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Channel: Storie di pascolo vagante
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Grigio-verde

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Da quand’è che il clima è “strano”? Sento gente lamentarsi perchè “fa freddo”, ma a me sembra che il freddo non sia ancora arrivato. Non è solo una sensazione, basta guardare le temperature al mattino e, soprattutto, durante il giorno. Adesso sembra che abbia smesso di piovere, ma si parla di temperature miti, anche in montagna.

Pioggia prolungata, non fa freddo, e cosa succede? Un amico pastore mi chiama per mostrarmi le sue pecore. Sono diventate… verdi! Ci scherziamo su, ma c’è anche un pizzico di preoccupazione nelle sue parole. Non si è mai vista una cosa del genere prima. Tosate ad inizio autunno, nel vello mostrano delle strisce verdastre, che per certi animali sono particolarmente estese. La pelle è normale, rosa, ma la lana ha un odore diverso ed è appunto… verde!

Cerchiamo spiegazioni, ma la ragione è lì davanti a noi. Pioggia, alto tasso di umidità anche quando non piove, temperature elevate per la stagione. Così nel vello si sono sviluppate delle alghe. Grigio e verde, i due colori di quest’autunno che degrada nell’inverno senza dar segni di lasciar arrivare il freddo.

C’è chi potrebbe pensare che, a parte la pioggia fastidiosa ed eccessiva, i pastori non hanno ragione di lamentarsi, in un’annata simile. L’erba non manca, ma vi ho già spiegato molte volte che non tutto ciò che è verde è un pascolo per il gregge. Persino in mezzo ai filari delle vigne è tutto verde, a questa stagione!

Chi ha mai visto dei boschetti con l’erba verde a dicembre? Certi anni c’era la neve, oppure l’erba era gialla, gelata, bruciata dal freddo e dalla siccità. Qui il terreno è più sano. Dopo alcune corse avanti e indietro, le pecore si fermano a pascolare. Abituate nelle reti, inizialmente sono ingestibili, quando si trovano libere.

Grigio il cielo, verdi i prati. Fango e pozzanghere, la terra non riesce più ad assorbire l’acqua. Il gregge a lungo andare si riempie la pancia, ma maggiore è il numero di animali, più fatica il pastore a trovare il posto per condurli al pascolo. Chi ha potuto spostarsi verso le colline, dove c’è un terreno più drenante, tribola appena un po’ meno degli altri.

Nelle stoppie del mais non ci si può fermare a lungo. Anche se ci sono pannocchie a terra, è meglio che gli animali non ne mangino troppe. Il mais ha preso tutta la pioggia, potrebbe essere marcio, ammuffito. Solo le pannocchie rimaste in un angolo, su piante che non sono state toccate dai macchinari, sono belle gialle e sane.

Il gregge si sposta in un paesaggio primaverile. Anzi, in passato quante volte vi ho mostrato colori tenui, il verde che stentava ad emergere quando ormai era il mese di marzo? Guardate invece ora le sponde dei campi e dei prati!

Una lunga fila nella stradina tra i campi. Chi cammina dietro al gregge scivola sul fango. Il cielo è di nuovo grigio e pioverà ancora. Presto il grano diventerà giallo per la troppa pioggia. Com’è il detto? “Sotto la neve, pane, sotto la pioggia, fame.

Ancora un prato da pascolare prima che venga notte. Le giornate adesso sono corte, l’oscurità arriva presto. Le giornate durerebbero un po’ di più se non ci fosse quella coltre di nuvole grigie nel cielo, ma per il momento il clima è questo e le pecore sono diventate verdi. La cura? Clima secco e freddo!



La fiera di Caselle

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Agli inizi di dicembre c’è una delle ultime fiere zootecniche da queste parti, ed è quella di Caselle (TO). Ne avevo sempre sentito parlare, ma non avevo mai avuto occasione di andare a fare un giro. Quest’anno invece mi sono diretta verso quel comune famoso soprattutto per l’aeroporto…

Che dire, c’era tutto quello che deve esserci in una fiera zootecnica. Nella piazza dove era esposto il bestiame, c’erano anche i mezzi agricoli e i banchi delle sellerie, con attrezzature e rudun.

Probabilmente mi aspettavo di vedere più animali. C’erano numerosi bovini, vacche da latte, ma solo in un lato della piazza. Commentando il fatto con alcuni anziani, mi hanno confermato che, un tempo, questa fiera (così come molte altre) conosceva altri fasti: “…e non solo questa piazza era piena, ma anche nell’altra lì dietro!

Altri tempi, altri numeri, altri soldi, altri mestieri. Poco per volta arrivano gli interessati, ci sono margari, allevatori, pastori, un po’ da tutto il Piemonte. Incontro amici Biellesi, molti dalle vallate del Pinerolese, ovviamente una nutrita rappresentanza Canavesana.

Non so come siano andati gli affari, le vendite sia di bestiame, sia di campanacci, in questo tempo di crisi. Però alla fiera si va anche solo per incontrarsi, per far due parole dal vivo, per vedere gli amici e le amiche.

Ecco un gruppo di giovani che sta “testando” dei nuovi campanacci svizzeri. Non ho ben capito se il loro suono sia stato apprezzato oppure no dai tradizionalisti. Parlando di suoni, o meglio, di rumori, ogni tanto la maggior parte della gente alzava gli occhi al cielo, senza riuscire ad abituarsi agli aerei che si abbassavano per atterrare. Ogni volta pareva dovessero scendere proprio lì tra le case…

La fiera non era immensa, ma il mercato si estendeva per tutto il centro di Caselle. C’era un po’ di “mercatino di Natale”, tanto abbigliamento…

Vasto assortimento di generi alimentari, con molti prodotti caratteristici del Sud Italia. Salumi, formaggi, pomodori secchi, legumi, frutta secca, frutta candita, dolciumi… Chi non era interessato al reparto zootecnico, poteva godersi il paese e il mercato.

Una piazza era interamente dedicata all’ortofrutta, con bancarelle che proponevano frutta e verdura dal bell’aspetto e dai profumi invitanti. Nonostante la stagione, erano belli i colori di questi banchi, tra mele, cavoli verdi e viola, piramidi di agrumi, qualche tocco di esotico e mele in quantità.

Ancora un giro tra gli animali prima di lasciare la fiera. Il cielo è grigio e il clima umido. Chi viene dalle valli afferma che in quota ci fosse il sole, ma la pianura è avvolta da un clima tipicamente autunnale, anche se senza nebbia.

Sono partita nel primo pomeriggio, ma gli amici mi dicono che, successivamente, la fiera si è ulteriormente animata. A me è rimasta una sensazione un po’ grigia, come il colore del cielo, forse anche per le tante lamentele ascoltate qua e là. Anche girando tra le bancarelle, a parte quelle di generi alimentari, nelle altre si vedeva ben poca gente in attesa di essere servita.


Buone feste

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In un clima decisamente poco invernale, auguro a tutti una buona stagione. Con il sole e con l’erba, l’acqua non gelata, i pastori non si lamentano. Speriamo nevichi in montagna, per coprire il suolo e garantire i pascoli del prossimo anno.

Auguri a tutti per le prossime festività. Il blog sarà aggiornato in base alle mie possibilità. Se non mi trovate on-line, ci sono due appuntamenti in cui potremo incontrarci dal vivo. Il 27 dicembre, alle ore 17:00, presenterò “Pascolo vagante 2004-2014″ a Druogno (VB), presso il centro di educazione ambientale di Orcesco. Il 29 dicembre invece il libro fotografico sulla pastorizia sarà ospite al Rifugio Melezè di Bellino (CN), ore 21:00. Vi aspetto!!


E l’inverno come sarà?

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Si è appena concluso uno strano autunno. Da queste parti non è stato freddo, anzi… eccezionalmente caldo! E piovoso. Vi avevo mostrato immagini dei campi allagati, delle pecore sotto l’acqua, addirittura delle pecore con le alghe nella lana.

Poi finalmente ha smesso di piovere e ci sono state giornate di bel sole. Sole caldo, perchè il freddo non è ancora arrivato. Sole che cercava di asciugare un po’ il terreno intriso d’acqua. Sole che faceva anche crescere l’erba, infatti tutti i prati sono di un verde insolito per la stagione.

In pianura ogni tanto si faceva vedere la nebbia, più o meno fitta. Le temperature non erano così basse da portare anche la brina e la galaverna, comunque in alcuni momenti l’intero gregge veniva inghiottito dall’umidità brumosa.

Poi all’improvviso la nebbia si ritirava, mostrando il cielo azzurro, le montagne bianche di neve, la pianura circostante. E’ dicembre, ma c’è qualcosa che stona, qualcosa di indefinibile. Per certi versi sembra primavera, per altri ancora autunno.

Per esempio c’è quell’albero che non ha ancora perso le foglie, con la sua chioma di un bel giallo intenso. Fosse arrivato il freddo, la galaverna, quelle foglie sarebbero a terra da tempo. E poi quell’erba così verde, sul terreno gonfio di acqua…

I pastori hanno tirato il fiato, quando ha smesso di piovere. Forse avrebbero addirittura preferito la neve, a tutta quell’acqua. Contrariamente a quel che molti possono pensare, gli animali patiscono meno con la neve che con la pioggia. Adesso pare che freddo e neve siano in arrivo, entro la fine della settimana. Erba nei prati ce n’è, ma chissà che inverno aspetta i pastori, dopo un’estate e un autunno come quelli appena trascorsi?

Per molti pastori la fine dell’autunno ha già portato anche i primi parti tra le capre, proprio nei giorni delle piogge più intense, così hanno dovuto cercare dei ricoveri per questi animali (mamme e capretti), più delicati delle pecore. Speriamo che l’inverno sia buono per tutti!


Le pecore vaganti camminano sempre?

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Durante la presentazione tenutasi in Val Vigezzo sabato scorso, mi sono state poste delle domande che mi hanno fatto capire come, durante le serate, io debba essere più esplicita. Chissà se anche stasera a Bellino (Rifugio Melezè, ore 21:00) il pubblico interverrà numeroso e partecipe? Lo spero!

Comunque, presentando “Pascolo vagante 2004-2014″, illustro la storia di questi 10 anni che mi hanno portato a vagare tra greggi e pastori. Poi passo a commentare i contenuti del libro, sempre accompagnandomi con le immagini. Ci sono foto di greggi al pascolo e molte immagini, ovviamente, di greggi in cammino.

Alla fine della proiezione, uno spettatore, cittadino per sua stessa ammissione, ha raccontato di esser stato una volta coinvolto, suo malgrado, nel pascolo vagante. Era lui uno di quei tanti automobilisti di cui parlo, infastidito dal dover attendere mentre passa un gregge. Visto che io potevo dargli delle spiegazioni, mi ha posto una serie di domande, tra cui quella riguardante lo stato d’animo delle pecore, che forse non sono poi così contente di dover camminare sempre.

Certo, sia qui, sia nelle proiezioni, privilegio immagini ad effetto di greggi in cammino. Si evidenzia di più il significato di pascolo vagante, a mio modo di vedere. Ma d’ora in poi dovrò specificare meglio che… sì, le pecore sono sempre all’aperto e si spostano a piedi, ma il senso dello spostamento è trovare luoghi in cui fermarsi a pascolare.

Il pastore, qualunque pastore, farebbe volentieri a meno di camminare per chilometri e chilometri con il suo gregge. Andrebbe di seguito se fossero tutti prati, tutte stoppie, tutti territori concessi per il pascolo. Ma non è così, almeno non qui, e così certi giorni non ci si muove affatto, in altri invece magari si compiono spostamenti più lunghi, anche di diversi chilometri.

Si cerca di partire con le pecore “piene”, che abbiano mangiato, per arrivare comunque in altri pascoli dove possano saziarsi a volontà. Questo è il mestiere dei pastori, pascolare le pecore, far sì che mangino a sufficienza. D’ora in poi cercherò di specificarlo meglio, nelle mie spiegazioni. Le pecore camminano dietro all’uomo che le conduce a pascolare. Anche gli animali selvatici camminano per procurarsi il cibo. Gli erbivori poi devono mangiare tutto il tempo prima di essere sazi, a differenza dei carnivori.


Analisi del 2014

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WordPress.com mi regala il rapporto annuale 2014 per questo blog. Se volete curiosare… Questi sono i dati che vengono forniti. …E il cammino di Pascolo Vagante continua…

Ecco un estratto:

Il Museo del Louvre riceve 8,5 milioni di visitatori ogni anno. Questo blog è stato visto circa 320.000 volte nel 2014. Se fosse un’esposizione al Louvre, ci vorrebbero circa 14 anni perché lo vedessero altrettante persone.

Clicca qui per vedere il rapporto completo.


Anno vecchio, anno nuovo

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Sta finendo anche il 2014. Tempo di bilanci? Si usa così… Un anno in chiaro-scuro, un anno per me molto difficile. Non faccio previsioni e pronostici per il prossimo, si vive alla giornata, augurandosi almeno un po’ di serenità. Ringrazio tutti coloro che hanno apprezzato le mie pubblicazioni (e il 2014 ha visto l’uscita sia del mio primo romanzo, “Lungo il sentiero“, sia della raccolta fotografica “Pascolo vagante 2004-2014“), averle acquistate è anche un tangibile sostegno a questo blog, che invece viene aggiornato come passatempo. Se nei prossimi mesi non sempre mi vedrete su queste pagine, sarà per diversi motivi. Non più solo “perchè sono sul campo”, come avveniva ahimè in passato, ma anche perchè devo seriamente impegnarmi in nuove attività lavorative-letterarie. Ho diverse idee e progetti, ma devo dedicarci del tempo.

Cercherò comunque di aggiornare anche queste pagine. E’ un po’ una malattia pure questa, inscindibilmente (per me) legata a quella per le pecore. Anche se non posso (almeno per il momento) lavorare con un “mio gregge” e “miei animali”,  ringrazio tutti gli amici che invece mi danno la possibilità di dare una mano presso il loro gregge o mi invitano anche solo per una visita. Ritengo che sia importante, necessario, fondamentale fare informazione sul mondo rurale, agricolo, zootecnico, montano. Sempre di più tocco con mano lo scollamento tra le realtà, sia tra persone che sognano un “ritorno” senza avere idea di cosa significhi vivere e lavorare in certi ambienti, in certe situazioni, sia tra chi invece non ha più la minima idea di come i prodotti alimentari arrivino nel loro piatto.

Non voglio farla lunga. Auguro a tutti, specialmente agli amici che stanno attraversando momenti difficili, un anno migliore. Un grosso grazie a tutti coloro che mi sono stati vicini nell’anno che sta per concludersi.


Attraversando la pianura

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Riprendiamo il cammino nel nuovo anno con una giornata di pascolo vagante avvenuta qualche tempo fa.

C’era da compiere un lungo tratto di strada, per cui era necessario partire presto, far mangiare le pecore e spostarsi, per arrivare a destinazione possibilmente prima che facesse buio. Soprattutto bisognava superare il ponte al momento giusto. Però, ormai dovreste saperlo tutti, un conto è sapere come occorrerebbe fare, un altro è affrontare i tanti piccoli imprevisti del cammino. Non si può mettere un timer al gregge!

Quando la giornata prende il via, prima ancora di aprire le reti si fanno tanti bei progetti, mentre si caricano gli agnelli più piccoli sull’asino e quelli più grandicelli, ma per i quali il cammino è troppo lungo, sul furgone al seguito. E così la giornata sarà sicuramente lunga, con tappe per pascolare e molti chilometri di cammino.

Ci si avvia nella campagna aperta, per fortuna non c’è nebbia e, come spesso accade in questa stagione un po’ strana, il sole non tarda a scaldare. Per alcuni tratti il cammino è più semplice, tra stoppie e campi arati, mentre quando lungo la strada ci sono prati, loietto di un bel verde brillante o campi dove il grano ha già le sue foglioline, bisogna far lavorare i cani che parino il gregge sui fianchi.

Ai bivi, lungo queste strade di campagna, si vedono anche piccoli cartelli che indicano un percorso di pellegrinaggio religioso. Non c’è tempo di leggerli, dopo un po’ se ne perdono le tracce, mentre il gregge transita attraverso le frazioni di pianura, tra cascine, case, cappelle e piloncini.

Il sole scalda, arriva il mezzogiorno, ma prima delle persone, devono mangiare le pecore. Si tenta una tappa in una stoppia di mais, verde di erba infestante, ma arrivano subito i contadini. Prima dicono ai pastori di sloggiare, poi, quando i cani già stanno girando le pecore, dicono che, se le pecore mangiano solo l’erba, potevano restare ancora. Cosa pensavano che mangiassero? La terra?

Quando finalmente c’è un prato dove il gregge può pascolare tranquillo, anche i pastori fanno pranzo. Le ore sono passate, il ponte da attraversare è ancora lontano. Adesso c’è il sole, l’aria quasi tiepida, l’unica preoccupazione sono le auto che sfrecciano tra le due strade entro cui è compreso il prato, ma è abbastanza ampio affinchè le pecore possano allargarsi e pascolare. Con l’inverno alle porte, tra l’erba spicca il giallo dei fiori del tarassaco, nemmeno fossimo nel mese di marzo.

Saziato il gregge, si riparte cercando di evitare il più possibile il traffico. Qua e là la campagna offre strade e piste tra campi e boschetti. C’è gente che taglia la legna e si entusiasma a veder passare le pecore: per una volta qualcuno che apprezza e non solo le solite esclamazioni di chi si impietosisce, come se la vita degli animali all’aperto meriti compassione, invece di essere quella migliore possibile. “Poverine, poverine! Povere bestie” è una delle esclamazioni più frequenti. Sentire invece dire: “Ma che belle, che spettacolo, che meraviglia!” è tutt’altra musica.

Purtroppo qualche strada trafficata da attraversare c’è. Sali sull’asfalto prima, fai segnali, fermi le auto e il gregge inizia a sfilare. Non bisogna nemmeno spingere troppo gli animali, visto che la sponda è ripida e potrebbero ammucchiarsi. Il momento peggiore però è quando quasi tutte le pecore sono transitate, quando al fondo restano gli ultimi animali, magari qualche agnello un po’ spaesato e, soprattutto, i cani. Gli automobilisti fremono e, appena il gruppo compatto è uscito dall’asfalto, fanno già rombare i motori e ripartono, senza tenere conto che un cane o un agnello ignorano il pericolo rappresentato dalle auto e basta un istante per finire sotto le ruote. Devo letteralmente piazzarmi davanti ad un’auto per evitare che la cucciola bianca al seguito del gregge finisca investita.

La cittadina è lì, in auto basta poco per percorrere la circonvallazione, ma a piedi si costeggiano altri campi, stoppie, terreni arati e si pascola un piccolo pioppeto verde di erba. C’è da passare il ponte sul fiume, il pastore ha già avvisato in Comune, verrà il vigile a fermare il traffico. L’arrivo del gregge coincide però con la fine dell’orario scolastico e così tocca attendere che la guardia municipale sia libera dall’impegno di sorvegliare l’uscita degli alunni.

Le giornate sono corte, passano i minuti, così quando finalmente ci si incammina sulla strada, il sole sta tramontando. Questo è il punto più critico di tutto il percorso. Basta pochissimo perchè si formi una lunga coda al seguito delle pecore, poi ci sono auto che arrivano in senso contrario ed è pericoloso per gli animali, soprattutto per i cani che vorrebbero contenere le pecore.

Quando finalmente si raggiunge il ponte, il vigile ha fermato il traffico. Non c’è visibilità e sarebbe troppo pericoloso incrociare delle auto. In questo modo invece si passa in completa sicurezza, godendosi anche il contrasto tra la modernità dell’opera e il fascino antico del gregge in cammino.

Sull’altra sponda del fiume, una lunga coda di auto, ma nessuno osa protestare, dal momento che c’è un uomo in divisa ed una macchina con il lampeggiante blu. Un saluto al vigile, un grazie e ci si augura buone feste, ma il cammino del gregge prosegue. Appena dopo finalmente si svolta di nuovo tra i campi, lontani dal traffico.

Il sole è ormai tramontato, alle spalle del gregge il cielo si tinge di rosso, arancio, giallo, viola e madreperla. E’ bello da vedere, ma ciò significa che l’ultima parte del cammino avverrà con l’oscurità. Sarà quella mezz’ora di attesa prima del ponte, sarà che comunque le pecore dovevano pascolare, sarà che le giornate a questa stagione sono corte, ma la notte incombe.

Per quanto le giornate siano brevi, intese come ore di luce, questa è comunque stata lunga. I chilometri percorsi a piedi sono stati parecchi, la stanchezza si fa sentire, un passo dopo l’altro, e bisogna ancora arrivare a destinazione.

L’ultima luce porta alla frazione, dove già è accesa l’illuminazione stradale, poi l’oscurità accompagna l’ultimo tratto di cammino. Sono quei momenti particolari, quell’ora della sera in cui il tempo sembra rallentare, rimanere sospeso. In lontananza si illuminano le luci delle strade, le case, si intravvede ancora il profilo delle montagne e degli alberi. Il gregge sparisce nell’oscurità, manca poco alla destinazione, poi si accenderanno le pile per vedere gli agnelli, scaricarli dal furgone e dall’asino, riconsegnarli alle mamme.



Un inverno che non vuole iniziare

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Inizierà l’inverno, quest’anno? C’è stato qualche timido tentativo, ma niente di serio. Infatti qua e là fioriscono le primule, i noccioli e si vede persino passare qualche farfalla.

In pianura può esserci una mattinata di nebbia e temperature più basse, ma non è più quella nebbia che durava per giorni e giorni, avvolgendo tutto. La brina sull’erba verde scioglierà in poco tempo, non appena arriverà il sole.

E il sole infatti non tarda a scaldare la pianura. Prima timidamente, quando la nebbia inizia a dissolversi, ma l’aria non è quella gelida e tagliente, quindi i suoi raggi in poche ore mitigheranno la mattinata. Il gregge è pronto a ripartire, ma… per i soliti imprevisti del pascolo vagante, non prende la direzione che si pensava.

E’ stato richiamato indietro da contadini che vogliono che si pascolino i prati. Grossi appezzamenti per cui merita ritornare sui propri passi e fermarsi qualche giorno. Così, con il sole in fronte e non alle spalle, si ripercorre il viale che porta al borgo, puntando in direzione delle montagne.

Finalmente non piove più, ma il terreno naturalmente acquitrinoso di questi luoghi è coperto di acqua: non è nemmeno gelata, a testimonianza di come le temperature non siano ancora quelle adatte alla stagione. Anche un pioppeto adiacente è completamente allagato.

Antiche cascine con i segni del tempo. La sera prima qui era ormai buio, adesso invece i muri mostrano la loro età. Poco oltre ci sono i prati che attendono il gregge. Il contadino aveva rincorso i pastori, vedendoli passare quasi nell’oscurità, ma non si più mettere la retromarcia alle pecore, così l’accordo è poi stato preso il mattino successivo, dopo aver visionato gli appezzamenti da pascolare.

Forse mai come quest’anno tutti cercano i pastori per far mangiare l’erba dei prati. Trinciarla, alta com’è, lascia a terra un tappeto che soffoca il ricaccio. Altrimenti tocca spargere il letame sull’erba alta. Non ci sarebbero problemi se non ci fossero quelle leggi che impongono date e scadenze per lo spandimento del letame nei prati e nei campi. Invece così molta erba “va persa” perchè i contadini non possono aspettare i pastori, ed i pastori non possono arrivare dovunque immediatamente.


Una ricetta antica, la Castradina

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Questo blog permette di incontrare persone da varie parti d’Italia ed anche effettuare “scambi” di vario tipo. Per esempio un giorno ha commentato un articolo la signora Mattea, di origini sarde, ma residente in Veneto, dove ha sempre lavorato come cuoca. Ci siamo scritte e mi ha mandato la ricetta della Castradina, antico piatto veneto: “…ho fatto la cuoca per tanti anni anche a Venezia, provo a dirle anche che il piatto tradizionale veneziano per il giorno della Salute, 21 novembre, e’ la “castradina”, una carne di castrato affumicata che viene preparata da secoli. Si trova nelle macellerie di Rialto e in un solo ristorante storico(esiste da prima della rivoluzione francese!): Vecio Fritolin, calle della Regina, Rialto. La proprietaria, Irina Freguia, è considerata la regina della castradina. E’ un piatto che richiede una preparazione un poco lunga ma il risultato è speciale benche’ non proprio leggerissimo.” Mi sono documentata in rete sulle origini di questa preparazione. Su Wikipedia così si parla di questo piatto: “La castradina è un antico cibo a base di cosciotto di montone salato, affumicato e poi stagionato, usato per fare una gustosa zuppa con l’aggiunta di foglie di verza, cipolle e vino, che tradizionalmente viene gustata alla vigilia della festa della Madonna della Salute (21 novembre). I veneziani la conoscono già dal 1173: infatti nel calmiere del doge Sebastiano Ziani è menzionata la sicce vero carnis de Romania et de Sclavinia ad indicare la provenienza dall’Albania, dalla Bosnia e dalla Sclavonia. La castradina arrivava a Venezia fino al 1914 sui trabaccoli e sulle tartane albanesi battenti bandiera turca o austroungarica e veniva servita direttamente dalle barche ormeggiate sulla riva degli Schiavoni.

Io vi propongo la ricetta datami da Mattea, anche se in rete ne ho trovate delle versioni differenti. “Quando si ha la carne a disposizione bisognerà innanzitutto lavarla e spazzolarla molto bene e ripetutamente, lasciandola anche a mollo in acqua tiepida per riuscire a togliere la maggior parte del colore scuro dell’affumicatura. Tagliata la carne a pezzi non troppo piccoli li si fanno sbollentare, immergendoli in acqua fredda, per una mezz’oretta. Scolati e risciacquati si rimettono in altra acqua fredda con gli aromi da brodo ma sempre senza sale. Anche da questa acqua li si scolano dopo una cottura più’ prolungata fino a che sian cotti ma ancora saldetti. Durante questa fase si lavano le verze tagliate in grossi pezzi e le si sistemano in una capace placca da forno a bordi alti sopra i pezzi di carne fino a coprirli tutti. Un filo di buon olio evo, un pizzico di sale e tanta acqua, o meglio brodo, a filo della sola carne: le verze cuoceranno praticamente a vapore. Coprire con un coperchio o con alluminio sigillandolo bene  e passare in forno caldo. Quando il liquido inizia a bollire abbassare la temperatura e far stufare finche’ la carne ha raggiunto il punto giusto di cottura. Eventualmente si fosse formato troppo liquido farlo evaporare scoprendo la placca. Servire molto caldo.

Personalmente, ho apportato delle piccolissime modifiche. Innanzitutto, la carne di castrato che avevo a disposizione non era affumicata (già è difficile trovare del castrato, potete anche usare dell’agnello, non troppo giovane, o del montone), quindi non c’era il problema di togliergli questo gusto. Avevo dello spezzatino misto (con l’osso) tagliato abbastanza grossolano, quindi adatto allo scopo. L’ho sbollentato come da ricetta e, nella seconda acqua, ho aggiunto cipolla, carota, sedano, alloro, rosmarino e timo. Invece di cuocerla in forno, ho utilizzato una particolare pentola di coccio refrattaria, di origine spagnola, dono di un caro amico. Qui ho messo i pezzi di carne, li ho coperti con brodo vegetale, quindi con la verza tagliata a fette, olio evo, sale ed ho lasciato cuocere a lungo, scoprendo a fine cottura per far evaporare parte del liquido.

In rete potrete trovare diverse ricette di castradina, molte prevedono una versione brodosa, come zuppa, anche con il vino, altre invece, più asciutte, sono decisamente un secondo. Qui un documento che parla della festa a cui è collegata. Non avendo io esperienze dirette, mi affido ai lettori per suggerimenti e commenti. Comunque vi posso assicurare che il mio risultato è stato ottimo, anche a detta di chi ieri sera ha partecipato alla cena.


Nella speranza che cambi qualcosa, ma…

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Non ho proprio più voglia di dover sempre parlare delle stesse cose, però mi hanno per l’ennesima volta tirata in ballo e allora riflettiamo ancora una volta sul “problema lupo” & C. Tra le altre cose sono stata stimolata ieri dall’incontro con alcuni allevatori francesi, poi successivamente da una chiacchierata con un amico pastore “nostrano”. Da una parte, è interessante toccare con mano altre realtà, nel senso che qui ci sembra che appena oltre il confine tutto funzioni meglio che non in Italia, mentre a sentir parlare loro, i problemi sono esattamente i medesimi, in tutte le varie sfumature.

Era da qualche tempo che tenevo da parte il numero 88 di Alpidoc, dove tra l’altro compariva anche una mia breve riflessione estratta da questo blog. C’erano però anche due riquadri, con le impressioni di chi la montagna la vede sotto un altro punto di vista. Qui leggiamo l’esperienza di un escursionista incappato in un maremmano a guardia di una mandria di vacche. Che dire? Con le pecore solitamente, oltre ai cani da guardiania, c’è anche il pastore. Con i bovini no. Sono adatti questi cani a sorvegliare i bovini? Ho sentito alcune esperienze positive a riguardo, ma sicuramente “c’è da lavorare” per gli esperti e per gli allevatori. Ma servirebbe sicuramente un servizio di assistenza tecnica efficace e capillare per seguire l’inserimento ed il funzionamento dei cani da guardiania. Lo so che è un costo, ma se si vuole il lupo… occorre fare di tutto per tutelare gli allevatori, prima di tutto!

Sempre nello stesso articolo, mi ha indignata e non poco la riflessione (ahimè anonima) di questo gestore di rifugio. Che ci siano stati incidenti è appurato. Responsabilità di singoli cani e di singoli allevatori che li gestiscono male? Probabile. Poi molte volte ho osservato comunque un comportamento fortemente scorretto da parte dei turisti. Ma arrivare a parlare di cani che formano branchi e si inselvatichiscono secondo me è assurdo ed esagerato. Inoltre contribuisce a creare panico, per non parlare di quando si dice che questi cani non vengono nutriti. Io potrei raccontarvi un episodio in cui, in cima ad una montagna, un cane di un escursionista ha rubato da uno zaino del cibo. E non era un cane non nutrito…

Al gestore di rifugio (sapessi chi è!) vorrei raccontare un episodio che ho vissuto in prima persona. Salivo verso il Rifugio Garelli in Valle Pesio, sono stata superata da uno sportivo che si allenava di corsa. Non avevo incontrato i famigerati cani da guardiania, il gregge aveva abbandonato il vallone, ma poco dopo, quasi in vista del rifugio, vedo il ragazzo che torna indietro. Mi dice che non può raggiungere il rifugio, e quindi scendere dall’altro sentiero, perchè ci sono due cani che non lo lasciano passare. Lo accompagno e scopriamo che sono semplicemente i cani del gestore. E’ vero, abbaiavano… Io, che non ho paura, li ho chiamati fischiando e mi sono venuti incontro scodinzolando. Poco dopo è uscito il gestore ed ha rassicurato il ragazzo, che comunque continuava ad essere teso e preoccupato. Non erano cani dei pastori, eppure questo rifugio stava per perdere un cliente…

Di cani da guardiania ormai ce ne sono tantissimi. Ogni gregge ha i suoi fedeli accompagnatori che, estate ed inverno, lo seguono al pascolo e negli spostamenti. In questi dieci e più anni che ho trascorso tra i pastori, solo una volta ho avuto dei problemi con un cane da guardiania, un soggetto con problemi comportamentali che infatti non è più stato possibile impiegare in alpeggio. In questi ultimi tempi ho anche fatto visita a diversi greggi con il mio cane e, con un corretto avvicinamento, non è successo nulla.

Alcuni amici mi hanno segnalato con un certo fastidio questa iniziava che si inserisce nel progetto Wolfalps. Anche loro hanno cani da guardiania, ma non sono stati coinvolti. Mi dicono che non è la mancata convocazione ad infastidirli, ma il metodo. Perchè dividere i pastori tra “buoni e cattivi”? Non sarebbe meglio far sì che tutti ricevano dei cani adatti? Se poi pensiamo che certe greggi grosse hanno 7-8 cani a difesa degli animali, dare le crocchette a 150 equivale a ben poca cosa. Mi potrete dire che “è meglio di niente”, ma secondo me sarebbe stato meglio trovare cani ben addestrati da sostituire quelli in cui si sono verificate situazioni problematiche.

Sempre parlando di cani, ritengo sia indispensabile fare una corretta informazione a riguardo, ribattendo puntualmente a personaggi tipo il gestore di rifugio di cui sopra e iniziando a formare anche il turista. Vi rimando a questo post pubblicato qualche tempo fa, in cui potete anche vedere l’ottimo video realizzato in Svizzera. Non sono cani aggressivi “a priori”. Ovviamente fanno il loro lavoro di difesa, per cui sono stati educati da generazioni. Altrimenti… vedete quanto sono docili e affettuosi?

Per quello che riguarda i pastori, poco per volta anche qui, dove si era persa l’abitudine ad impiegare cani da guardiania, tutti se ne stanno dotando, anche se c’è chi compie degli errori nella loro educazione e gestione. Ribadisco pertanto l’esigenza di assistenza in tal senso. Leggendo commenti su facebook ad attacchi accaduti in varie parti d’Italia, c’è sempre qualcuno dal Centro-Sud che commenta: “Avete dei cani che non valgono nulla, altrimenti non avreste problemi.” Mi spiace vedere questi comportamenti di superiorità tra colleghi, sarebbe preferibile una migliore collaborazione. Suggerimenti e consigli, invece che critiche e infiniti sproloqui sulle caratteristiche della razza, diatribe su “maremmano” e “abruzzese”. Io cercherei di capire meglio il problema, secondo me molto legato alle caratteristiche del territorio (Alpi e Appennini sono diversi), alla composizione del gregge. Poi ogni caso andrebbe analizzato in tutte le sue componenti, non è solo una questione di cani!

E cosa dirà chi incontrerà altre razze di cani da guardiania, di taglia ancora maggiore? A prescindere dalla razza, turisti o non turisti, non si può pretendere che i pastori non li abbiano a protezione dei loro animali. L’ho già detto e scritto più volte: così come il pastore deve accettare il lupo (con tutti i relativi disagi, costi e danni), così i turisti devono accettare i cani, che in fondo sono un problema risolvibile ben più facilmente, con la giusta educazione e formazione di ambo le parti.

Permettetemi ancora un paio di riflessioni, maturate in tutti questi anni. Il “lupo” è un fenomeno complesso, dalle mille sfaccettature. Un danno grave per alcuni, un business per altri. Un fattore politico, addirittura. Una risorsa, un’occasione mancata. A chi mi chiede che soluzione propongo io, con l’esperienza che mi sono fatta, posso dirvi questo. Da una parte hanno sbagliato i pastori, dovevano puntare di più i piedi, essere più saggi e lungimiranti. Nel mondo in cui viviamo purtroppo contano di più quelli che parlano di animali e di ambiente dalle scrivanie d’ufficio, piuttosto che chi l’ambiente lo vive 365 giorni all’anno. Dobbiamo tenerci il lupo? E allora fate in modo che possiamo vivere meglio laddove ci tocca restare per sorvegliare il nostro gregge. Le baite, pretendiamo le baite! E’ stato fatto qualcosa in tal senso? No. Un po’ di reti, qualche cane, qualche sacco di crocchette…

E’ più facile, è più semplice e, soprattutto, è meglio far sì che i pastori siano divisi al loro interno, farli passare per ignoranti, “cattivi” sterminatori di lupi. Oltre quindi ai sostegni concreti per la pastorizia (in Francia si riceve un tanto a capo, in modo che l’allevatore possa stipendiare un aiuto pastore, tanto per dire), io ritengo che, allo stato attuale, dato il numero di attacchi e di avvistamenti, bisogna consentire ai pastori di difendere attivamente il proprio gregge. Difficilmente questo porterà alla morte di molti lupi, ma avrà due utili conseguenze. Diminuirà l’impiego di altri metodi (tipo il veleno, pericoloso per tutti gli animali) e contribuirà a far sì che un animale intelligente come il lupo capisca dov’è meglio andare a mangiare. Se non ti brucia la coda quando predi un capriolo, ma senti fischiare la pallottola quando attacchi una pecora, la lezione la impari.


Vagando in montagna

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Quest’anno si può ancora andare in montagna, nella zona degli alpeggi, senza quasi trovare neve. Al massimo qualche placca di ghiaccio, o nemmeno quella, se il vento soffia caldo come in questi giorni.

Fa uno strano effetto vedere tutto così spoglio: i pascoli completamente gialli, si vede persino dove arrivava il filo delle vacche, in alto. Il paravalanghe che protegge il villaggio di Pequerel in questo momento non ha utilità.

Gli animali selvatici non hanno bisogno di scendere in basso per cercare nutrimento. I cinghiali lavorano indisturbati, la terra non è gelata, rivoltando e rovinando i pascoli. Lungo il sentiero, escrementi di ungulati e di lupo.

Qualcuno ha recentemente fatto pulizia, approfittando anche della mancanza di neve. Gli antichi terrazzamenti sono progressivamente sempre più invasi dai cespugli di rosa canina, crespino e altre piante, ma la loro espansione porterà alla perdita totale dei pascoli. Presumo però che un tempo questi fossero campi! Qualcuno ne ha ripulita almeno una parte, ammucchiando i rami spinosi.

Il vento soffia sempre più forte, le raffiche si sono intensificate, dalle creste di fronte si alzano pennacchi di neve e, via via, restano scoperte le rocce. C’è bisogno di neve. Pioggia ne abbiamo avuta tanta, in autunno, ma adesso servirebbe la neve a tener coperta la terra, a garantire una buona primavera, una buona estate, pascoli e sorgenti hanno bisogno di neve.

Scendo a valle e faccio visita ad un amico. Voglio parlarvi di lui anche se non è un allevatore, in quanto la sua attività fa sì che stia diventando conosciuto tra gli appassionati di questo mondo. Simone è un giovane abitante di Fenestrelle. Dopo un diploma all’Istituto agrario, una breve esperienze nell’ambito delle assicurazioni, da un paio di anni ha deciso di vivere e lavorare a tempo pieno sul territorio, per il territorio, svolgendo due attività.

La prima è quella che vi mostro ed ha a che fare con il legno. ST Legno d’Oc si trova appunto a Fenestrelle (Via Roma, 32). Qui vediamo la realizzazione di una canaula, che serve per sostenere le campane al collo di capre e pecore.

Visto che il mondo è piccolo e gli appassionati si ritrovano, la campana che sta per essere montata sulla canaula è opera dell’amico Silvio ‘d le Cioche. Trovate entrambi su Facebook, Simone e Silvio, se siete interessati ai loro lavori. Entrambi, attraverso questo mezzo, si sono fatti conoscere e riescono a far arrivare i loro lavori anche in altre parti d’Italia.

Ma i lavori in legno (compresi serramenti e mobili) sono solo una parte dell’attività di Simone. Perchè la montagna di oggi deve essere multifunzionale per sopravvivere. E così c’è l’azienda agricola Agri d’Oc, con produzione di patate, prodotti orticoli, frutti di bosco, uova & polli e anche il grano saraceno, grazie ad un progetto che si sta sviluppando in questi ultimi anni.

Non vi ho parlato direttamente di pastorizia, in questo post, ma vi invito a riflettere sul come si riesca oggi a sopravvivere in montagna. Bisogna fare tante cose… e per ciascuna c’è un bel carico di burocrazia, cosa di cui parlavamo anche mentre Simone terminava la canaula. Bisogna darsi da fare, bisogna avere una buona dose di passione anche per essere un agricoltore/falegname. Il socio di Simone, Marco, invece realizza gioielli in argento. Nell’esposizione di Fenestrelle trovate anche i suoi lavori, ma la sua residenza è nella borgata Fondufaux. Qui il suo sito. Tra l’altro, un pastore vagante pascola intorno alla casa di Marco, durante la stagione d’alpeggio. Visto che il mondo è piccolo?


Un premio, un libro e altro

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Non so quale sarà il risultato finale, ma è con grande gioia che vi comunico che il mio romanzo, “Lungo il sentiero“, sabato verrà premiato a Ronco Scrivia (GE).

Ho infatti partecipato al festival “Parole di Terra“, concorso letterario nazionale per la narrativa e saggistica dedicate al mondo rurale. La premiazione di terrà alle 15:30 sabato 17 gennaio 2015 e mi è stata inviata la comunicazione di essere, per l’appunto, tra i finalisti. Vi farò sapere. Intanto grazie a tutti quelli che l’hanno già letto e mi hanno mandato le loro impressioni.

Dalla Romania invece l’amico Dragos Lumpan, che qualche anno fa era stato anche in Piemonte per girare delle scene e scattare foto per un progetto sulla pastorizia, mi comunica che il libro fotografico è in vendita qui e qui. Il prezzo che vedete è in lei (equivalente a circa 19 euro) e non comprende le spese di spedizione.

(foto A.Malacarne)

In questi giorni ho poco tempo per il blog. Condivido però con voi queste foto dell’amico Adolfo Malacarne da Lamon. “Qui a Lamon stiamo cercando di far qualcosa per incrementare la nostra razza “Lamon”, razza in serio pericolo di estinzione dato l’esiguo numero di capi esistenti. Quest’anno, per la prima volta, i piccoli allevatori locali, hanno organizzato la festa della “desmontega de le fee“. A fine settembre, dai pascoli del monte Coppolo dove erano salite 3 mesi prima, le pecore sono state ricondotte nella piazza del paese dove si è tenuta una piccola festa, con la significativa presenza del dell’amministrazione comunale, in testa il sindaco Vania Malacarne, che da sempre incentiva ed appoggia il programma di ripopolamento della razza autoctona che a tutt’oggi conta circa 200 capi. Nella foto pecore e pastori, insieme al Sindaco, in posa davanti al monumento al pastore, scultura in bronzo di Augusto Murer.

(foto A.Malacarne)

Ecco ancora un’immagine della manifestazione, con le pecore in piazza. Ancora una volta grazie a chi ha piacere di condividere su queste pagine notizie, manifestazioni, eventi, storie relative al mondo della pastorizia.


Quando pioveva

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Sono rimasta un po’ indietro con gli aggiornamenti delle giornate di pascolo. Queste immagini sono del mese scorso, scattate quando ancora pioveva quasi tutti i giorni e ci si lamentava per l’acqua e per il fango.

Forse è stato proprio l’ultimo giorno di pioggia. Anzi, quando le pecore avevano finito di mangiare il pezzo e ci si è incamminati, aveva finito di piovere e il cielo iniziava ad aprirsi. Il problema sarebbe stato uscire sulla strada asfaltata.

Era inevitabile portar del fango sulla strada, ma due amici del pastore erano venuti con le scope per pulire il più grosso. Intanto si cercava di evitare il più possibile l’asfalto, passando in un prato davanti a delle villette.

Si fa quello che si può, ma ogni tanto dei tratti di strada tocca percorrerli. Sono proprio poche centinaia di metri, prima di svoltare di nuovo, abbandonando la via principale, più trafficata. La maggior parte degli agnelli piccoli sono stati caricati sul furgone, per cui il gregge avanza velocemente.

C’è da oltrepassare l’autostrada, quindi si sale sul cavalcavia. L’unico rischio qui sono i guard-rail, oltre i quali può passare qualche agnello o addirittura qualche pecora, faticando poi a tornare indietro e rischiando di finire nel posto sbagliato. Sono sempre attimi di panico, vissuti soprattutto da chi sta dietro alle pecore, mentre chi è davanti pensa ad altri problemi.

Quindi si procede parallelamente all’autostrada. E’ ancora tutto così verde, grazie alla pioggia ed alle temperature che non hanno ancora mai portato ghiaccio e brina. Il gregge avanza ordinatamente e le pecore, ben pasciute, non tentano nemmeno di uscire dalla strada.

Prati, campi seminati, stoppie, cascine qua e là, il gregge continua il suo cammino. Avanti e indietro, dalla pianura verso le colline, poi di nuovo in pianura, cercando di accontentare i contadini che hanno fretta di veder pascolati i loro prati, tenendo conto del meteo, del fango, delle esigenze degli animali.

C’è ancora tanto fango, e pozzanghere, ma finalmente le piogge stavano appunto per terminare, dopo settimane difficili per tutti coloro che lavorano all’aperto, pastori e non.

Alla fine ecco il gregge a destinazione. Nel cielo inizia a vedersi addirittura qualche chiazza di sereno. Adesso è da un po’ che invece non piove, il tempo ha fatto strane follie, con temperature superiori alla media, ma sembra che possa arrivare la neve…


Un reality “agreste”: che ne pensate?

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Mi contattano dalla redazione di un nuovo programma televisivo. Cercano almeno un pastore per questo reality che pare avere molto successo all’estero (30 paesi in giro per il mondo). Si chiama “Il contadino cerca moglie”. Ho rifiutato di ospitare su queste pagine la locandina con i riferimenti da chiamare per partecipare ai casting per diversi motivi.

Innanzitutto, nonostante le belle parole, temo che il programma da noi sarà una parodia ed una ridicolizzazione dell’agricoltore/allevatore. Manderanno delle ragazze di città desiderose di cambiar vita (e trovare marito) nelle aziende agricole di chi verrà selezionato. Se la cosa funziona e scocca la scintilla… Ecco la moglie e l’aiutante per i nostri “contadini”. Così dice il comunicato stampa: “Il programma ha per protagonisti contadini single (si può trattare di coltivatori diretti, imprenditori agricoli e allevatori) alla ricerca del vero amore. Ad ogni protagonista di campagna verranno affiancate pretendenti di città: donne che aspirano a una vita a contatto con la natura. Le pretendenti di città saranno ospitate a casa dei contadini e ne condivideranno la vita e il lavoro per alcuni giorni. Al termine di questo periodo di convivenza, ogni agricoltore esprimerà la sua preferenza e a questo punto si scoprirà se per qualcuno è scoccata la magica scintilla dell’amore!

Poi… e se fosse la contadina a cercare marito? Come mi hanno detto alcuni amici: “…la moglie non la cerco di sicuro in televisione!“. Il “Grande Fratello” lasciamolo a certi tipi di personaggi. Facciamo dei veri servizi sulla realtà agricola, non prese per i fondelli! Voi cosa ne pensate? Vi lascio alle prese con un sondaggio.

Non che non ci sia il “problema” di trovare chi condivida la tua vita… Ma la realtà è spesso diversa da quello che mostra la tv. Sarebbe appunto molto meglio realizzare servizi che illustrano sul serio la vita contadina, senza troppi fronzoli, poesia, romanticismo.



Al pascolo con gli amici

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Per i pastori non esistono giornate festive. Durante quelle che per molti però sono le “vacanze natalizie”, ho fatto visita ad amici in un’altra regione. Amici pastori.

Non ero mai stata da quelle parti. Siamo arrivate dal gregge partendo da casa a piedi e la mia amica via via mi mostrava tutti i prati che il gregge aveva pascolato nelle settimane, nei giorni precedenti. Praticamente prati quasi adiacenti che il pastore aveva potuto far mangiare andando di seguito, senza dover lasciare indietro nulla. Altro che in queste zone, dove un prato non lo pascoli perchè il contadino non vuole, un altro perchè passa poi un altro gregge, ecc.

Lì invece ogni pastore ha, o dovrebbe avere, una sua zona. Purtroppo ultimamente c’è chi non rispetta più queste antiche consuetudini, facendo nascere problemi sia tra pastori, sia con i contadini o comunque i residenti, che si lamentano per qualche danno, per qualche problema. Per fortuna invece, in quella mattinata del giorno di Santo Stefano, problemi non ce n’erano, la gente del paese veniva a vedere lo spettacolo e qualcuno ha anche portato un panettone o un pandoro ai pastori.

Finito di pascolare, dopo aver caricato i più piccoli tra i tantissimi agnelli, il gregge si mette in cammino verso un altro prato. Si attraversa una zona residenziale, tra muri, cancellate, siepi e strade laterali da cui può sbucare fuori un’auto. Lo spostamento è breve, ma nelle retrovie sono gli agnelli a far sudare non poco. Qualcuno si ferma, qualcun altro pensa bene di scappare all’indietro a tutta velocità e non è affatto semplice bloccarlo, catturarlo e recuperare la coda del gregge.

Nuovo prato, confinante con boschi e case ben protette da cancellate. Poi altri prati dall’altra parte del rigagnolo. E’ una zona di colline, verso il basso si intravede il blu del lago, intorno al quale il gregge è già stato. Meglio però allontanarsi dalle zone “cittadine” e soprattutto dalla popolazione cittadina, che si lamentava per escrementi delle pecore sulla pista ciclabile/pedonale che gira intorno al lago. I pastori hanno ai piedi gli scarponi, invece chi passeggia o corre, calza sgargianti scarpette multicolore che non intende assolutamente imbrattare di fango o… peggio ancora!

Non fa caldo, non fa freddo. E’ prevista neve per il giorno successivo, ma i dati sono discordanti sui centimetri che cadranno. Il gregge pascola tranquillo, anche per i pastori e i cani c’è un po’ di relax. Ognuno ha il suo metodo e i suoi orari nel gestire il gregge, per esempio in questo caso le pecore, sazie, vengono messe nel recinto prima ancora che venga notte. Il tutto ovviamente è favorito dal fatto che non si sia perso troppo tempo negli spostamenti, non c’è stato da tirare e togliere reti e i pezzi erano uno di fianco all’altro. Inoltre il pastore ha iniziato il lavoro al mattino molto presto.

Il giorno successivo in effetti l’aria della neve c’era ed in alcune zone è caduta, ma su quel gregge si sono solo visti pochi fiocchi che si sono poi dissolti rapidamente, senza causare disagi al lavoro dei pastori.

La neve stava appena iniziando a cadere quando, in un’altra zona, abbiamo incontrato questo gregge così variegato e variopinto. Pecore e bovini, tra questi vacche di razza Galloway e addirittura alcuni yak, che sicuramente non patiscono né il freddo, né la neve.


Ricetta di veloce: costolette di agnello al sesamo

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Una ricetta abbastanza classica, le costolette di agnello al sesamo.

Ingredienti (per 4 persone): 12-16 costolette (dipende dalla dimensione), 1 uovo, pangrattato, semi di sesamo (2 cucchiai), olio per friggere, sale

Battere leggermente le costolette per appiattirle. Rompere un uovo in un piatto fondo, in un altro mettere il pangrattato e i semi di sesamo. Mettere l’olio in una padella antiaderente larga, scaldarla a fuoco medio. Passare le costolette prima nell’uovo poi nel pangrattato/sesamo, poi ancora nell’uovo. Friggerle da ambo i lati, quando sono dorate toglierle e appoggiarle su carta assorbente, regolare di sale e servire ben calde. Dentro devono risultare rosate, ma cotte. Accompagnare la carne con insalata mista o purè di patate.


Bisognerebbe chiedere i danni

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Ho smesso di guardare il cosiddetto “TG satirico”, Striscia la Notizia. L’altra sera però, girando tra i canali, mi sono casualmente imbattuta nel solito Edoardo Stoppa che faceva visita ad un allevatore in Ossola (VB). Si sa, quando sono posti che conosci, ti soffermi maggiormente. E così ho guardato l’intero servizio, che potete rivedere anche voi. Anche solo così, ad occhio, c’erano molte cose che stonavano e contrastavano con le parole del “giornalista”. Ma questo lo può dire chi è del mestiere o che, bene o male, se ne intende. Ovviamente il pubblico generico si beve le parole di Stoppa e si indigna. Per gli animali “maltrattati”, per il latte nei secchi della vernice, per l’impossibilità di bere, ecc ecc ecc. Ma come stanno invece le cose?

Nei giorni successivi di articoli ne sono usciti tanti. L’indignazione è stata della gente dell’Ossola, degli allevatori di tutta Italia, ma anche delle istituzioni. Innanzitutto, gli animali non erano affatto maltrattati. Godono di ottima salute, hanno acqua da bere a volontà, stanno in stalla solo nella stagione invernale, altrimenti pascolano fuori e poi vanno in alpeggio. Leggete la difesa dell’allevatore uscita su “La Stampa”. «Con la vendita del formaggio riusciamo a malapena a coprire le spese, portiamo avanti il lavoro avviato anni fa dai nostri genitori con fatica, orari pesanti e, sebbene le nostre strutture non siano perfette, abbiamo bestie sane che trascorrono otto mesi libere in alpeggio e solo quattro in stalla». È lo sfogo di Mario Borri, allevatore di Domodossola. «Innanzitutto la persona intervistata è mio fratello che lavora in cava e offre il suo aiuto solo nel tempo libero; inoltre alcune parti del servizio in cui ci siamo difesi sono state tagliate – dice Borri -. Ciò non toglie che la nostra azienda abbia qualche dettaglio da migliorare, ma le difficoltà sono tante. Esiste una legge nel nostro Comune che permette di costruire il capannone per il fieno, ma non la stalla, perciò è difficile spostarci, quasi impossibile di conseguenza ottenere finanziamenti se manca il terreno su cui costruire. Le nostre stalle sono state fabbricate tanti anni fa e successivamente la zona è diventata residenziale, abbiamo le mani legate anche per vincoli idrogeologici e centro storico».  Vecchia storia già sentita!

Le strutture non sono recenti, ma come mai una volta in montagna le stalle erano così? Adesso ci entusiasmiamo vedendo una vecchia stalla con tipologie architettoniche di pregio come questa (in Val Troncea, TO), poi ci indigniamo nel caso in cui vi siano vacche all’interno? Muri spessi, per non patire il freddo dell’inverno di montagna. Le vacche lì non le vogliamo vedere, ma magari sogniamo di riadattarle e farci una tavernetta dove incontrarci la sera con gli amici… Qui uno sfogo dell’allevatore ad un giornale locale.

Anche l’Asl ha preso le difese dell’allevatore. Ce ne sono tante di vecchie stalle ancora utilizzate in montagna, ma non è questo a definire un cattivo allevatore e delle cattive condizioni di vita per gli animali. “…Non ci siamo però sentiti di agire in modo deciso con il pugno di ferro perché, né per i consumatori né per gli animali, ci sono le condizioni che farebbero pensare a una situazione gravissima. Certamente siamo coscienti del fatto che ci siano dei margini di miglioramento ed è per questo che avevamo già intavolato un dialogo con l’allevatore che, nonostante le difficoltà in cui verte, si è detto disponibile a intervenire”. Edoardo Stoppa ha inoltre dichiarato nel servizio che le bestie “stanno al buio 24 ore su 24 per mesi e mesi”, ma l’Asl dichiara che “dalla primavera all’autunno gli animali sono condotti in un alpeggio sopra Bognanco dove vivono in libertà. Lo abbiamo visitato anche noi”. L’Asl aggiunge anche che “il comparto allevatoriale è sempre stato sviluppato nel nostro territorio e noi ci impegniamo costantemente al monitoraggio dei numerosissimi piccoli allevamenti della zona. Addirittura il numero di questi è aumentato nel corso degli ultimi anni da quando i giovani, con sacrifici e rinunce, hanno deciso di proseguire l’attività iniziata dai padri o nonni. La realtà è peraltro fatta di molteplici sfaccettature e bisogna essere in grado di valutare in modo razionale le situazioni”“. Un servizio costruito facendo vedere e sentire solo quello che voleva il “giornalista”. Una vera vergogna!!!!! Non che non esistano veri casi da denuncia, ma… sono le istituzioni a dover intervenire.

Le “animaliste” che hanno creato il caso non demordono e, nonostante tutto, continuano a sostenere le loro ragioni, negando anche l’evidenza. Molte vecchie baite di montagna vanno all’abbandono e c’è chi si indigna pure per questo, chiedendosi come mai e magari sognando di tornare ad abitarle. Vedete? Anche questo caso è significativo per aiutare a comprendere come non si possa più fare. Non tanto magari per le persone, ma perchè passa un’animalista e si preoccupa per come vivono i vostri animali nelle vecchie stalle. Delle vostre difficoltà di allevatori/montanari, dei vostri problemi con la burocrazia e con i conti da far quadrare non se ne interessa nessuno. E’ più importante la porta arrugginita dietro le quali ruminano, ben pasciute e al caldo, le vostre vacche.


L’inverno scorre via

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Poca nebbia, poco freddo, quasi niente neve. Certo, è inverno, il termometro va anche sotto zero, ma non è il vero freddo di un tempo, quando giornate del genere erano la norma.

Gli anni passano, ma già solo quand’ero bambina ricordo interminabili giornate di nebbia, dal mattino alla sera, anche a casa mia, che proprio in pianura non è. La nebbia che iniziava in autunno e proseguiva in inverno, a volte fittissima.

Quel giorno il gregge doveva spostarsi. Le pecore vengono fatte pascolare fino alla tarda mattinata, poi ci si mette in cammino costeggiando l’antico muro di un palazzo in decadenza. Nebbia, freddo ed umidità, ma muovendosi insieme al gregge ci sarà da scaldarsi.

Il clima è adatto allo spostamento di quel giorno. Sono parecchi i chilometri da percorrere, lunghi tratti in mezzo a campi e prati. Con il terreno gelato, anche se qualche animale esce dalla strada e cammina a lato, non farà alcun danno alle coltivazioni. Comunque, con i cani si lavora continuamente per evitare il più possibile che ciò accada.

C’è qualche strada da attraversare, ma, con la nebbia, questo richiede maggiore attenzione ed anche l’aiuto di qualcuno che aspetti il gregge facendo segnalazioni agli automobilisti in arrivo. Per ferrovie e strade più importanti invece fortunatamente ci sono sottopassi o cavalcavia.

La nebbia però pian piano prende a dissolversi, lasciando filtrare i primi raggi di sole. Il gregge sta continuando il suo spostamento nella campagna, passando accanto a cascine, per poi percorrere lunghi tratti tra prati e campi, senza incontrare quasi nessuno.

Via via il sole inizia a scaldare e l’aria si fa meno pungente. Camminare insieme alle pecore comunque aveva già scacciato il freddo, specialmente dovendo continuamente badare che gli animali non fuoriescano nei seminati. Corrono i cani, ma anche le persone fanno la loro fatica.

Non ci sono molte occasioni per fermarsi a pascolare. In alcuni posti sono già passate altre greggi, molte stoppie sono state trinciate o addirittura già arate. Poi ci sono campi di cereali o prati in cui il contadino non concede il pascolamento, o l’ha promesso a pastori che devono ancora arrivare.

Strade secondarie tra la campagna, alcune asfaltate, molte sterrate. Bisogna studiarsi bene il percorso prima di affrontarlo con il gregge. Uomini, animali, anche i cani iniziano ad essere stanchi. Anche se affamate, le pecore iniziano ad andare più piano, non dovrebbe mancare molto alla meta. Per fortuna la nebbia si è dissolta, i raggi del sole sono già più bassi verso l’orizzonte e si intravvedono le prime colline.

La giornata è stata lunga, quando finalmente si arriva in vista della destinazione finale il sole sta per tramontare. A fine dicembre si diceva che l’inverno era solo all’inizio, che poteva ancora fare di tutto. Adesso che siamo a fine gennaio, i pastori dicono che ha ancora tempo a venire giù neve a febbraio, ma intanto pensano con gratitudine al fatto che, fino ad ora, non c’è stato da preoccuparsi troppo.


Album fotografico

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Ringrazio come sempre gli amici che mi mandano immagini da inserire in questo blog. Sono vergognosamente in ritardo nel loro inserimento, così oggi vi farò una carrellata su eventi del passato, grazie ad alcuni amici.

Prima di tutto però la richiesta di Sigi, dall’Austria, che cerca corna di becco, da utilizzare per le maschere come quella che vedere nella foto. Paga “un buon prezzo” per grosse corna. Scrivetegli se avete qualcosa per lui.

(foto S.Garnero)

 

Rimaniamo all’estero e andiamo in Scozia con Sergio. Questo è un arredo urbano che incontrate a Lockerbie. Un grazie speciale a chi si ricorda di me vedendo monumenti “a tema” e mi invia una foto da inserire qui!

(foto S.Meglia)

 

L’amico Silvio invece, il nostro appassionato produttore di campane artigianali, mi ha inviato numerose immagini dopo la fiera di Bobbio Pellice e quella di Luserna. I due eventi ve li avevo già descritti a suo tempo, oggi vi ripropongo solo una carrellata di immagini.

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

Tutte immagini della Fiera della Calà di Bobbio Pellice (TO), ottobre 2014. Rimaniamo in valle con i prossimi scatti.

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

(foto S.Meglia)

Queste invece sono immagini della Fiera dei Santi di Luserna San Giovanni (2 novembre). Per qualche giorno non mi vedrete on line su queste pagine, ma ci sarà una sorpresa nel prossimo post. A presto!


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