “L’ha detto la TV, l’ho letto su internet…“. Siamo peggio delle pecore di cui pubblico spesso le immagini qui!
In conclusione… Il mio suggerimento a tutti gli addetti ai lavori è questo. Visto che siamo in un mondo che vive di immagini, che ci piaccia o no, cerchiamo anche di venderci nel migliore di modi. Conta pure quello, pensate alle mie capre… Continuiamo ad allevare belle bestie, tenendole bene, lavoriamo secondo tradizione, ma ricordiamoci che oggi il mondo, prima di tutto, ci guarda. Possiamo fare il miglior formaggio del mondo, ma dobbiamo saperlo presentare, saperlo diffondere prima per immagine che concretamente. Se alleviamo al pascolo, all’aperto, valorizziamo queste caratteristiche, ci sono dei consumatori che lo apprezzano e lo ricercano. Magari riusciamo a spuntare un prezzo migliore, oltretutto. Molti l’hanno capito e lo stanno già facendo. Qualcuno scuoterà la testa, ma se vogliamo sopravvivere, dobbiamo farlo nel mondo in cui viviamo, altrimenti il rischio è l’estinzione. Il rischio è che l’esperto di computer in poco tempo abbia più “mi piace” dell’allevatore con la tradizione secolare, anche se probabilmente ne sa molto, molto meno di lui sull’allevamento. La mia speranza comunque è quella che ci si renda conto che l’eccesso di virtualità non ci sta facendo affatto bene: se ho invitato gli allevatori a curare di più l’immagine, invito ancora di più tutti gli altri ad informarsi, ad acquistare prodotti di sicura provenienza italiana, meglio ancora locale. Non c’è da stupirsi se un olio extravergine venduto a poco prezzo… alla fine non è extravergine! Un buon formaggio d’alpeggio non può costare pochi euro, c’è un mondo di lavoro, dietro a quel formaggio! …potrei continuare il discorso all’infinito…
