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Channel: Storie di pascolo vagante
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Ho ritrovato la gioia di essere pastore

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Ve lo ricordate Gabriele? Aveva scritto ed avevo raccontato la sua storia qui, un pastore “senza pecore”, con la nostalgia degli animali e l’idea, prima o poi, di tornare a quella vita. Ebbene… ci sono stati sviluppi positivi. Leggete qui.

Sono qui per darti il continuo della storia del ” Pastore senza Pecore “: ebbene si, ce l’ho fatta, ho ritrovato la gioia di essere Pastore di nuovo. Ho lasciato il lavoro in ufficio e sono tornato a fare il Pastore. Ho trovato un annuncio su un sito di settore dove cercavano un Pastore per un allevamento di capre in Toscana. Ho accettato subito senza esitare e senza pensarci due volte. Alla cieca, mi sono ritrovato in paradiso.Un gregge meraviglioso, nella Toscana rurale dove, tra colline e colori spettacolari, si vive sempre come una volta. La stufa in casa, il pane cotto lì per lì,un pezzo di formaggio e un salamino e via che si va. Le piccole sono dolcissimissime, docili, sensibili, sentono il mio umore. Il secondo giorno che ero qui già rispondevano al mio richiamo ed io in testa al gregge canticchiando e fischiettando le mie lodi a Dio per la grazia ricevuta .

Spalo letame tutti i giorni e ringrazio sempre il Signore perchè ” Dai diamanti non nasce niente , dal letame nascono i fiori “.
Sì sono felice la mattina quando mi sveglio, sia che piove o c’e’ il sole c’e’ sempre quel tripudio di colori e profumi che mi aspetta, e ne godo con gioia. Tra fatiche e gli stivali sporchi di fango una crosta di formaggio cotta alla brace mi ricorda quanto poco basta per sentirsi vivi e soddisfatti delle proprie giornate di vita vissute tra il creato… questo e’ il paradiso.
Spero che questa avventura continui alla grande com’è cominciata e solo chi è uno di Noi può capire le mie parole, la gioia e l’orgoglio di essere un Pastore.”

Per chi è alla ricerca di esperienze a contatto con la natura ed il “ritorno alla terra”, segnalo anche questa iniziativa su questo sito. Per maggiori informazioni, contattare lucadvp@gmail.com.



Cosa pensa la gente

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Torna il sole dopo l’intensa nevicata, ciuffi di erba ancora più verde sbucano dalla neve fradicia che ha lasciato a terra tanto fango, alberi schiantati anche se non avevano ancora le foglie, ma anche tanta importante acqua e tanta bella neve che, in montagna, tornerà utile nei futuri mesi d’alpe. Adesso però voglio raccontarvi un po’ di episodi che potrebbero farvi sorridere, anche per alleviare un po’ il clima  polemico che gravita sulla pastorizia in queste settimane pre-pasquali (ne riparleremo…).

Ognuno è esperto nel suo campo, però ogni tanto ti sorprendi nel vedere che la “gente” non sa nulla del tuo mestiere, anche se avviene alla luce del giorno ed è quanto di più vicino ci possa essere alla natura. Già… eccolo il punto, si è perso il legame con la dimensione naturale, ancora di più con quella rurale, agricola, anche quando si vive in campagna. Una campagna che è dormitorio, che “piace” perchè è meglio della città sotto certi punti di vista, ma una campagna sconosciuta e a volte pure fastidiosa. Oggi però non voglio parlare delle cose brutte che vedi/senti mentre fai il pascolo vagante…

Voglio raccontarvi di quella signora che ha parcheggiato l’auto alle mie spalle mentre ero intenta a sorvegliare il gregge accanto ad una stretta, ma poco frequentata, strada secondaria. “E’ pericoloso se la lascio qui?“. Mi volto e vedo i bidoni della raccolta differenziata. “Mi spiace signora, non so quale sia il giorno di raccolta…“. Ma c’è stato un fraintendimento! “No, dicevo, per gli animali… Non è che poi salgono sopra?!?“. A parte il fatto che c’ero io, a parte che erano quasi tutte pecore (e solo qualche capra, che magari quell’intenzione potrebbe avercela), mi sono davvero chiesta cosa la gente pensi del gregge, di chi lo accompagna.

La risposta l’ho avuta in parte poche ore dopo quando una mamma, dopo essere stata a guardare il gregge con marito e bimba per un po’, dopo aver fatto domande varie, mi ha chiesto: “Ma voi… fate questo tutto il giorno?“. Io personalmente no, diciamo “part-time” e a giorni alterni, perchè sono un caso a parte, ma i due pastori che conducono il gregge sì, quotidianamente per 365 giorni l’anno. C’era sottinteso tanto in quella domanda. Lo sguardo diceva anche: “Ma che noia!“, perchè a chi guarda da fuori sembra che il pastore non faccia niente. Quello però è un pastore pelandrone, perchè il vero pastore è vigile anche quando dorme! Mentre è al pascolo con un occhio guarda che gli animali non sfuggano verso un campo, un orto, una strada, con l’altro controlla gli animali che gli passano davanti, che non ce ne sia una zoppa, una che sta per partorire e magari non ci riesce… E poi toglie reti, mette reti, sposta il gregge, ordina ai cani di andare di qua, di là… Raramente, specie in certe zone dagli spazi meno ampi, riesce a riposare. A volte non ce la fa nemmeno a pranzare, a meno di aver infilato un panino ed una mela nel gilè.

Poi c’è stata un’altra signora, una nonna venuta con la nipotina a vedere il gregge. Di chiacchiera in chiacchiera, mi ha domandato se eravamo lì per conto del Comune. E’ vero che l’Amministrazione comunale ci ha chiesto di pascolare alcuni appezzamenti di proprietà pubblica, è vero che il nulla osta al pascolo vagante dev’essere dato dal Comune, ma per il resto è compito del pastore individuare i proprietari e chiedere a ciascuno di poter pascolare. “Io pensavo che fosse il Comune ad avervi chiamato e vi avesse dato una mappa di tutti i prati e gli incolti da pascolare!”. Eh… magari fosse così! Chissà quante altre cose pensa la gente, vedendo greggi al pascolo, greggi in transito…


Sarebbe meglio lasciar correre, ma…

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Il pastore fa il suo lavoro, ma intorno a lui il mondo cambia. Oggi anche molti pastori, pur isolati per “necessità” (non c’è tempo per fare molto altro, a parte badare al gregge), hanno preso dimestichezza con le nuove tecnologie o hanno amici e parenti che vanno a trovarli mostrando loro immagini, video, articoli presenti in rete. In questi ultimi anni però, anche senza navigare in internet, capita che il pastore si trovi davanti, mentre sta guidando, un cartellone pubblicitario di grosse dimensioni che lo riguarda.

E’ vero, c’è chi mi dice di non prendermela, di lasciar correre, di non dare ulteriore spazio a queste “campagne”, ma questo blog è nato con lo scopo di far conoscere il mondo della pastorizia e quindi come si fa a non replicare a chi lo infanga con tonnellate di falsità, luoghi comuni, menzogne? Come si fa a non replicare a chi addirittura istiga a commettere atti criminali? Non sto esagerando, quelli che esagerano sono gli esaltati che lasciano le loro tracce in rete, con tanto di nomi e cognomi. Saranno una minoranza sul totale della popolazione, saranno solo una parte rispetto a chi fa la scelta di non cibarsi di carne per vari motivi (etica, salute, ecc.), ma come si fa a stare zitti quando addirittura ti mandano messaggi in cui ti augurano di morire (sgozzata come un agnello o persino di salmonella, visto che mangio la mia insalata concimata con il letame della stalla delle mie capre)?

Sia ben chiaro, io non ce l’ho con chi ha fatto una scelta, ma non posso tollerare  la vista di queste immagini senza senso. Quante volte avete visto su queste pagine agnelli e capretti con poche ore, addirittura pochi istanti di vita! Dovevo forse dire esplicitamente che il pastore fa il suo mestiere per viverci? “Li vendono per lucro!“, questo è un commento che ho letto stamane. Ma no? L’altro giorno ho scritto che mi capita di sorprendermi per certe idee che la gente ha della pastorizia, ma che si allevasse come lavoro era abbastanza scontato. Forse è necessario ribadire anche che il formaggio si fa solo mungendo l’animale femmina dopo che questo ha partorito. La lattazione ha un suo ciclo e va scemando, quindi per avere di nuovo latte serve una nuova fecondazione ed un nuovo parto (non è che, aperto il rubinetto, questo abbia un flusso continuo per sempre!). E agnelli, capretti, vitelli? Saranno maschi e femmine, in percentuale diversa, senza che nessuno lo possa comandare a piacimento.

In questi giorni ho aiutato Sonia de “Il pasto nudo” a scrivere un articolo su questo tema. Lo trovate qui. Sonia mi ha fatto mille domande, le domande giuste di chi si pone degli interrogativi concreti che vanno oltre gli slogan delle campagne contro “la strage pasquale”. Sonia tiene un blog di “cucina consapevole”, dice di essere una cittadina che sta in campagna, sa di non sapere e quindi si informa. Nel suo caso poi veicola quanto appreso al suo pubblico e quindi mi ha fatto particolarmente piacere essere interpellata e poterla aiutare, sempre in nome della corretta informazione. Per esempio spiegare che non si mangiano questi “cuccioli”… (E poi perchè insistere sul cucciolo? Ha un nome, agnello! Capretto! Perchè i bambini non li chiamiamo allora tutti poppanti??).

Ma soprattutto dire come funziona l’allevamento, perchè allevare tutti quei capretti carini e simpatici è contro natura, nel senso che in natura gli ungulati selvatici si regolano da soli e, in un gregge domestico, è impensabile avere 5, 10, 15 esemplari adulti del genere!! Si alleva da sempre, l’uomo è stato prima cacciatore, poi allevatore, ma l’evoluzione ha portato da una parte all’allevamento intensivo, dall’altra è rimasta quasi ferma alla pastorizia nomade o comunque ad un allevamento estensivo dove fieno ed erba sono i foraggi principali.

Per scrivere questo post mi sono messa a fare un po’ di ricerche on-line su quello che viene detto e scritto da coloro che propagandano il NO al consumo di agnelli e capretti a Pasqua. Ce n’è per tutti i gusti, specialmente in quest’epoca di comunicazione globale dove, tra blog, facebook, twitter e chi più ne ha, più ne metta, ciascuno può permettersi di dire qualunque cosa, vera o falsa che sia, trovando subito un folto seguito di gente che lo osanna o lo attacca duramente. Ci sono poi quelli che nemmeno ti lasciano lo spazio per ribattere, quindi ti prendi la “notizia” e te la tieni.

Io mi sono messa a scrivere questo post, nonostante tutto, quando mi hanno segnalato una pagina facebook che portava questo titolo “Gli allevatori ringraziano di cuore gli animalisti”, di una certa Barbara Vegana ecc ecc (dal suo profilo risulta essere un’…insegnante!!!). Non lo trovate più on-line, perchè, dopo averle scritto un messaggio e non aver avuto risposta, ho segnalato all’amministrazione di facebook un duplice problema ed hanno ritenuto opportuno chiudere la pagina. La signora infatti, per illustrare il suo pezzo, aveva usato una foto di questo blog! In quanto a contenuto… Insomma, si criticavano le iniziative di “adozione” degli agnelli pasquali, perchè queste danno profitto agli allevatori! “Chi ci guadagnerà saranno coloro che il prossimo anno ne alleveranno il doppio, il triplo, incastrandoci in un circolo vizioso simile a quello dell’usura! più se ne comprano oggi più se ne allevano domani. Come dire che l’agnello comprato oggi genererà la sofferenza di almeno tre suoi simili domani. Comprando agnelli si genererà anche la convinzione che tutto si compra, anche la vita“. E poi più avanti spiega a quale iniziativa faceva riferimento: “In questo articolo viene osannato l’operato di un signore che ha lanciato una campagna di acquisti di agnelli su facebook che ha raccolto ben 1000 euro da versare direttamente agli allevatori degli agnelli comprati nel numero di 10 e che ha visto la partecipazione di 30000 persone. http://www.facebook.com/photo.php?fbid=446848585384297&set=a.422859051116584.95107.422830654452757&type=1&theater La zona interessata da questa campagna acquisti è il biellese, nota per gli allevamenti di malgari, per la produzione di bovini, ovini e caprini, nota per la produzione della lana, dei formaggi e del latte. Chi ne uscirà davvero soddisfatto e vincitore saranno proprio loro, gli allevatori, felici che ci siano gli “animalisti” a risollevare le loro sorti, visto che negli ultimi anni stavano scomparendo……..” Vi risparmio il resto… Comunque, i suoi lettori si erano scatenati a tal punto che il tono era diventato questo: “ la vita NON si compra, ma solo si LIBERA” e si istigava ad andare a rubare (sic!) gli agnelli per poi liberarli in natura!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Visto che loro parlano di cuccioli, ve li immaginate questi terroristi esaltati che vanno a prendere agnelli di pochi giorni per “liberarli” nei prati, condannandoli davvero ad una morte di stenti, senza latte, senza calore materno… Ma anche quelli che vogliono “adottare” gli agnelli non hanno le idee ben chiare (questo almeno si documenta su di un sito adatto). Tra l’altro, quello nella foto, piccolissimo per essere un agnello, è in realtà un cane! Mi domando chi le paga, queste campagne, e se l’affissione di questi manifesti è regolare. Perchè poi le istituzioni (ministero dell’agricoltura) non si adoperano, specialmente nel periodo pasquale, per sostenere la carne italiana?

Che dire ancora? Non mi resta che, per l’ennesima volta, invitarvi a consumare meno carne “qualunque” e più carne genuina, allevata in modo “sostenibile”, così come sono gli animali portati al pascolo. Appurato che comunque non è un agnellino di 3-4 giorni di vita a finire in tavola, ricercate proprio l’agnello pesante, ITALIANO, che oltretutto ha una carne migliore e, nel rapporto quantità di carne/peso è maggiormente a vostro favore. Non volete mangiare carne? Consumate altri cibi, ma smettetela di dire falsità sul mestiere dell’allevatore! E, più in generale, informatevi bene su quello che mettete nel piatto, perchè io sono felice di affiancare un’insalata dell’orto alla bistecca, insalata cresciuta grazie al letame tolto dalla nostra stalla e non a concimi chimici! Si potrebbe andare avanti per ore, giorni, a disquisire su questi argomenti, ma non sono io la persona adatta, ve ne sono di ben più ferrate di me. Per quello che mi riguarda, io sarò ben contenta di rispondere a tutte le vostre domande su quali animali vengono venduti al macello, ampliando e andando nei dettagli dei singoli argomenti toccati da Sonia. E comunque, alla fine, buon appetito a tutti! State sereni, che i troppi pensieri e l’astio rovinano la digestione!


Non si fa niente, però…

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Ricordate il convegno sulla filiera ovicaprina di qualche settimana fa? Bene, ieri sera ci siamo riuniti per iniziare a pensare alla parte operativa. Molti più allevatori in sala e molte meno “personalità”. Presidente e Direttrice del GAL hanno spiegato concretamente ciò che si vuole fare, cioè creare una vera e propria filiera dei prodotti ovicaprini nell’area GAL. Gli allevatori ci sono ed hanno problemi a vendere ad un prezzo sostenibile quanto producono (specialmente la carne e la lana, per i formaggi va un po’ meglio), ma si tratterebbe di mettere insieme macellai e soprattutto ristoratori, gastronomie, punti vendita, per creare un circuito. Sulla lana, insieme a Biella The Wool Company, si vorrebbe creare un punto di raccolta della lana succida.

Soldi ce ne sono, un finanziamento abbastanza importante, che permetterebbe di coprire un 30-45% a seconda dei casi gli investimenti che i partecipanti al progetto vorrebbero fare: strutture (punto vendita, sala lavorazione latte, stalle…), ma anche mezzi di trasporto per la carne o cose del genere e altre attrezzature (macchine per tosare…). Ovviamente ci vanno più soggetti che partecipano e non una singola azienda. Il GAL si occuperà di coordinare il tutto, quindi gli allevatori (e gli altri soggetti) dovranno solo dare la loro adesione e dire di cosa hanno bisogno. Pensate che a questo punto si siano levate voci entusiaste dalla sala? Ahimè no…

Ovviamente sono stati sollevati dubbi e perplessità, perchè siamo tra gente concreta e si vuole capire bene di che si tratta. Questo va bene, solo discutendo le criticità si può costruire e migliorare, anche perchè sono gli addetti ai lavori che devono dire/spiegare al GAL di cosa hanno bisogno e come funzionano certi meccanismi del sistema. Però quella che ha prevalso è stata la sfiducia e la critica. “Chi volete che mangi la carne di pecora!“. “Il ristorante XYZ l’agnello nel menù ce l’ha sempre, ma su 10 che vengono a mangiare, se lo ordinano in due è tanto.” “La gente non mangia l’agnello, figuriamoci la pecora!”. Oppure: “Ma se aderiamo poi… e se la cosa non funziona?

Anche se macellai e ristoratori saranno invitati successivamente ad altre riunioni, alcuni di loro erano già presenti in sala. Un macellaio continuava a spegnere i già scarsi entusiasmi: “Se metto la pecora sul bancone, me la posso poi mangiare io! Le donne ormai non vogliono più cucinare, per loro va bene la bistecca da far saltare in padella due minuti, figuriamoci se mi comprano la pecora! L’agnello invece… poverino, piccolino e cose così…“. Gli ho parlato di bistecche e salsicce di pecora, ma mi ha quasi riso dietro. Ecco, persone del genere evitino di venire alla riunioni ed evitino eventualmente di aderire al progetto per poi ritirarsi in corso d’opera, perchè il ritiro di qualche anello della filiera vanificherà del tutto il progetto. Servono poche, ma buone, persone che ci credano e sappiano agire loro per prime al fine di valorizzare il prodotto. Presentarlo in un certo modo, proporlo… Saranno fondamentali i ristoratori e la comunicazione, poi qualcosa si muoverà di certo.

Ovvio che, dall’oggi al domani, il progetto non risolleverà l’intera filiera, ma da qualche parte bisogna pur partire. L’interesse e l’appoggio del Museo del Gusto di Frossasco servirà per coinvolgere il mondo della ristorazione. Se 5, 10, 50, 100 persone mangeranno spezzatino di pecora, arrosto di pecora, salsiccia di pecora e l’apprezzeranno, ne parleranno con gli amici, a loro volta qualcuno di loro si farà attirare e proverà. Il solito macellaio: “Se va bene la comprerà qualche Meridionale…“. Ma certo! Quante persone del Centro-Sud rimpiangono le pecore che mangiavano nella loro terra di origine? Quante volte, mentre sono al pascolo, mi sono sentita dire: “Da noi al paese si mangia tanto, qui la carne di pecora non la trovi…“. Ovvio che uno non può prendere una pecora intera, ma se comparissero nelle macellerie tagli ben fatti per bolliti, arrosti e altre preparazioni? E se si insegnasse a preparare sia piatti della tradizione, sia piatti innovativi?

Proprio ieri, in questo variegato mondo virtuale, ho incontrato una persona che mi ha parlato dei piatti della sua terra, preparazioni tradizionali che hanno alle spalle anche delle storie che sono belle da leggere, da comprendere, da capire, perchè parlano di ritmi di vita sani, legati alla terra. Leggete ad esempio la “Pignata di pecora di agosto” o anche un piatto particolare dal nome curioso, “Cazzomarro alla brace“. Ricette che richiedono tempo per la loro preparazione e che sicuramente non funzionano per la casalinga dei quattro salti in padella, ma la pecora non è solo questo. Le milanesi di pecora sono ottime e cuocciono in un paio di minuti in più delle fettine di vitello. Inutile continuare a lamentarsi perchè il settore è in crisi e poi sputare sulle opzioni che ci vengono offerte. Sicuramente con questa mentalità è impossibile pensare di creare un consorzio, un marchio, ma esperienze anche non tanto lontano da noi dimostrano che, chi lo ha fatto, dei risultati li raccoglie. Chi però pensava che questo bando fornisse la strada per arricchirsi facendo il pastore, farà meglio a lasciar perdere e lasci il posto alle riunioni per chi invece crede nell’idea di una pastorizia sostenibile, vicina al territorio, che punta sulla qualità e non sulla quantità.


Vorrei parlarvi…

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Scusate l’assenza e perdonate in anticipo la scarsa, forse scarsissima presenza della prossima settimana, dovuta ad un insieme di impegni, imprevisti ed ordinaria amministrazione. Per gli amici liguri, raccomando fin da ora di non mancare venerdì prossimo, 29 marzo, a San Remo, ore 17:00, presso la Biblioteca, per la presentazione di “Di questo lavoro mi piace tutto”.

Bene, in questi giorni avrei voluto parlarvi del colpo di coda dell’inverno, che ha lasciato a terra neve fradicia che si è sciolta in fretta, persino troppo in fretta, complice un bel sole caldo e, ahimè, giornate di vento che hanno bloccato la crescita dell’erba, già “frastornata” dai troppi sbalzi di temperatura, ora sole caldo, ora brina, ora neve, ora tepore.

La necessità però di andare a dare una mano, specialmente quando c’era da spostare il gregge, mi ha spesso tenuta lontana dalla scrivania e dal computer. Poi, si sa com’è, uno parte ad un’ora, ma è illusione sbrigarsela in poco tempo, perchè quando sei con gli animali c’è sempre l’imprevisto dietro l’angolo, rappresentato da più nascite contemporaneamente, o un cucciolo che scompare, o una pecora che ha mangiato qualche pianta tossica in un mucchio di rami gettati al bordo di un bosco (potature di un giardino) e presenta sintomi di avvelenamento…

Vorrei parlarvi dell’abbandono che caratterizza quei posti dove la gente abita, senza vivere davvero il territorio. Case con giardini “artificiali” ben curati, ma appena fuori tracce di colture antiche che vanno a perdere, ex prati ormai invasi dai rovi o dal bosco, vigneti confusi in un viluppo di spine, liane, cespugli. Che differenza con altri luoghi poco lontani, dove il paese, la valle, non ha perso del tutto le sue connotazioni rurali e, soprattutto, di territorio dedicato all’allevamento!

Qui gli spazi sono rimasti pochi, i prati rimangono tali solo per “pietà” dei padroni, che faticosamente arrivano a trovare qualcuno che glieli tagli, a volte persino a pagamento. Che gioia quindi quando arriva il gregge! Perchè fa male al cuore vedere l’abbandono che avanza. Il bosco è bello, ma il paesaggio più gradevole è quello dove alberi e prati si alternano in un contrasto sempre diverso. Il prato è già verde quando il bosco è ancora spoglio, come oggi, in questo inizio di primavera timido e incerto.

Dove la gente ha cura degli spazi intorno alle case, l’erba è già più verde, più alta, complice anche l’esposizione favorevole al sole. “Vi avevo visti ieri dall’altra parte e volevo chiamarvi per dire di pascolare anche qui, avevo paura che non veniste… Almeno pulite tutto e non dobbiamo tagliare noi. E poi sono così belle da vedere…“, dice una signora anziana, memore di quando queste aree erano tutte utilizzate. Castagneti su ripiani ricavati grazie a muri in pietra, prati sfalciati, pascoli, campi, orti. Oggi al massimo hanno recuperato piccole porzioni di terra per piantare ulivi.

Vorrei parlarvi anche della premiazione del concorso fotografico Ri-scatti della Terra, organizzato dalla Regione Piemonte, che mi ha inaspettatamente vista vincere con la foto “Pascolo vagante in inverno”. C’erano anche altre immagini selezionate per la mostra tra le oltre 1300 partecipanti, che immortalavano la pastorizia o il pascolo vagante. E’ da illusi pensare che questo premio serva al pascolo vagante, però ho colto l’occasione per dire a tutti i presenti all’inaugurazione della mostra alla Reggia di Venaria che bisogna avere rispetto del duro lavoro del pastore. “Se incontrate un gregge lungo una strada, abbiate la cortesia di aspettare pazientemente senza suonare il clacson e senza cercare di infilarsi con l’auto tra le pecore!“.

Il sole e l’aria tiepida però sono durati poco e l’inizio di primavera ha portato giornate di cielo velato, aria nuovamente fredda e previsioni di pioggia. Nei prati, l’erba stenta a crescere, avrebbe bisogno soprattutto di sole e calore, anche di un po’ di umidità, visto che il vento ha praticamente annullato quella portata dalla pioggia.

Qua e là affiorano i segni di quando l’uomo curava davvero la terra: pietre di confine, muretti, ma basta guardare appena sotto al stradina sterrata che congiunge le borgate per capire come l’incuria ormai sia generale. Il fossatello non è più stato pulito e l’acqua scende ovunque, anche nella strada. In tempi abbastanza recenti qualcuno aveva messo delle canalette trasversali in legno per drenare, ma sono completamente chiuse dalla terra. Le borgate poi sono semi-deserte. Per trovare il padrone di una lista di erba verde tra una casa e il bosco ho suonato a 10 campanelli, senza che uscisse nessuno. Alla fine, da un balcone, si affaccia una donna: “Non abita qui, il padrone sta a Torino, non viene quasi mai… Una volta o due all’anno, ma fa tagliare l’erba da qualcuno d’estate, la lascia lì a marcire, quindi secondo me se passate con le pecore fate solo del bene…“.

Poi arriva la pioggia, all’inizio solo un’acquerugiola fine. Diverse pecore hanno partorito, così decidiamo di portarle nel prato all’interno della recinzione di una casa. Qualche ora dopo mi telefona la padrona per chiedermi se poteva dare il mio numero di telefono ad una signora che chiedeva come fare per avere un agnello per Pasqua… Quando questa mi telefonerà, ecco cosa mi dice: “E’ lei la padrona di quegli agnellini che ho visto nel tal posto? Volevo sapere se sono destinati alla strage di Pasqua…“. Ecco, di questo non avrei voluto parlare! Possibile che in un paese di campagna come quello in cui abito debba accadere questo? Possibile che non si capisca che un agnello nato da 4-5 ore non potrà essere macellato per Pasqua, che cade tra una settimana? Prima ho provato a spiegarglielo con le buone, poi ho capito che tanto non voleva capire e continuava a ripetermi gli stessi slogan. Avendo poco tempo da perdere, la cena sul fuoco e un agnellino scartato dalla mamma che aspettava il biberon, lo ho scortesemente attaccato il telefono dicendole che avevo altro di meglio da fare. Lo so che non si fa così, però a volte uno perde la pazienza!


Avevo un sogno…

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Ognuno ha dei sogni collegati alle proprie passioni. Tra i miei c’era quello di vedere la Crau, il “mitico” paradiso delle pecore in terra d’Oltralpe. Ci sono stata per una brevissima visita di lavoro (adesso vi spiegherò) e non ho potuto vedere/fotografare tutto quello che avrei voluto, ma sono rientrata con sentimenti contrastanti. Il primo è che l’erba del vicino è davvero più verde e non solo per questioni climatiche…

Insieme ad un “gruppo di lavoro” composto da persone diverse (rappresentanti della Valle Stura per il progetto “La Routo”, docenti di istituti agrari, rappresentanti di Slow Food Biella+Istituto di Pollenzo, rappresentanti del progetto Propast, dell’Istituto Lattiero Caseario di Moretta e qualcun altro ancora), abbiamo avuto un’intensa due giorni in Francia per occuparci di formazione in ambito pastorale. La prima tappa è stata a Carmejane. In questo centro senza recinzioni, immerso nel verde, dove studiano e fanno pratica giovani ed adulti, si fa formazione in ambito agricolo.

Oltre all’edificio scolastico vero e proprio c’è la fattoria, che è sia un’azienda, sia un luogo per fare pratica, sia un centro sperimentale. Tra le tante informazioni apprese durante la visita, vi sono alcuni punti che mi hanno particolarmente colpito e che desidero condividere con voi. Innanzitutto, la scuola agricola dipende non dal Ministero dell’Istruzione, ma da quello dell’Agricoltura. I programmi dei corsi provengono dal Ministero stesso e non sono creati dai docenti interni. Oltre alla formazione scolastica secondo vari livelli, presso il centro di Carmejane si può fare “apprendistato” e “formazione per adulti” (specializzazione o riconversione professionale). Non scendo nei dettagli della didattica, ma penso che vi interessi sapere che, in Francia, per insediarsi come azienda agricola e poter aver accesso ai contributi, sia necessario un diploma che attesti il grado di formazione specifica raggiunto. Altrimenti si può comunque aprire un’azienda, ma senza poter richiedere contributi.

L’azienda è ovina, con un gregge di 600 pecore, un numero non così imponente, da queste parti. Si produce l’agnello di Sisteron, una delle produzioni a marchio di qualità della Provenza. La fattoria didattica collabora con tutte le organizzazioni professionali agricole esistenti e serve da base per le sperimentazioni dell’allevamento ovino. Tra le materie insegnate a chi segue i corsi specifici sulle produzioni zootecniche, c’è la gestione e conduzione delle superfici pastorali e l’adattamento del sistema di allevamento, con l’orientamento della filiera di produzione (ridurre i costi, aumentare i ricavi, migliorare le condizioni di lavoro…).

Era periodo di tosatura, nell’azienda, attività che si svolge una sola volta all’anno. In questi due giorni ho scoperto che la lana in Francia non è così problematica come in Italia o meglio, c’è lana e lana. I costi di tosatura sono leggermente inferiori (forse per le dimensioni più ridotte e “maneggevoli” degli animali), ma per la razza Merinos d’Arles i ricavi coprono interamente le spese e consentono anche dei margini di guadagno per l’allevatore.

Il gregge di Carmejane è composto principalmente da animali di razza Prealpi. Un piccolo nucleo era al pascolo, gli altri animali erano tutti suddivisi nelle stalle, alimentati con fieno. Montoni, pecore gravide, pecore con gli agnelli e così via, in un’organizzazione che pareva molto buona e funzionale, per non parlare poi delle stalle, spaziose, luminose, ben arieggiate.

Una curiosità? Ecco un montone “mascotte” con la floucà, la caratteristica tosatura che contraddistingue gli animali che guidano il gregge nella transumanza. Per tornare a quanto ci è stato spiegato, si è parlato di una lunga tradizione dell’allevamento sul territorio, ma anche di giovani che danno vita a nuovi insediamenti, piccole realtà interessate alla trasformazione ed alla vendita diretta dei prodotti, specie lattiero-caseari.

A Carmejane si trova anche il Centre Fromager, una struttura dedicata alla formazione in ambito caseario, dove si organizzano corsi di vario tipo, sia “puntuali” legati ad una singola problematica e/o alla richiesta di un produttore, sia generali sulle diverse tecniche di caseificazione, sull’affinamento, ecc… La visita nel complesso è stata interessante, ma il nostro obiettivo principale era ancora un altro, cioè quello della formazione in ambito più specifico, cioè la professione di pastore.

Per far questo ci siamo spostati proprio lì, ai margini della Crau, alla “famosa” scuola di Merle. Questo centro di formazione indirizzato proprio a formare “pastori” esiste dagli inizi degli anni ’30. Frutto di una donazione, strutture e terre fanno sì che qui, nel cuore delle ragione pastorale di Francia, giovani (e non solo) possano conseguire la qualifica di “pastore transumante”, a differenza delle altre 3 scuole simili (più recenti) esistenti in altre parti di Francia, dove ci si può specializzare sull’alpeggio (in Ariege), pastore di alta montagna, con pratica di gestione di animali, pascoli, ma anche mestieri complementari (tosatura, taglio legna…) sui Pirenei, per finire con la scuola di pastore/vaccaro d’alpeggio in Savoia.

Questa è la patria della razza Merinos d’Arles e, nelle stalle della scuola, abbiamo visto solo alcuni montoni. Purtroppo non ci siamo fermati a vedere uno delle tante greggi scorte dai finestrini del pullman, comunque nel giro di pochi chilometri, solo sul nostro tragitto, ne ho contati sei e tutti di dimensioni considerevoli. Ovviamente qui il pastore è una figura importante ed è un fondamentale aiutante per l’allevatore. Le due figure, almeno in quest’area della Francia, sono distinte. L’allevatore è il manager, colui che gestisce l’azienda, si occupa dei pascoli, delle praterie, della fienagione in estate, della commercializzazione degli animali, ecc… Alle sue dipendenze vi sono i pastori salariati, diminuiti come numero da quando la transumanza si affronta con gli autotreni e non più a piedi.

La direttrice della scuola ci ha spiegato nel dettaglio cosa imparano gli studenti, ragazzi e sempre più ragazze provenienti da tutta la Francia, desiderosi di imparare questo mestiere. “Facciamo un colloquio per la selezione, abbiamo solo 20 posti per anno, tanti ne finanzia il dipartimento. devono avere una vera motivazione, non basta che dicano che piace la montagna e fare delle camminate all’aria aperta. Guardiamo l’esperienza che hanno, le attitudini fisiche e morali, le qualità di adattamento e di osservazione…“. Il mestiere di pastore è una cosa seria e non il lavoro per gli ultimi: “E’ un operaio altamente qualificato, con grandi responsabilità. Si troverà spesso a lavorare da solo, specialmente in alpeggio. Deve essere polivalente, svolgere i tre ruoli principali di gestione del gregge, gestione delle risorse pastorali e gestire le strutture. Deve saper lavorare in autonomia, saper prevenire, individuare e curare i problemi sanitari.” Tutto ciò che in effetti fa il pastore, ma che deve essere spiegato ed insegnato a chi lo vuol diventare.

Nella fattoria della scuola si fa anche sperimentazione. Guardate questo strano apparecchio che qui potete vedere nella sua parte centrale. E’ un prototipo di una macchina all’interno della quale, tramite un corridoio, entrano gli animali. C’è un lettore per il microchip, un peso, un sistema di aperture di porte che permettono di separare gli animali in base al criterio impostato. Il peso poi permette di dosare ad esempio la dose di svermante che viene somministrato sempre all’interno dell’apparecchio. Un sogno, vero? Ovvio che qui ci sono altri numeri, la realtà permette di attrezzarsi anche così, perchè quello di pastore è un mestiere non solo rispettabile, ma anche sostenibile!

Qualche problema nella vendita dei capi c’è, ma i numeri fanno la differenza. Non si vende l’agnellino: “…solo a Natale, per l’Italia“, ma si macellano animali di 40 kg. La pecora a fine carriera si vende poco ed a basso prezzo, ma la lana, come si diceva, ha un suo valore. Per farvi capire la sostenibilità dell’azienda, un pastore salariato in alpeggio riceve uno stipendio base di 2.000-2.100 €/mese, anche più alto in base all’esperienza. Non di rado in alpe più allevatori mettono insieme gli animali per avere un gregge più grande. Per il resto dell’anno, il livello più basso di specializzazione prende 1.200-1.500 €/mese. Ecco perchè c’è una scuola, ecco perchè molti dei diplomati trovano subito impiego. C’è la domanda, c’è un mercato, c’è una paga equa.

Ma soprattutto ci sono i veri spazi per la pastorizia. Qui fare il pastore è un’altra cosa. Ci hanno spiegato in cosa consiste il “sistema Crau“, nel delta della Durance. A questo fiume la Crau è legato per il canale che, dalla diga di Serre-Ponçon, porta l’acqua in parallelo al fiume, per poi permettere l’irrigazione delle praterie. Queste sono vaste distese verdi, circondate da fossi che permettono di allagarle periodicamente, e da siepi di alberi ed arbusti, che proteggono dal forte vento che spesso soffia da queste parti. Qui si produce l’altra risorsa della Crau, il fieno, che è riconosciuto addirittura con una DOP. Tre tagli, il primo a maggio e gli altri a seguire, almeno dopo 42 giorni, poi il “quarto taglio” è destinato al pascolamento delle greggi di ritorno dall’alpeggio. E’ questo il periodo della nascita degli agnelli.

Dalle praterie, appena poco oltre, dove non si irriga, si passa nei “coussouls”, la parte arida, dove le greggi pascolano nel resto dell’anno, inverno e primavera, con degli spostamenti verso la collina e poi la partenza per l’alpeggio a giugno. Tutta la gestione dell’azienda è impostata su questi momenti, per ottimizzare le risorse ed il lavoro. Il fieno viene venduto, spesso agli allevamenti di cavalli, o utilizzato internamente (secondo taglio) per l’ingrasso dei montoni.

Mi hanno assicurato che qui, in quest’arida steppa che si estende a perdita d’occhio, le pecore ingrassano e sono poi pronte ad affrontare l’alpeggio. Sembra incredibile, eppure questo è uno dei cuori della pastorizia europea. Qui il gregge medio conta mille capi, “…ma il numero dei pastori a sorvegliarlo è diminuito drasticamente da quando sono state introdotte le reti.” Qui si va a scuola per diventare pastori, pastori moderni del XXI secolo, infatti la stessa scuola ha dovuto rinnovarsi qualche anno fa, perchè oggi il pastore deve sia essere “trattato bene” dall’allevatore, ma deve sapersi anche rapportare con il pubblico, specie in montagna. Il pastore salariato deve avere migliori competenze, gli operatori devono essere seriamente motivati.

E noi, cosa riusciremo a fare in Italia, dove il mestiere di pastore è sempre più difficilmente sostenibile? A sentire lo stipendio di un salariato in Francia scommetto che molti diranno (ma non lo faranno mai): “Ma allora le vendo tutte e vado a fare la stagione di là!“. Qui nessun pastore può pagare tanto un aiutante, perchè non ne ha le possibilità. Però il reale bisogno di aiutanti formati ed affidabili esiste. Quindi? Quindi si cercherà di fare il possibile per creare un “corso per pastori” anche in Piemonte. Non possiamo pensare di riuscire subito a realizzare un qualcosa a pari livello con la scuola di Merle, che vanta così tanti anni (ed un territorio del genere) alle spalle, però…


Speriamo che, passata la Pasqua…

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Speriamo che, passati questi giorni “caldi”, passi l’ondata delle campagne animaliste contro il “massacro” degli agnelli… Per quest’anno è andata così e sono state ben poche le voci levatesi ufficialmente a sostegno degli allevatori. Si è parlato tanto sui blog e su Facebook, ma chi di dovere ha taciuto sui mezzi di stampa. Certo, non abbiamo un governo, quindi chi volete che parli a sostegno della categoria? Avrebbero però potuto farlo almeno gli Assessori regionali, i rappresentanti sindacali, ma, ahimè… Io non ho sentito niente, almeno niente di paragonabile a servizi TV, radio, manifestazioni, articoli on-line.  La testata “AbruzzoWeb”, anche se utilizzando ahimè una mia foto, riporta lo sfogo di Nunzio Marcelli (leggete qui).

Io penso alla Francia, dove l’agnello è servito in tavola 365 giorni all’anno senza problemi, senza scandali e con apprezzamento generale. Tra l’altro, là si macella sui 40kg di peso… Penso al mio recentissimo viaggio in Liguria, dove gli amici che mi hanno ospitato mi hanno detto di consumare carne di agnello e/o pecora tutto l’anno. Si usano molto le rostelle, come nell’Imperiese vengono chiamati gli arrosticini. E allora perchè in Piemonte i macellai pongono dubbi sul successo di un progetto di valorizzazione della carne ovicaprina????

Torniamo alle oscene campagne anti-agnelli (ma ormai anche anti-pastori, oltre che anti-carne). Si è visto di tutto, tranne che la verità, la realtà sull’allevamento ovicaprino, tra quelli sicuramente più estensivi e sani che vi possano essere, niente a che vedere con l’allevamento “lagher” di certi animali. Lo so che è difficile far capire perchè, di tanto in tanto, mi capita di avere uno scatolone di fianco alla stufa in cucina, con dentro un agnello avvolto nelle coperte di lana. Agnelli nati con qualche problema, fortunatamente spesso salvati con queste cure amorevoli aggiuntive. Credetemi, non è per “reddito” che lo si fa… Lo si fa per amore, per cuore, per sensibilità, e questo non contrasta con il macellare o far macellare l’animale. Semplicemente questo è ALLEVARE.

Buona Pasqua, a chi ci crede a chi non ci crede, a chi mangerà l’agnello, il capretto e a chi non lo farà. C’è la crisi, c’è chi fatica a mettere insieme un pasto normale quotidiano, altro che andare al ristorante per le feste, eppure tocca “spendere” per fare delle campagne per dire alla gente cosa mangiare. Un’amica mi ha consigliato un articolo sul consumo di carne e sulla “sofferenza” degli animali, ve lo suggerisco, l’ho trovato molto interessante. Mi permetto poi di riportare una nota tecnica scritta da una veterinaria in un commento sulla mia pagina facebook, tanto per completare l’informazione sulla macellazione degli animali e per continuare a “fare chiarezza”. “Per i non addetti ai lavori, vedere animali in fase di dissanguamento che si muovono, significa che l’animale è ancora cosciente. E non sanno che invece così non è, ma si tratta di contrazioni muscolari che continuano per molto tempo. Al punto che le mezzene a fine macellazione (animale, eviscerato, spellato completamente e diviso a metà), portato in cella frigo, mostra ancora fascicolazioni muscolari, e continuano finché c’è glicogeno nelle cellule (detta in parole povere)“.


Abbiate pazienza…

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Scusatemi, in questi giorni ho sempre più difficoltà nell’aggiornare costantemente il blog con notizie & altro. Però le attività che mi impegnano produrranno materiale per articoli futuri…

Tanto per cominciare, ci sono le “nuove storie” del film sui pastori piemontesi, che riguardano dei pastori vaganti, tipologia fino ad ora non incontrata dalla troupe. Poi ci sono le difficili giornate di pascolo di questa strana primavera tardiva. Ho sentito dire che almeno un pastore ha “fermato il gregge” nelle scorse settimane, cosa che non era successo in tutto l’inverno! Se adesso il sole scalderà la terra, l’erba inizierà a crescere, ma sono giornate davvero difficili per i pastori.

Un paio di segnalazioni. IMPORTANTE per gli allevatori dell’area GAL Escartons e Valli Valdesi, qui la scheda da compilare ed inviare se si vuole partecipare al progetto sulla filiera ovicaprina. Sul sito tutte le ulteriori informazioni in merito. E’ il progetto di cui avevamo discusso qui

Appuntamenti: il 9 aprile, ore 9:00, dovrei essere in onda in diretta intervistata negli studi di TV2000, per parlare di giovani che hanno scelto la pastorizia, l’allevamento. Il 12 aprile, ore 21:00, sarò a Biella presso La Bufarola per presentare “Di questo lavoro mi piace tutto”.



Lenta primavera

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Anche se sappiamo bene che i pastori (ma più in generale tutto il comparto agricolo) sia abbastanza incline alla lamentela, talvolta anche ingiustificata, quest’anno chi scuote la testa alla parola “primavera” ha le sue ragioni.

In queste settimane si va spesso al pascolo vestiti quasi come d’inverno, o perchè l’aria è fredda, o perchè piove. Nelle scorse settimane, quando ormai il calendario diceva che la primavera era iniziata, ci sono state giornate di pioggia battente e temperature basse dal mattino alla sera.

Poi c’è il problema dell’erba, ancora bassa, scarsa, nonostante l’umidità del terreno dovrebbe favorirne la crescita. Ci sono pastori davvero in difficoltà perchè non sanno dove pascolare: fango da una parte e poca erba dall’altra, per qualcuno sono giornate più difficili che non nel mese di gennaio o febbraio.

La peggior giornata di pioggia è “rischiarata” quando puoi pascolare un’erba così. Un appezzamento di un bel verde intenso con erba alta come non se n’era ancora vista. “Andate pure, quest’anno non l’ho arato…“, aveva detto qualche giorno prima il proprietario, ed i pastori non se l’erano fatto ripetere!

Mentre le pecore puliscono ben bene fino all’ultimo filo d’erba, le nuvole si sollevano un po’, lasciando vedere la neve, nuovamente caduta fino a bassa quota! Altro che primavera!! Cappello, guanti, giacca ben chiusa, ma comunque il freddo lo si sente eccome!

Quando finalmente si riesce a godere di una mezza giornata abbastanza soleggiata è davvero un altro mondo! Gli animali per primi ne beneficiano, i pastori lavorano con meno difficoltà e disagi, ma la speranza è anche quella che l’erba finalmente inizi a crescere come si deve. A quest’ora dovrebbe già esserci il ricaccio nei prati pascolati oltre un mese prima…

Per avere una vera giornata di primavera tocca attendere il giorno di Pasqua, con colori e temperature più consoni alla stagione. L’erba fresca e tenera è poca, per fortuna la superficie è vasta, così c’è maggiore speranza di riuscire a saziare il gregge. “Era fin meglio l’erba un po’ secca del mese scorso, perchè le sfamava di più.

Il giorno festivo richiama pubblico: amici in visita, ma anche moltissima gente dalle case circostanti, persone che stanno facendo una passeggiata per digerire il pranzo, famiglie, bambini, tutti si fermano a guardare il gregge e fare domande.

Bisogna però spostarsi ancora verso sera. C’è chi rientra a casa e chi raggiunge un altro ramo della famiglia per una nuova occasione di incontro, invece il gregge si sposta verso un altro pascolo. Brutta giornata quella in cui viene cambiata l’ora… Non importa cosa segnano gli orologi, il pastore (e le pecore) guardano il sole e così se prima più o meno si finiva intorno alle otto di sera, adesso saranno le nove.

La sera incombe, il cielo torna a chiudersi, mentre il pastore prepara il recinto, il gregge pascola ancora in un prato dell’erba bassa e rada, poi risale nel bosco per concludere la sua giornata tra le reti. Le previsioni non sono di nuovo buone e sicuramente quelle poche ore in maglietta non si ripeteranno il giorno successivo.

Le previsioni annunciavano pioggia tutto il giorno, invece per fortuna fino a sera il tempo si è mantenuto grigio, freddo, ma senza precipitazioni. Quel giorno c’erano da pascolare diversi prati abbandonati, dove nessuno passa nemmeno più la trincia per tenerli puliti, ma solo il gregge nel suo pascolamento primaverile da due anni fa ancora un po’ di manutenzione.

Oltre ai caprioli, gli altri ospiti fissi di questi terreni sono i cinghiali, che infatti hanno lasciato visibili tracce del loro passaggio. L’abbandono e la loro “attività” impoveriranno sempre di più questi prati. Ci sono così tanti animali selvatici che chi da queste parti coltiva ancora la terra ha dovuto recintare o posizionare fili elettrificati intorno a vigne e frutteti, per salvare il raccolto.

Per quanto questo sarà ancora un prato? La vigna sottostante è ormai un bosco quasi impenetrabile, tra i lunghi rami delle viti che, come liane, si sono inerpicate o hanno intrecciato i loro fusti sul terreno. Poi ci sono addirittura ancora i fili di ferro, a volte inglobati nel tronco di qualche albero. Il prato invece è sempre meno libero, assediato da alberi e cespugli.

Tra i boschi, vecchie case in pietra. Racconta uno degli ultimi abitanti: “Quando ero bambino, qui era tutto coltivato. C’erano ancora delle vigne su di là, mentre su quel versante c’erano dei peschi, erano i più precoci, vista l’esposizione. Non c’erano tutti questi cinghiali, anzi, non c’erano proprio! Il primo l’ho visto su di là nel ’72, mi sono spaventato, non avevo mai visto una bestia così.

Era tutto coltivato, poi c’erano i prati… Mio nonno aveva 4-5 vacche e poi le capre, io pascolavo le capre, giravo tutto su per la montagna, era compito mio. Mungevamo e facevamo i tomini, erano ricercati perchè erano più buoni, con il latte misto di vacca e capra. E adesso? Sono contento che passate voi, mi fa piacere vedere degli animali che mangiano ancora l’erba, perchè altrimenti qui sparisce tutto…“.

E alla sera, mentre si pascola l’ultimo prato prima del recinto, arriva la pioggia, preceduta da un’aria fredda che si porta insieme qualche minuto di grandine fine come chicchi di riso. Non è ancora primavera…


Mi hanno portato in alpeggio a 21 giorni

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Per il film sui pastori piemontesi, era venuto il momento di raggiungere un pastore vagante, dopo aver seguito lo scorso anno tre pastori/famiglie in rappresentanza dei giovani pastori per scelta, dell’azienda di montagna e dei giovani allevatori per tradizione. Si continua a raccogliere testimonianze al fine di mostrare chi è oggi il pastore, come lavora, per contribuire alla corretta comunicazione, visto che sempre di più i messaggi che arrivano al grande pubblico sono parziali se non addirittura contenenti disinformazione.

E così eccoci nelle campagne del Canavese, anche per coprire un’altra area del Piemonte, dove la tradizione pastorale è sempre stata molto viva. Niente riprese in interni, avevo detto alla troupe, il pascolo vagante è 365 giorni all’anno all’aria aperta. Giovanni ed Elsa avevano acconsentito a farsi filmare. Con loro così incontreremo sia una coppia unita nella vita e nel lavoro, sia un pastore per il quale il mestiere si avvia a conclusione: “A meno che i nipoti…“, butta là Giovanni. “I figli hanno fatto altro, il maschio a 15 anni ha iniziato a lavorare in una boita, adesso è ben apprezzato dal suo padrone, la figlia fin da bambina aveva l’idea di fare la pettinatrice. Adesso però fa anche un corso da infermiera perchè, di questi tempi…“. Forse un po’ di rimpianto c’è, ma i genitori non hanno forzato i figli a seguire le loro orme.

Giovanni ed Elsa hanno fatto una colazione abbondante a casa, prima di raggiungere il gregge. Lui spesso, ancora oggi, trascorre le notti accanto a recinto. Ci racconta di aver subito dei furti: reti, batterie. “Hanno tolto le reti con le pecore dentro, per fortuna non è successo niente!!“. Ci sono alcune capre da mungere (per i cani) o da far succhiare agli agnelli, poi si potrà andare al pascolo, anche se quest’anno la primavera tardiva fa sentire i suoi effetti in modo preoccupante.

Mentre Giovanni prepara l’asino, inizia a raccontare la sua vita. Già la sua famiglia allevava animali e lui è stato portato in alpeggio a 21 giorni di vita. Una volta si girava ad ampio raggio, la Val d’Aosta era la meta di alpeggio, mentre con il gregge ci si spingeva fin verso Valenza Po. “Sono 51 anni che faccio questo mestiere con le pecore, ero partito con un pastore, solo che era uno che beveva… Ne ho passate di tutti i colori, anche problemi di salute, sia da giovane, sia negli ultimi anni, ma non le ho mai abbandonate, le pecore! Un anno ho avuto il tifo, non volevo andare a casa, poi però il mio socio ha visto che camminavo e cadevo, così ha chiamato mio padre che mi venisse a prendere.

Cinquant’anni fa giusti aveva fatto una primavera come questa, con la neve che cadeva ancora al mese di marzo. Adesso non so più dove andare, nelle meliere c’è poco niente e nei pioppeti non c’è ancora nulla. Sto tenendo indietro i boschi perchè ho ancora un mese da far passare prima di spostarmi verso la montagna, ma un mese è lungo…“. E così il gregge temporeggia, il pastore lo sposta qua e là, per fortuna un contadino dice che può pascolare il prato adiacente, dove però l’erba è bassa e finisce in fretta.

Elsa è restia a farsi intervistare, ma chiacchierando fuori camera racconta molte cose interessanti sulla sua vita. Lei non ama la pastorizia, anzi! Solo che il marito da solo non può stare e allora lo aiuta quotidianamente. “Quando però devo andare a prendere i nipotini da scuola, parto, vado a casa, mi cambio, poi torno… La nipotina più grande viene su in montagna con noi, ma non sta sempre su, perchè dopo un po’ le manca la televisione…“, e ci mostra con orgoglio la foto di una bella bimba bionda. “Non ce la faccio più a far tutto, i lavori di casa, cucinare e poi venire qui. Solo che lui, se non ci fossi io, avrebbe già dovuto venderle. Non ha nemmeno la macchina… Dice sempre che le vende, ma non lo farà mai!“. “Eh, le venderà poi lei, quando non ci sono più io!“. I due coniugi si scambiano battute, ma il legame tra i due è visibilmente molto forte.

C’è da attraversare una strada molto trafficata, arriva anche Leo, il fratello di Giovanni. Questo è il pascolo vagante, il lento cammino di un gregge alla ricerca dei pascoli e la veloce corsa degli automobilisti che deve interrompersi per qualche breve istante. Poi il gregge sparisce di nuovo tra stoppie e, campi arati e pioppeti, invisibile ai più.

Una delle tanti greggi vaganti del Piemonte. “Ci sono diversi che girano qui, troppi per il territorio che abbiamo. Ma più che altro è il fatto che non c’è rispetto. Uno in particolare… Gli ho parlato, gli ho detto che nel tal posto pascolavo poi io, lui ha detto di sì, ma poi sono arrivato là ed era già tutto mangiato! Dove passa fa danni e mettono i divieti di pascolo, così poi sono guai per tutti! Io ho il mio giro, la gente mi conosce, così anche altri pastori, ma per uno o due che fanno danni, è un problema in generale. Io certe zone dove passavo non sono più andato per la vergogna dei danni che hanno fatto altri!


Pecore in città

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Fa notizia il fatto che, a Parigi, vi siano “pecore tagliaerba”, ma a Torino ormai questo è un fenomeno che si ripete. In questi giorni le ha viste un nostro amico e ci manda le foto, oltre alle “impressioni sul campo”

Oggi mentre tornavo da scuola in piazza Sofia (Torino) stavo correndo invano per prendere il pullman, caso strano mi giro e vedo un gregge che pascola … E’ come se avessi visto il paradiso, le pecore in Torino, erano le 4 e ho chiesto agli operai se si spostavano, ma mi hanno detto che sarebbero rimasti lì in zona, così ho deciso dopo mangiato di andare a far un salto in motorino. Le mie sensazioni erano misto gelosia (perchè c’erano capretti e agnellini e la mia prima nascita è tra 21 gg) e anche molta, moltissima passione che mi ha dato quell’energia per non abbandonare. Mentre le pecore erano lì tranquille a pascolare, c’erano decine e decine di bambini che giocavano e facevano foto, e la cosa che mi ha stupito di più sono state le persone dai palazzi a guardarle! ”

Però , come sempre c’è chi non apprezza e si infuria perchè la capra sta mangiando un rametto di un giardino pubblico… (e qui partono gli insulti verso i conducenti). Mi chiedo, in una zona di Torino dove c’è molta malavita, tutto è disordinato e sfasciato dagli zingari e poco in là le baraccopoli, la gente si attacca perchè una capra mangia un rametto non di proprietà??? boh…“.

Alberto ci dice ancora che il gregge arriva dalla collina di Torino e altre, dello stesso proprietario, sono ad Andezeno. Quindi, amici cittadini, se nei prossimi giorni sentirete la mancanza del blog, andate a cercare le pecore a Torino! Altrimenti, ascoltatemi in diretta martedì mattina, ore 9:00, su TV2000 (anche in streaming). Spero che poi il video possa essere anche visto successivamente on-line.


Intervista in TV e questioni di lupi

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Come sapete, sono stata a Roma per un’intervista in diretta su TV2000. Gentilmente, dalla redazione mi hanno preparato un sunto dei due interventi che ho fatto durante il programma e lo potete vedere qui.

E’ stata un’esperienza per me nuova. Le cose da dire erano tante, ma alla fine i tempi televisivi sono quelli che sono ed io non ero che uno tra gli ospiti della puntata, così rivedendomi vengono in mente tutte le cose che sarebbe stato bello poter dire. Inaspettatamente, l’intervistatore ha toccato anche il tema “lupo”. Non pensavo che in Lazio, dove dovrebbero essere più assuefatti al predatore, questa tematica destasse particolare interesse.

Purtroppo, rientrata a casa, ho scoperto questo articolo. O meglio, si tratta di una lettera scritta da una “collega” laureata in scienze forestali, che non ho il piacere di conoscere. “Non contiamoci balle, il lupo è l’ultimo dei problemi dei pastori“. Anche se lo scritto contiene delle sacrosante verità, come la denuncia delle speculazioni sui pascoli, la scorretta gestione degli alpeggi da parte di certi “allevatori”, tutte tematiche già trattate più volte su queste pagine virtuali, quello che irrita e non poco è questa frase: “E basta con questo antropocentrismo. I legittimi proprietari della montagna sono gli animali che ci vivono. Noi siamo solo usurpatori e sfruttatori.

Su quanto il lupo sia una problematica importante, abbiamo già parlato più volte e non starei a ripetermi elencando danni diretti ed indiretti, tra spese e mancati redditi, stress fisico e psicologico, ecc ecc ecc. Ma la collega dovrebbe aver studiato come me, oltre a zoologia, anche ecologia, zootecnia e alpicoltura. Non esiste un ambiente, in montagna, denominato “pascolo”? E, in quanto tale, non dovrebbe pertanto essere pascolato, per mantenere la sua biodiversità vegetale (ed animale)? Non sarebbe meglio puntare sulla corretta gestione dei pascoli, delle risorse alpine, così come anche della fauna selvatica, piuttosto che definire l’uomo usurpatore? Se così fosse, lo è anche della collina, della pianura, delle coste e del mare. Hanno usurpato la montagna, gli uomini che hanno costruito terrazzamenti, insediamenti alpini di rara bellezza, che hanno coltivato, pascolato, gestito il territorio? Non possiamo contrapporre allo scempio di certe infrastrutture “turistiche” una montagna senza uomini, abitata da lupi come sommo gradino della piramide alimentare. E’ un’utopia. L’uomo in montagna c’è, la politica deva aiutare quello che la montagna la gestisce e non la sfrutta, i contributi devono premiare quelli che producono qualità e non quantità e, se si vuole tutelare il lupo, quei sette milioni di euro (progetto WolfAlp, in istruttoria a Bruxelles, qui l’articolo che ha preceduto la lettera della dott.ssa Zerbetto) bisognerà investirli soprattutto per aiutare i veri pastori, quelli che sono costretti a vivere in quota per diversi mesi all’anno senza strutture abitative degne di questo nome, per assumere degli aiutanti pagati tramite il progetto, al fine di affiancarli agli allevatori, ecc. Veri indennizzi, vero aiuto agli allevatori, che altrimenti continueranno a sentirsi presi in giro.

Tra l’altro, i lupi stanno scendendo di quota e si stanno diffondendo. Mi sono giunte diverse segnalazioni che reputo attendibili di avvistamenti nel Pinerolese (Cantalupa, Cumiana) ed è stato registrato un attacco a San Damiano Macra. E’ un problema, non il primo, non l’ultimo, uno dei tanti da risolvere con fatti e non parole.


Appuntamenti con il libro

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Scusate amici, il gregge chiama, non ce la faccio ad aggiornare il blog… Molto rapidamente vi ricordo alcuni appuntamenti con “Di questo lavoro mi piace tutto”.

Domani, 12 aprile 2013, a Biella, presso La Bufarola a Cossilia San Grato, ore 21:00.

Il 20 aprile nel Canavese, a Sparone, nel Salone Polifunzionale, ore 21:00, organizzato dal CAI.

Il 21 torno nel Biellese, a Coggiola, per una presentazione pomeridiana, ore 17:00 nell’aula magna delle scuole.

Sempre al pomeriggio, alle 15:30 sarà a Cumiana, il mio paese, presso la Bibliteca Comunale, per un incontro a cura dell’Unitre.

Vi aspetto numerosi!!!!


La primavera all’improvviso

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Il 21 marzo è passato da un po’, ma nemmeno una settimana fa al mattino c’erano a volte due, a volte quattro gradi. Come vi ho già raccontato, i pastori stavano faticando molto, negli ultimi tempi. La fine di marzo e i primi di aprile solitamente sono quei periodi in cui si “tira il fiato” dopo le “ristrettezze” dell’inverno, invece quest’anno qualche pastore aveva dovuto addirittura “fermare” le pecore, alimentandole con foraggio secco, cosa che non era avvenuta nel corso di gennaio e febbraio.

Poco o nulla da pascolare, l’erba stentava a crescere, le piante erano spoglie, il sottobosco brullo ed il cielo continuava ad essere coperto. Non mancava l’umidità, visto che quasi quotidianamente cadeva qualche spruzzata di pioggia, oppure si verificavano giornate durante le quali l’ombrello rimaneva aperto per diverse ore. Però era soprattutto la mancanza di caldo a frenare la comparsa del verde, sui rami e a terra.

Toccava camminare, spostarsi qua e là, camminare e camminare per sfamare il gregge. Non è normale che accada, in aprile! “Consumano più in questi giorni che non d’inverno!“, esclama sconsolato il pastore, guardando i suoi animali. Anche gli agnelli nascono con condizioni non ottimali, sia per il clima, sia per la quantità di latte. Eppure non può mancare tanto, eppure prima o poi dovrà arrivare il caldo…

Nei prati pascolati oltre un mese prima non c’è l’atteso ricaccio, ma solo un verdino che il gregge ripulisce in poco tempo, senza saziarsi. Anzi, le pecore paiono ancora più nervose, come se quell’erbetta fresca non faccia che aumentare la loro fame e la loro voglia, finalmente, di saziarsi con un bel pascolo primaverile. Invece il cielo scurisce, le nuvole si abbassano e ricomincia a cadere qualche goccia di pioggia.

L’aria è fredda, tocca essere vestiti quasi come d’inverno, con quattro, cinque o più strati di maglie, camicie, giacche e impermeabili. Persino ancora il berretto in testa! Di prato in prato, viene sera. Riuscire a riempire le pecore è una faticaccia che comporta numerosi spostamenti tra pascoli non sempre vicini. E, se le pecore non sono “soddisfatte”, il pastore lo è ancor meno, quindi piuttosto si continua fino a tarda ora, finendo per tirare le reti del recinto quando è ormai notte.

Passa un giorno per così dire transitorio, intermedio, poi la mattina dopo di colpo… è primavera! Cos’è successo? Aria limpida, che via via si fa tiepida e poi persino calda, un calore che non ci si aspettava, senza mediazioni. Come se non avesse aspettato altro, la terra si trasforma a velocità accelerata, si colora, si apre alla stagione ritardataria. Fiori ovunque, api, uccelli che cantano e… finalmente l’erba!

Come ha fatto a venir su così in fretta? In due giorni si passa dal non riuscire a saziare il gregge ad avere le pecore che si fermano quasi “ingolfate” dall’erba! Ne mangiano fino ad avere la pancia gonfia, piena, stupite da quell’abbondanza che non vedevano da tempo. Finalmente andare al pascolo non è più una fatica, quando entri in un pezzo ci stai per un po’ e gli animali non vanno qua e là per vedere se oltre c’è ancora altro da mangiare.

Dopo qualche ora, con il sole sempre più caldo, succede persino di vedere animali che si coricano nell’erba non del tutto pascolata! Normale, certo, ma avevamo perso l’abitudine. E così adesso i giorni scivoleranno veloci verso il momento in cui si salirà nel fondovalle, preparandosi all’alpeggio. Le montagne sono ancora coperte di neve, ma questo calore la farà sciogliere e si prepareranno i primi pascoli in quota. Ci sono ancora tante cose da fare, prima fra tutte la tosatura: con questo caldo è più che mai necessaria, ma le squadre stanno già girando e presto tutte le greggi saranno spogliate della loro lana.


Cercando di dare meno fastidio possibile

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Pascolo vagante, spostarsi tutti i giorni, o quasi, alla ricerca di pascoli. Però poi ci sono quegli spostamenti più lunghi per andare da una zona di pascolo all’altra, oppure spostamenti più delicati perchè c’è da tagliare una strada trafficata o percorrerne un tratto, o ancora un ponte, un paese da attraversare. Certi giorni c’è tutto questo insieme…

Allora cerchi, per quanto possibile, di organizzarti e fare del tuo meglio. Solo che capita sempre l’imprevisto o la serie di imprevisti che mandano a monte parte dei programmi. Per esempio l’ora di partenza quasi mai è quella preventivata… Comunque, il ritardo quel giorno fa sì che le temperature si abbassino un po’ e le pecore mangino a volontà, così da essere “tranquille” mentre ci si sposta.

Ancora un’ultima sosta, per pascolare in una stoppia di mais e saziare il gregge. Dopo il cammino è insidioso, tra prati e campi di grano, dove animali affamati potrebbero fare danni se desiderosi di pascolare ancora. Intanto il tempo passa, il calore è meno intenso, si camminerà meglio. La strada con maggior traffico è già stata superata, tutto il resto del cammino sarà lungo vie secondarie.

Qui non c’è traffico automobilistico, il percorso è riservato ai mezzi agricoli, residenti e biciclette. Essendo nel fine settimana, di ciclisti ne incontriamo molti, però per fortuna i più sorridono, salutano e si godono lo spettacolo della transumanza. Certo, potevamo spostarci in settimana, ma ci sarebbe stato più traffico sulle strade principali e non solo di gente che “esce” per il weekend. Inoltre, sarebbe stato più difficile trovare persone che vengono ad aiutare.

Il sole cala verso le montagne, il gregge cammina ordinato, si riesce a fare la curva senza pestare i prati, segno che le pecore sono davvero sazie. Comunque, i pastori con i cani sono posizionati nei punti critici a sorvegliare. Non è “solo erba”, come potrebbe pensare qualcuno, ma è il lavoro del contadino e non bisogna danneggiarlo.

Il sole tramonta, ma c’è ancora un bel po’ di strada da percorrere. Rispetto all’anno precedente ci si porta un po’ più in là, sia per accorciare la tappa del giorno successivo, sia per fare un piacere ad un altro pastore, che ha chiesto di non toccargli il pascolo dove ci si era fermati un anno fa, così lui lì potrà fermare il suo gregge nei prossimi giorni.

E così viene notte. Si sale nel bosco quasi avvolti dall’oscurità, poi ci si affaccia sulla pianura ed è uno spettacolo vederla illuminata dalle luci dei paesi. Sarebbe una passeggiata romantica, non ci fosse il pensiero di tutte le cose che bisogna ancora fare prima di andare a letto per qualche ora di meritato riposo. Le auto, in testa e in coda, scortano il gregge per evitare spiacevoli incidenti con l’oscurità, anche se queste sono vie secondarie.

L’indomani si preferisce attendere per far pascolare il gregge, ma non troppo, perchè altrimenti il caldo sarà eccessivo. Inevitabilmente arriverà ad incombere sulla transumanza, ma più tardi si farà sentire, meglio sarà per uomini ed animali. Appena tutti gli aiutanti di giornata arrivano, si caricano gli agnelli più piccoli e ci si mette nuovamente in marcia.

C’è un po’ di tensione, questa volta sarà necessario percorrere un tratto più lungo in mezzo alla cittadina, sia perchè non si può tagliare fuori come d’inverno, quando non vi sono coltivazioni, sia a causa di un cancello che prima non c’era… Per fortuna alle 10:00 del mattino il traffico non è ancora eccessivo e tutto fila abbastanza liscio.

A differenza dell’andata, questa volta tutti rispettano il gregge e nessuno cerca di infilarsi tra gli animali. La preoccupazione è anche sempre rivolta ai cani, che si tengono ai lati del gregge per contenerlo, ma sono a forte rischio di essere investiti da qualche automobilista impaziente. Si tiene la mezzeria, ma è meglio quando le auto in direzione contraria attendono il passaggio di tutti gli animali, invece di procedere normalmente. Questo tratto non potrebbe essere percorso in un giorno feriale, la coda di auto e pullman che si verrebbe a formare sarebbe eccessiva!

Si abbandona la strada principale. Purtroppo quella che sarebbe stata una via più comoda, meno impegnativa e più rapida continua ad essere chiusa per lavori che vanno avanti da oltre un anno. Così ecco il gregge impegnato in difficili passaggi tra campi e prati, con i cani che faticano a contenerlo ed i pastori che si innervosiscono. Bisognerebbe camminare veloce, ma dietro la fila si allunga a dismisura, gli agnelli faticano, le pecore tornano indietro a chiamarli… In mezzo a questo momento delicato, sono tre ciclisti a creare confusione. Vogliono a tutti i costi superare il gregge, apostrofano i pastori in modo arrogante, chiedono di aprire loro un varco, spaventando le pecore, facendole andare verso il grano, verso i prati. Per fortuna siamo tutti così impegnati a mandare i cani e cercare di contenere il gregge che nessuno ha tempo e voglia di rispondere per le rime.

Una tappa per far pascolare il gregge, farlo riposare, mangiare anche noi un pranzo veloce, poi si riparte perchè c’è di nuovo da percorrere un pezzo di strada trafficata ed è meglio affrontarlo quando “la gente” è tutta seduta a tavola, anche in questa domenica di sole e leggera brezza. L’altro motivo di preoccupazione, lungo le strade, sono i diserbanti/disseccanti. Quando vedi la chiazza giallastra sai che il pericolo è lì, ma se invece è stato dato da poco… Bastano pochi morsi! Li vedi usare nei campi, li vedi usare dai cantonieri della Provincia, li vedi usare dal privato lungo il fosso, ma anche davanti al cancello di casa.

Non c’è più il problema del treno. Da quando la linea è stata dismessa, è finito l’incubo del riuscire ad essere in corrispondenza del passaggio a livello in un orario in cui sicuramente non passavano treni. Ora le sbarre sempre alzate non fanno più paura e il cammino procede spedito.

Dopo tanto asfalto sotto il sole del primo pomeriggio, una pausa refrigerante lungo il fiume. Gli animali bevono meno del previsto, ma comunque si riposano e cercano l’ombra. La meta finale si avvicina, ma allo stesso tempo sembra non arrivare mai. Buona parte dei punti critici sono stati superati, ma adesso il problema è la stanchezza degli animali. Non ci sono però altri posti per fermarli, così si deve per forza andare avanti.

Piccole tappe per pascolare, si attraversano paesi di campagna, inizi ad incontrare gente conosciuta, saluti, scambi una battuta. Qualcuno chiede se è già ora di salire in montagna, anche se all’orizzonte si stagliano le cime ancora completamente innevate. Non manca più tantissimo, ma almeno un mese di pianura sì…

Un altro paese, poi dalla pianura si inizia a salire verso le colline, l’ultima fatica per il gregge. Sono tutti stanchi, animali, uomini e pure i cani, eppure le pecore in prima fila “spingono” continuamente, vorrebbero superare i pastori ed andare oltre. Camminano a bocca aperta, ansimano, il calore nel gregge è soffocante, per fortuna presto sarà il momento di tosarle!

Si sale tra ville e boschetti, il gregge sembra sapere esattamente dove si trova, sa di essere quasi a destinazione e ritrova nuova forza, nuova determinazione nel camminare veloce. Solo nelle retrovie c’è invece chi fa più fatica, ma alla fine tutti arriveranno sani e salvi a destinazione.

Qui sarà possibile riposare, pascolare e abbeverarsi. Finalmente anche questa giornata è giunta al termine, senza grossi incidenti, allora si può tirare un sospiro di sollievo. Per riposarsi bisognerà ancora attendere qualche ora, ma d’ora in po’, per qualche giorno, non ci sarà più da fare lunghi cammini. Però ci saranno giornate forse anche più impegnative… La vita del pastore, quasi mai c’è tempo per riposarsi!



Anni fa mi sono deciso a far rivivere le stalle…

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Ogni tanto qualcuno mi chiede: “Come faccio per comparire sul blog?“. Semplice, scrivetemi e raccontatemi la vostra storia, mandatemi foto dei vostri animali, oppure chiedetemi di mandarvi delle domande a cui risponderete. Ovviamente, se non vi incontro di persona, non posso sapere se corrispondono a verità… ma io mi auguro sempre di sì! Recentemente ho saputo che una storia che avevo pubblicato su queste pagine ha avuto un finale inatteso, meno bello di quello che sembrava, e mi dispiace… Veniamo però a parlare di Gabriele.

Eccomi qui a raccontarti la mia storia, nella speranza che anche io possa dare a te e ai lettori un nutrito contributo alle nostre passioni. Come ti avevo detto sono un giovane ragazzo lodigiano, prima agricoltore e poi insegnante di lettere che ha sempre coltivato fin dalla più giovane età queste due passioni.
Provengo da una famiglia di insegnanti, anche se le origini sono contadine: infatti i nonni hanno sempre coltivato e allevato bovini da latte. La mia infanzia è passata sempre verso un incontenibile interesse verso gli animali più che la terra. Ho però anche studiato sempre perchè sono convinto che l’istruzione serve sempre. Ho fatto il liceo e dopo ho sentito che la facoltà di lettere era la mia strada. Appassionato di sia lettere classiche che moderne ho sempre anteposto gli studi a tutto. Ma ho sempre coltivato la mia seconda passione: l’allevamento.
Dopo l’università mi sono interessato della mia azienda agricola e diciamo che è stata veramente dura: la burocrazia in Italia è il mostro peggiore che credo, se non si abbia una passione innata, farebbe perdere ogni interesse…insomma avrei lasciato questa strada credo.

Invece con tanto impegno sono riuscito a sistemare esteriormente le strutture, la casa e anni fa mi sono deciso a far rivivere le stalle.
Ho deciso però di puntare su un piccolo allevamento di bovini autoctoni (brune alpine, grigio alpine, rendene, pontremolesi, varzesi e savoiarde), con duplice attitudine, e dedicarmi alla produzione di formaggi.


Ho però deciso di produrre formaggi di qualità sfruttando una bella amicizia con un ragazzo che abita a Ponte di Legno e che da generazioni produce un formaggio a mio avviso buonissimo: il Silter. Allora ho cominciato a spostare nel periodo estivo i miei bovini sulle montagne di Ponte di Legno e produrre formaggi d’alpeggio.

Ho sempre amato la montagna e sono sempre stato a contatto con animali. Passavo intere giornate nelle malghe e mi sono sempre letto ogni libro o articolo sui pastori e le loro tradizioni. Penso di avere esaurito le letture!
Dicevo che ho studiato lettere e come ti avevo spiegato alla mattina insegno (in un istituto tecnico a Lodi città). Il mio lavoro mattutino mi permette di gestirmi soprattutto nei periodi invernali. Ho un grande aiuto in azienda: è un signore che ha sempre lavorato in campagna e che mi aiuta nella gestione della stalla. Di lui ho sempre ammirato il suo sapere  ”naturale”, frutto di anni di esperienza. Siamo molto attenti agli animali e, credimi, nasce un feeling con loro che a volte stupisce fin me.


MI hai chiesto perchè non ho fatto l’allevatore a tempo pieno… Penso che mi sarebbe mancato il mio fedele libro. Io a scuola cerco di trasmettere tutto ciò che con fatica ho imparato. Ed è la sensazione più bella vedere che i ragazzi imparino ciò che gli trasmettiamo. Il nostro lavoro, indipendentemente dalle solite frasi costruite, è molto importante per una generazione che ha bisogno più che mai di essere guidata….
E io cerco sempre di inserire dei collegamenti con la vita rurale, con la vita a contatto con gli animali. La letteratura mi permette di fare molti collegamenti in merito… e credimi che loro rimangono molto affascinati… Anche se non diventeranno pastori io credo sia utile insegnare a loro un mondo che ormai è diventato cosi lontano dal vivere comune ma che consegna ancora tante emozioni a chi ne fa parte.

E arriviamo ai miei pavoni. Come ti ho detto il mio sito, http://www.cascinadeipavoni.it, fa riferimento a questi animali. Ne ho una settantina di tutte le qualità anche quelli bianchi. Nella mia azienda ci sono sempre stati fin dai tempi dei miei avi. E io ho voluto portare avanti questa tradizione. Diciamo che per me sono sacri. Spero che tu un giorno possa venire a vedere le loro bellissime code.

Aprile è arrivato e anche se la primavera si lascia molto desiderare gli animali già sentono il profumo dell’erba… e non vedo l’ora di potergli mettere i campanacci e farle pascolare sui prati verdi di montagna.
Ho molti progetti per il futuro: so che ci saranno tante difficoltà, ma spero di realizzarli presto… Sto per avere il marchio biologico dei miei formaggi. Io penso sia una strada per il futuro…

E ora la domanda più difficile che mi hai fatto: se è più difficile fare l’insegnante o il pastore; penso che la risposta più spontanea e anche la più vera sia questa: se ciò che si fa viene dal cuore e si ha tanta passione ogni difficoltà scompare. MA se dovessi obbligatoriamente scegliere direi che è più difficile fare l’insegnante. Oggi insegnare è dura e il mondo sta davvero cambiando.”

(Tutte le foto sono tratte dal sito dell’Azienda agricola Bordonazza)


Un po’ di notizie dal Nord Est

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Il mondo della pastorizia, fino a qualche anno fa sconosciuto ai più, diventa sempre più frequentemente “notizia”, nel bene e nel male. C’è chi ne parla con sorpresa, chi scivola nel luogo comune di quadretti naif, elementi di folklore, chi ne parla con passione e competenza e molto altro ancora.

(foto A.Malacarne)

Adolfo lo conosciamo, lui è un altro “malato” per la pastorizia. Qualche tempo fa mi ha inviato questa foto e così mi scrive: “…una foto del giovane pastore Emanuele Dal Molin, il più giovane di tre fratelli pastori (gli altri due sono Franco e Guglielmo) , discendenti da un’antica famiglia pastorale originaria dell’altopiano di Asiago. Emanuele, 18 anni, già da 3 anni conduce con tanta passione e con l’aiuto del padre Giancarlo, un bel gregge di pecore fra le montagne del Bellunese e le campagne del Veneto e del Friuli, dove lo ho raggiunto di recente ad Azzano Decimo (PN). E’ veramente bello vederlo impegnato ed entusiasta in mezzo al suo gregge,  orgoglioso e fiero come un pastore provetto.
A proposito di giovani promesse pastorali nel Triveneto, ti segnalo anche un interessante articolo di Paolo Rumiz, pubblicato su Repubblica lo scorso 2 dicembre e dal titolo:”Noi pastori per scelta”.

Purtroppo ci sono anche “brutte storie” da raccontare. Come quella della “guerra” tra certi Comuni e le greggi, giustificate dalle solite parole: “Sporcano, portano le zecche, ecc ecc…“. Non conosco quel territorio, ho letto sui vari articoli che da quelle parti passano numerose greggi, ma questo non è un motivo sufficiente per vietare il loro transito. Cosa succede lì? Anche qui, non lontano da dove abito, ci sono comuni allo sbocco delle valli dove, in primavera, ma soprattutto in autunno, transitano anche più di dieci greggi, quello con 200 capi e quello con 1000 e più, eppure per fortuna non c’è mai stato nessun amministratore con idee simili.

Ero ieri in Valle Orco, un paese di fondovalle poco sopra a Pont Canavese, dove anche quest’anno si sta già lavorando per preparare la prossima festa della transumanza, evento autunnale che saluta mandrie e greggi al rientro dai pascoli in quota, facendoli passare proprio nel centro del paese. Invece in Veneto sembra che le greggi facciano addirittura… franare gli argini? Posso arrivare a capire che il passaggio di più animali in uno stesso punto possa essere responsabile di danneggiamenti (penso per esempio ad un fosso tra due campi), ma lungo le strade o per gli argini? Non è addirittura positivo un pascolamento temporaneo (sono greggi di passaggio)? Scommetto che altrimenti questi spazi debbano essere ripuliti dall’erba alta con appositi macchinari. Adesso si parla di “corridoi verdi” per le pecore, vedremo come andrà a finire.

E’ finita molto male invece per queste pecore. La brutta me l’ha comunicata l’amico Loris e riguarda un pastore suo amico il cui gregge, mentre transitava per una “strada bianca”, è stato spaventato da alcuni cani e ben 162 animali sono precipitati, morendo. Un danno, una bruttissima esperienza, un dolore e un costo non indifferente per lo smaltimento delle carcasse.


Tosatura, che incubo!

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E’ la stagione della tosatura, solo che ormai non si tosa più come una volta… Molti pastori mi hanno raccontato della tosatura dei tempi andati: un giorno di festa, di incontro con la famiglia e gli amici. Oggi toso io e vengono altri a darmi una mano, domani rendo il favore all’amico che mi ha aiutato e così via.

Decisamente era troppo, il caldo arrivato all’improvviso. Non così anomalo per la stagione, ma dopo il freddo delle settimane precedenti, nessuno era pronto per un drastico sbalzo ai venti e più gradi che si erano registrati nelle ore centrali della giornata. Dalle giacche e maglioni alla canottiera, ma per le pecore non era così semplice “spogliarsi”. Però da giorni si parlava dell’arrivo dei tosatori. Ormai i pastori che hanno un gregge di qualche centinaio di capi ben di rado provvedono autonomamente a questa incombenza, quindi si rivolgono alle squadre di tosatori professionisti. Uomini (e qualche donna) di diverse origini: Nuova Zelanda, Francia, Spagna (quelli che ho incontrato fino ad ora), ma anche qualche Italiano (Lombardo, Veneto, Sardo). Spesso sono loro a farsi vivi, a contattare i pastori, sapendo chi c’è in zona, per organizzarsi il giro. Oppure sei tu che li chiami e solitamente il telefono suona, suona, suona… se ti va bene richiamano la sera, quando smettono di tosare e allora riprendono i contatti con il mondo.

Quest’anno da queste parti c’era una nuova squadra che girava, la solita era impegnata da altri pastori, sempre in Piemonte, ma non c’era verso di contattarla. Invece un amico chiama ed offre il contatto con i tosatori che stavano per arrivare da lui. Visto che è ora, si accetta volentieri, pur non conoscendo questi tosatori. Tutto è organizzato per un giorno, si cerca gente che venga ad aiutare, si inizia a preparare da mangiare, si fa la spesa, ma poi si slitta di uno, due, tre giorni addirittura, sempre nell’incertezza di quello che accadrà. Cambia anche il tempo ed i ritardi si accumulano. Inoltre, bisogna portare il gregge nel posto giusto, ma non troppo presto, altrimenti bruca tutta l’erba e non ne resta poi per quella giornata complicata e lunga in cui si tosa.

Finalmente arriva anche quel giorno. Ovviamente fa freddo, si intervallano momenti in cui l’acqua cade in scrosci violenti, l’unica fortuna è poter lavorare al coperto, anche se tutt’intorno il fango creato dalle pecore ammucchiate non è piacevole. Questa squadra (sono Polacchi) ha un metodo mai visto da queste parti. Le pecore non devono essere “tirate” (con minor dispendio di energie da parte di chi aiuta), ma vengono fatte entrare a gruppi in due recinti, di qui incanalate in un corridoio, per poi entrare in una gabbia chiusa, da cui ogni tosatore prende via via l’animale da tosare. Apparentemente meno faticoso per  gli amici venuti ad aiutare, ma un po’ più lento per le operazioni di tosatura.

La giornata di tosatura è lunga, i tosatori sono solo tre… Ma si vuole terminare ed alla fine ce la si farà, dopo molte molte ore. Le pecore, mai salite su di un camion, non vogliono entrare nel corridoio che porta al box, quindi si fatica non poco a farle avanzare ad una ad una. Altro che giornata di festa, c’è la musica che si sente appena, quella che i tosatori ascoltano per distarsi un po’ dal lavoro ripetitivo e faticoso, ci sono i continui belati di pecore ed agnelli che si cercano, ci sono le imprecazioni degli uomini, l’abbaiare dei cani… Una volta si tosava il giorno giusto, guardando la luna, guardando il tempo, la temperatura. Oggi, con le previsioni meteo attendibili, invece tocca farlo quando la squadra arriva, anche se la luna è sbagliata, tuona e fa freddo!


Restare in pianura

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Maggio, per molti il mese che inizia tra poco significa già transumanza, salita all’alpeggio. Sembra ieri che ci lamentavamo per la poca erba in pianura ed adesso già parliamo di andarcene a quote maggiori? Questa stagione è così, dopo l’inverno, all’improvviso si prende un ritmo frenetico e, di punto in bianco, bisogna iniziare a correre negli uffici per espletare tutte le pratiche necessarie per la transumanza, i vari spostamenti, ecc ecc. Sembra facile… Magari si dovesse solo guardare il meteo, per incamminarsi verso i monti, invece c’è da compilare carta su carta, fare code negli uffici, ASL, Comune, poi ancora ASL, poi… Perchè non può avvenire tutto per via telematica? Ma non è di questo che vi volevo parlare.

Dicevo, non manca molto al giorno in cui si inizierà a sentire il suono delle transumanze. Non per tutti, però! Leggevo ieri su Facebook l’amaro commento di chi quest’anno dovrà rimanere in pianura. Possibile che le problematiche si continui ad affrontarle a parole, ma poi queste si ripropongano immutate, di anno in anno? Sì, parlo delle speculazioni sugli alpeggi, quelle furbate per cui i pascoli finiscono nelle mani di chi le bestie non le ha… e nelle sue tasche finiscono anche i famigerati contributi! Le bestie che pascoleranno effettivamente saranno quelle di qualche poveraccio (qualche vero allevatore) che, pur di salire in alpe, si piega a questo meccanismo perverso e “presta” i suoi animali a chi ha affittato la terra.

L’allevatore che scriveva di dover rimanere in pianura con il gregge commenta così la faccenda: “C’è troppa gente che ci mangia sopra ed i contributi non vanno a chi ha gli animali, ma alle persone sbagliate poi succede che gli alpeggi sono vuoti“. Uno allora che fa? Resta giù o sale stipulando uno di quei contratti di “affida-pascolo”, cioè pascola per conto di altri, come dicevo. Succede a pastori, succede a margari e ne conosco tanti, in Piemonte, ma non solo. Cos’è stato fatto? Cosa si è fatto di concreto? Si è mosso qualcosa oppure no? Le cose vanno per le lunghe sul fronte piemontese, come potete leggere qui sul sito dell’Adialpi. In una recente riunione a Frabosa (CN), l’Assessore Sacchetto ha detto: “La Regione sta per approvare un Decreto per limitare tale fenomeno; le procedure sono lunghe ma entro metà anno dovrebbe entrare in vigore. Inoltre nella nuova PAC post-2013 aumenteranno i premi accoppiati e questo sicuramente tutelerà chi realmente lavora in agricoltura.”Il Presidente di Adialpi Dalmasso ha replicato: “Si sta tardando troppo per l’approvazione del decreto; ormai sono già stati fatti i bandi per l’affitto di molti alpeggi e gli speculatori continuano ad accaparrarsi i pascoli per utilizzarli ovviamente solo “sulla carta” ma sottraendoli di fatto ai veri margari.

La gente non “del mestiere” queste cose non le sa e trae conclusioni errate nel vedere alpeggi abbandonati, baite che crollano, pascoli non pascolati. Provando a guardare con gli occhi del profano, in effetti si rischia di capire ben poco e alimentare i luoghi comuni. Già, perchè secondo molti la baita malconcia, anche se abitata, è legata alla mancanza di cure dell’allevatore (senza sapere che è in affitto e non hai la garanzia di tornare l’anno seguente). Gli alpeggi vuoti sono tali perchè: “…non c’è più gente che vuol fare questo mestiere!“. Eppure io ricevo e-mail e messaggi di giovani (e non solo) che mi chiedono se so di qualche alpeggio libero, dato che non sanno dove e come trovarne uno per trascorrere l’estate con le loro bestie. Ecco le parole di un giovane margaro piemontese: “Adesso siamo di nuovo senza alpeggio! Sto cercando quasi ovunque, anche senza ettari (cioè senza affittare la terra a proprio nome, ndA), ma non ho ancora trovato niente.

Insomma, è davvero urgente fare qualcosa che vada oltre le parole. Ma c’è davvero l’interesse di farlo, o i contributi (le grosse somme, non quelle che finiscono nelle tasche del piccolo allevatore) fanno sì che anche ai piani alti, altissimi, dove si prendono le decisioni che riguardano l’economia globale, ci sia chi volutamente ignora margari e pastori, piccole entità fastidiose la cui scomparsa sposterebbe poco, a livello economico? Forse è così, ma sposterebbe molto, moltissimo per la montagna, un territorio già fragile ed in pericolo. Fin quando non si passerà a premiare la qualità, e non la quantità, io “la vedo male”. E voi?


Senza parole

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Di volta in volta, presentando “Di questo lavoro mi piace tutto”, racconto come sarebbe ormai necessario un seguito, perchè molte cose sono cambiate da quando ho raccolto le interviste tra la fine del 2010 e l’inizio del 2012. Ci sono coppie che hanno dato vita a delle famiglie, sono nati bambini e bambine a raccogliere l’eredità di un mestiere antico e appassionante, eredi “…a cui trasmettere tutto ciò che i nostri genitori hanno insegnato a noi…“, come raccontava una giovanissima allevatrice.

Ci sono società che si sono sciolte, perchè si può essere accomunati da una passione, da un lavoro, ma poi i fatti della vita posso dividere, anche drasticamente.

Ahimè c’è chi lotta con la malattia, perchè anche vivendo in montagna tra la stalla e i pascoli ci si può trovare ad affrontare dei brutti nemici che aggrediscono la salute.

Mai avrei pensato di venire a sapere, così all’improvviso, che un giovane intraprendente, pieno di sogni, di progetti, di voglia di fare, un giovane che aveva deciso di tornare alla montagna dopo aver iniziato altre strade che avrebbero potuto portarlo lontano… avesse compiuto una scelta di tutt’altro tipo, la più definitiva delle scelte. Non lo conoscevo bene, l’avevo incontrato solo quel giorno per l’intervista, conservavo un buon ricordo di lui e citavo il suo esempio ogni volta che mi capitava di presentare il libro al pubblico. Ciao Marco, chissà cosa ti ha portato a decidere così…


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