Ognuno ha dei sogni collegati alle proprie passioni. Tra i miei c’era quello di vedere la Crau, il “mitico” paradiso delle pecore in terra d’Oltralpe. Ci sono stata per una brevissima visita di lavoro (adesso vi spiegherò) e non ho potuto vedere/fotografare tutto quello che avrei voluto, ma sono rientrata con sentimenti contrastanti. Il primo è che l’erba del vicino è davvero più verde e non solo per questioni climatiche…
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Insieme ad un “gruppo di lavoro” composto da persone diverse (rappresentanti della Valle Stura per il progetto “La Routo”, docenti di istituti agrari, rappresentanti di Slow Food Biella+Istituto di Pollenzo, rappresentanti del progetto Propast, dell’Istituto Lattiero Caseario di Moretta e qualcun altro ancora), abbiamo avuto un’intensa due giorni in Francia per occuparci di formazione in ambito pastorale. La prima tappa è stata a Carmejane. In questo centro senza recinzioni, immerso nel verde, dove studiano e fanno pratica giovani ed adulti, si fa formazione in ambito agricolo.
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Oltre all’edificio scolastico vero e proprio c’è la fattoria, che è sia un’azienda, sia un luogo per fare pratica, sia un centro sperimentale. Tra le tante informazioni apprese durante la visita, vi sono alcuni punti che mi hanno particolarmente colpito e che desidero condividere con voi. Innanzitutto, la scuola agricola dipende non dal Ministero dell’Istruzione, ma da quello dell’Agricoltura. I programmi dei corsi provengono dal Ministero stesso e non sono creati dai docenti interni. Oltre alla formazione scolastica secondo vari livelli, presso il centro di Carmejane si può fare “apprendistato” e “formazione per adulti” (specializzazione o riconversione professionale). Non scendo nei dettagli della didattica, ma penso che vi interessi sapere che, in Francia, per insediarsi come azienda agricola e poter aver accesso ai contributi, sia necessario un diploma che attesti il grado di formazione specifica raggiunto. Altrimenti si può comunque aprire un’azienda, ma senza poter richiedere contributi.
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L’azienda è ovina, con un gregge di 600 pecore, un numero non così imponente, da queste parti. Si produce l’agnello di Sisteron, una delle produzioni a marchio di qualità della Provenza. La fattoria didattica collabora con tutte le organizzazioni professionali agricole esistenti e serve da base per le sperimentazioni dell’allevamento ovino. Tra le materie insegnate a chi segue i corsi specifici sulle produzioni zootecniche, c’è la gestione e conduzione delle superfici pastorali e l’adattamento del sistema di allevamento, con l’orientamento della filiera di produzione (ridurre i costi, aumentare i ricavi, migliorare le condizioni di lavoro…).
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Era periodo di tosatura, nell’azienda, attività che si svolge una sola volta all’anno. In questi due giorni ho scoperto che la lana in Francia non è così problematica come in Italia o meglio, c’è lana e lana. I costi di tosatura sono leggermente inferiori (forse per le dimensioni più ridotte e “maneggevoli” degli animali), ma per la razza Merinos d’Arles i ricavi coprono interamente le spese e consentono anche dei margini di guadagno per l’allevatore.
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Il gregge di Carmejane è composto principalmente da animali di razza Prealpi. Un piccolo nucleo era al pascolo, gli altri animali erano tutti suddivisi nelle stalle, alimentati con fieno. Montoni, pecore gravide, pecore con gli agnelli e così via, in un’organizzazione che pareva molto buona e funzionale, per non parlare poi delle stalle, spaziose, luminose, ben arieggiate.
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Una curiosità? Ecco un montone “mascotte” con la floucà, la caratteristica tosatura che contraddistingue gli animali che guidano il gregge nella transumanza. Per tornare a quanto ci è stato spiegato, si è parlato di una lunga tradizione dell’allevamento sul territorio, ma anche di giovani che danno vita a nuovi insediamenti, piccole realtà interessate alla trasformazione ed alla vendita diretta dei prodotti, specie lattiero-caseari.
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A Carmejane si trova anche il Centre Fromager, una struttura dedicata alla formazione in ambito caseario, dove si organizzano corsi di vario tipo, sia “puntuali” legati ad una singola problematica e/o alla richiesta di un produttore, sia generali sulle diverse tecniche di caseificazione, sull’affinamento, ecc… La visita nel complesso è stata interessante, ma il nostro obiettivo principale era ancora un altro, cioè quello della formazione in ambito più specifico, cioè la professione di pastore.
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Per far questo ci siamo spostati proprio lì, ai margini della Crau, alla “famosa” scuola di Merle. Questo centro di formazione indirizzato proprio a formare “pastori” esiste dagli inizi degli anni ’30. Frutto di una donazione, strutture e terre fanno sì che qui, nel cuore delle ragione pastorale di Francia, giovani (e non solo) possano conseguire la qualifica di “pastore transumante”, a differenza delle altre 3 scuole simili (più recenti) esistenti in altre parti di Francia, dove ci si può specializzare sull’alpeggio (in Ariege), pastore di alta montagna, con pratica di gestione di animali, pascoli, ma anche mestieri complementari (tosatura, taglio legna…) sui Pirenei, per finire con la scuola di pastore/vaccaro d’alpeggio in Savoia.
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Questa è la patria della razza Merinos d’Arles e, nelle stalle della scuola, abbiamo visto solo alcuni montoni. Purtroppo non ci siamo fermati a vedere uno delle tante greggi scorte dai finestrini del pullman, comunque nel giro di pochi chilometri, solo sul nostro tragitto, ne ho contati sei e tutti di dimensioni considerevoli. Ovviamente qui il pastore è una figura importante ed è un fondamentale aiutante per l’allevatore. Le due figure, almeno in quest’area della Francia, sono distinte. L’allevatore è il manager, colui che gestisce l’azienda, si occupa dei pascoli, delle praterie, della fienagione in estate, della commercializzazione degli animali, ecc… Alle sue dipendenze vi sono i pastori salariati, diminuiti come numero da quando la transumanza si affronta con gli autotreni e non più a piedi.
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La direttrice della scuola ci ha spiegato nel dettaglio cosa imparano gli studenti, ragazzi e sempre più ragazze provenienti da tutta la Francia, desiderosi di imparare questo mestiere. “Facciamo un colloquio per la selezione, abbiamo solo 20 posti per anno, tanti ne finanzia il dipartimento. devono avere una vera motivazione, non basta che dicano che piace la montagna e fare delle camminate all’aria aperta. Guardiamo l’esperienza che hanno, le attitudini fisiche e morali, le qualità di adattamento e di osservazione…“. Il mestiere di pastore è una cosa seria e non il lavoro per gli ultimi: “E’ un operaio altamente qualificato, con grandi responsabilità. Si troverà spesso a lavorare da solo, specialmente in alpeggio. Deve essere polivalente, svolgere i tre ruoli principali di gestione del gregge, gestione delle risorse pastorali e gestire le strutture. Deve saper lavorare in autonomia, saper prevenire, individuare e curare i problemi sanitari.” Tutto ciò che in effetti fa il pastore, ma che deve essere spiegato ed insegnato a chi lo vuol diventare.
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Nella fattoria della scuola si fa anche sperimentazione. Guardate questo strano apparecchio che qui potete vedere nella sua parte centrale. E’ un prototipo di una macchina all’interno della quale, tramite un corridoio, entrano gli animali. C’è un lettore per il microchip, un peso, un sistema di aperture di porte che permettono di separare gli animali in base al criterio impostato. Il peso poi permette di dosare ad esempio la dose di svermante che viene somministrato sempre all’interno dell’apparecchio. Un sogno, vero? Ovvio che qui ci sono altri numeri, la realtà permette di attrezzarsi anche così, perchè quello di pastore è un mestiere non solo rispettabile, ma anche sostenibile!
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Qualche problema nella vendita dei capi c’è, ma i numeri fanno la differenza. Non si vende l’agnellino: “…solo a Natale, per l’Italia“, ma si macellano animali di 40 kg. La pecora a fine carriera si vende poco ed a basso prezzo, ma la lana, come si diceva, ha un suo valore. Per farvi capire la sostenibilità dell’azienda, un pastore salariato in alpeggio riceve uno stipendio base di 2.000-2.100 €/mese, anche più alto in base all’esperienza. Non di rado in alpe più allevatori mettono insieme gli animali per avere un gregge più grande. Per il resto dell’anno, il livello più basso di specializzazione prende 1.200-1.500 €/mese. Ecco perchè c’è una scuola, ecco perchè molti dei diplomati trovano subito impiego. C’è la domanda, c’è un mercato, c’è una paga equa.
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Ma soprattutto ci sono i veri spazi per la pastorizia. Qui fare il pastore è un’altra cosa. Ci hanno spiegato in cosa consiste il “sistema Crau“, nel delta della Durance. A questo fiume la Crau è legato per il canale che, dalla diga di Serre-Ponçon, porta l’acqua in parallelo al fiume, per poi permettere l’irrigazione delle praterie. Queste sono vaste distese verdi, circondate da fossi che permettono di allagarle periodicamente, e da siepi di alberi ed arbusti, che proteggono dal forte vento che spesso soffia da queste parti. Qui si produce l’altra risorsa della Crau, il fieno, che è riconosciuto addirittura con una DOP. Tre tagli, il primo a maggio e gli altri a seguire, almeno dopo 42 giorni, poi il “quarto taglio” è destinato al pascolamento delle greggi di ritorno dall’alpeggio. E’ questo il periodo della nascita degli agnelli.
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Dalle praterie, appena poco oltre, dove non si irriga, si passa nei “coussouls”, la parte arida, dove le greggi pascolano nel resto dell’anno, inverno e primavera, con degli spostamenti verso la collina e poi la partenza per l’alpeggio a giugno. Tutta la gestione dell’azienda è impostata su questi momenti, per ottimizzare le risorse ed il lavoro. Il fieno viene venduto, spesso agli allevamenti di cavalli, o utilizzato internamente (secondo taglio) per l’ingrasso dei montoni.
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Mi hanno assicurato che qui, in quest’arida steppa che si estende a perdita d’occhio, le pecore ingrassano e sono poi pronte ad affrontare l’alpeggio. Sembra incredibile, eppure questo è uno dei cuori della pastorizia europea. Qui il gregge medio conta mille capi, “…ma il numero dei pastori a sorvegliarlo è diminuito drasticamente da quando sono state introdotte le reti.” Qui si va a scuola per diventare pastori, pastori moderni del XXI secolo, infatti la stessa scuola ha dovuto rinnovarsi qualche anno fa, perchè oggi il pastore deve sia essere “trattato bene” dall’allevatore, ma deve sapersi anche rapportare con il pubblico, specie in montagna. Il pastore salariato deve avere migliori competenze, gli operatori devono essere seriamente motivati.
E noi, cosa riusciremo a fare in Italia, dove il mestiere di pastore è sempre più difficilmente sostenibile? A sentire lo stipendio di un salariato in Francia scommetto che molti diranno (ma non lo faranno mai): “Ma allora le vendo tutte e vado a fare la stagione di là!“. Qui nessun pastore può pagare tanto un aiutante, perchè non ne ha le possibilità. Però il reale bisogno di aiutanti formati ed affidabili esiste. Quindi? Quindi si cercherà di fare il possibile per creare un “corso per pastori” anche in Piemonte. Non possiamo pensare di riuscire subito a realizzare un qualcosa a pari livello con la scuola di Merle, che vanta così tanti anni (ed un territorio del genere) alle spalle, però…