E’ da qualche settimana che voglio scrivere un post su questi argomenti, alla fine mi sono decisa a farlo dopo una chiacchierata casuale con un escursionista settantenne incontrato ieri per caso salendo con le ciastre sulla neve della Valle Po. La montagna fa di queste cose: le persone sconosciute si incontrano e cominciano a chiacchierare unite dal luogo in cui si trovano. Ma non tutti quelli che frequentano la montagna lo fanno ugualmente, non tutti la vivono e la sentono nello stesso modo.
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Ieri di gente su quella montagna ce n’era davvero tanta, ma molti puntavano ad una meta decisamente turistica. Qualcuno addirittura saliva con il servizio “navetta” operato dal gatto delle nevi e dalla motoslitta. Moltissimi salivano a piedi, con le ciastre appunto, o con gli sci e le pelli. Per alcuni la meta era la vetta, per altri la stazione di arrivo degli impianti, in disuso, trasformata in luogo di accoglienza e incontro per questi turisti. Dalla cima, lassù, si sentiva in basso la musica a tutto volume e si vedeva il brulicare della folla. Ma quella non è la mia montagna. Tutti quelli che c’erano su per la montagna ieri, erano lì per divertirsi, anche se in modo diverso. Alcuni cercavano il silenzio, il panorama, la soddisfazione di raggiungere una cresta e affacciarsi dall’altra parte, la sensazione della neve, dell’aria, il lasciar vagare i pensieri. Altri la compagnia, il divertimento, l’ebbrezza della velocità, la mangiata di gruppo, il frastuono della musica.
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Sulla via del ritorno ho attraversato questo che… non è un villaggio. Sono delle meire, piccole baite, sede di alpeggio per numerose famiglie, un tempo. Oggi credo che qui salga un unico margaro con la sua mandria, si vede in basso la stalla nuova. I turisti passano, ma quanti riflettono?
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Io ho vagato tra le baite silenziose, gli unici suoni erano gli scricchiolii della neve sotto le mie ciastre, le gocce d’acqua della neve che scioglieva da qualche tetto. Però tendevo l’orecchio ad altre voci, altri suoni. I suoni estivi, i cani, le campane, i muggiti, i richiami dell’uomo. Ma anche suoni più antichi, quando qui era tutto un brulicare di gente. “Le Meire di Pian Croesio (1846m) sono raggruppate al centro di una vasta conca di pascoli sul versante notte del territorio comunale. Quando erano tutte abitate il carico di bestiame risultava addirittura eccessivo e, nelle annate siccitose, veniva a mancare l’erba. Allora si mandavano i bambini a rubarla oltre la cresta spartiacque in territorio di Sampeyre, suscitando le proteste dei locali pastori.” (testo integrale qui)
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Vi ho parlato tante volte del mio vagabondare in quella terra di mezzo che è la montagna dell’uomo. O che ERA la montagna dell’uomo, mentre oggi il più delle volte è vittima di crolli e di abbandoni. C’è qualcosa che mi chiama in questi posti, e sono le voci di quelle pietre che parlano, che raccontano storie di un passato non così remoto. Un passato duro, difficile, ma che a volte incontro concretamente, come nel caso del manoscritto che mi è stato affidato dal suo Autore, per farne un libro. Proprio l’altro giorno ho trascritto questa frase: “…Adesso non esistono le mucche in queste stalle e stanno crollando soffitti e mura. E chi le viene l’ambizione a non lasciarle crollare fanno le tavernette come sale di aspetto…“. Ma chi va in montagna per “divertimento”, si pone certe domande? Fa certe riflessioni? O attraversano questi luoghi solo come uno sfondo, troppo presi a pensare al dislivello, alla meta, al materiale di cui è fatto il loro abbigliamento tecnico, o ancora parlando di teorie su come valorizzare la montagna?
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Veniamo ad un argomento di cui tanto si sta parlando in queste settimane, intorno al Re di Pietra, il Monviso che svetta all’orizzonte sovrastando le cime delle vallate tra la provincia di Torino e Cuneo. Qualcuno si è studiato di fare un bel parco naturale. Ma, tanto per cambiare, hanno pensato il tutto giù in pianura, lontano dalla montagna. Hanno tracciato confini e fatto progetti e hanno deliberato. Poi sono arrivati nelle valli e hanno pensato di portare le perline colorate agli indigeni, ma hanno trovato un’accoglienza non molto calorosa. Anche se per tanti versi ci sono divisioni, rivalità, screzi, questa volta interi comuni si sono uniti, com’è successo a Bobbio Pellice. O ancora: “Mercoledì 18 febbraio a Piasco i sindaci di Casteldelfino, Sampeyre e Piasco hanno ribadito il loro no secco, lo stesso ha fatto la Coldiretti, applauditi in un salone pieno di montanari della val Varaita. L’ass.re alla montagna Valmaggia ha sentito tutti e poi ha confermato che la proposta andrà avanti e entro fine marzo il Parco sarà cosa fatta. Questi sono i rapporti tra il Monte e il Piè. Evviva! Andiamo proprio bene“, scrive Mariano Allocco per l’associazione AlteTerre.
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Questa è la Conca del Prà, uno dei luoghi più conosciuti, apprezzati, frequentati dai turisti di queste parti che amano la montagna, senza esigenze di raggiungere le alte vette. E’ stata anche la meta di una delle mie prime escursioni in montagna, da bambina. Serve un parco, per tutelarla? E’ in pericolo? Perchè bisogna fare questo parco???
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Qui ci sono già strutture turistiche, un rifugio, un agriturismo d’estate, poi la Ciabota, che potremmo definire una locanda di alta montagna, non rifugio, non agriturismo anche se la famiglia che la gestisce ha anche gli animali. Ci sono gruppi di baite, tutte ben aggiustate ed utilizzate in vari modi. Cosa aggiungerebbe il parco a tutto questo? Ho sentito parlare di “opportunità”, ma mi dicono che, alle riunioni, queste grossi vantaggi per chi vive e lavora in quei territori, anche magari solo per pochi mesi all’anno, non sono stati spiegati in modo esaustivo. E, soprattutto, non si sono capiti i vincoli a cui si dovrebbe sottostare, nell’area sottoposta a tutela. Se restasse tutto com’è… che senso ha creare un parco, che bene o male delle spese le comporta?
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Nei regolamenti dei parchi c’è sempre scritto che si deve tener conto delle attività agricole preesistenti, ma ovunque chi sul territorio già c’era, dopo l’istituzione di un parco naturale si trova ad avere vincoli ulteriori, spese, problemi. Se vogliamo controllare i carichi di bestiame, esistono già dei regolamenti comunali, così come esistono organi di controllo per il rispetto delle normative vigenti a tutela del territorio nel suo complesso (CFS, ASL, ecc.). Se mi dite che il parco porta benefici nel senso che arriveranno fondi per migliorare la vita e il lavoro delle persone che qui operano, allora ben venga. Ma perchè la sensazione invece (visto il modo con cui è stato imposto dall’alto, senza sentire la gente) è che il parco sia creato da chi teorizza una montagna naturale, senza l’uomo? E’ come per il discorso del lupo… Mi pulisco la coscienza difendendo ad oltranza la wilderness, anche (e soprattutto) se abito in città, mi sposto in auto, ho tutto quello che la modernità passa al giorno d’oggi. Ma devo fare qualcosa per l’ambiente, allora decido che la montagna deve essere incontaminata, deve contare più il lupo del pastore, l’escursionista che sale la domenica, piuttosto di chi abita e lavora lassù 4-5 mesi all’anno.
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Solo per fare un esempio, le baite. Immagino che, nel parco, si debbano rispettare certe tipologie costruttive, impiegare certi materiali. E ciò, oggigiorno più che mai, comporta delle spese non indifferenti. Chi le coprirà? Se ho la “fortuna” di essere nel parco, mi costa tre volte tanto ristrutturare e adeguare l’alpeggio, mentre chi è 100 metri più in là, fuori dal confine, invece può continuare ad usare la lamiera per il tetto? Ci sarebbe da scriverne per ore. Ma la mia conclusione è che non possiamo da una parte rovinare la montagna con località di turismo di massa (penso a chi si trova a dover pascolare tra rottami nella pista da sci, moto, mtb, quad e altro ancora che sfrecciano sulle piste sterrate, campi da golf ecc), poi dall’altra creare dei bei parchi a immagine di chi la montagna non la vive in prima persona.