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Channel: Storie di pascolo vagante
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Si sta perdendo il buon contadino che fa i buoni prodotti

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Ancora a Roccaverano. Dopo aver pranzato (ed assaggiato anche una robiola), quel giorno mi sono spostata in una seconda azienda, la Cooperativa La Masca, dove ho incontrato Beatrice, Fabrizio e Marco. Sarà Fabrizio a curare le pubbliche relazioni e raccontarmi un po’ la loro storia.

Salgo e scendo sulle colline per raggiungere La Masca. “Abbiamo iniziato nel 2001, con le produzioni nel 2002. Non dovevamo “cambiare vita”, perché eravamo ventenni che dovevano iniziare. All’inizio eravamo in quattro, una ragazza però si è tolta. Il nostro nasce come progetto di agricoltura collettiva sostenibile in territori che si prestassero a queste attività. Poi abbiamo iniziato a ragionare sull’allevamento e abbiamo scelto le capre. Mio papà era originario di Roccaverano, io sto a Monastero Bormida. C’era il prodotto da valorizzare, in quegli anni si tornava a parlare di prodotto artigianale, la Robiola di Roccaverano è uno dei primi Presidi SlowFood.
La cooperativa è un’attività collettiva di agricoltura sostenibile legata al territorio. Marco educa asini per la trazione animale, poi abbiamo messo alberi da frutta. Io faccio parte dell’ARI, Associazione Rurale Italiana. L’obiettivo è lavorare sul territorio, per il territorio e avere prodotti legati alla sostenibilità. Lo stipendio è magrissimo, questo è un problema. I costi sono sempre più elevati, abbiamo fatto investimenti, ma soprattutto i costi burocratici e amministrativi sono un peso.

Fino al 1996 per la Robiola non c’era un disciplinare stretto come oggi. Quando siamo partiti, erano 25-30 che facevano la DOP, ma all’epoca era diverso, i bollini te li regalava la Comunità Montana. Come consorzio abbiamo poi deciso di rifare il disciplinare. Abbiamo lasciato che potesse essere un formaggio a latte misto, perché tradizionalmente nelle aziende si faceva con latte di capra, pecora e anche vacca. Abbiamo differenziato il “pura capra” e il “misto” (dove però deve esserci almeno il 50% di capra). Abbiamo scritto che le razze possono essere camosciate e roccaverano. Avessimo messo solo la Roccaverano, facevamo la fine del Murazzano, che per essere stati rigidi sulla pecora delle Langhe, adesso rischia di scomparire come formaggio.

Oltre al pascolo diamo granaglie, un mix che ci facciamo noi, granaglie intere OGM free. Il disciplinare del Roccaverano è ogm free. Il fieno lo prendiamo da un allevatore di pecore qui vicino.
Siamo partiti da 20 caprette, abbiamo allevato, abbiamo comprato da un’azienda che smetteva. I becchi li cambiamo dopo 3 anni. Non destagionalizziamo e lasciamo il capretto sotto la madre, facciamo monta naturale e non fecondazione artificiale.

Ci alterniamo nei lavori, tutti sanno fare tutto, anche se poi ciascuno ha il suo compito principale: Beatrice è segretaria d’azienda, quindi la contabilità la segue soprattutto lei, ma si occupa anche del caseificio. Marco si occupa molto della stalla, io delle vendite e dei rapporti con le amministrazioni. Al pascolo ci alterniamo, andiamo tutti. Andiamo fin quando si può, da Pasqua a novembre in maniera continuativa, poi come adesso che non c’è neve le facciamo comunque uscire un po’. C’è stata tanta siccità… poi piantano noccioli ovunque e diventa difficile trovare dove pascolare.

A me piace occuparmi di politiche agricole, perché si sta avendo una “desertificazione contadina”: aumentano le grandi produzioni, ma si perde il buon contadino che fa i buoni prodotti. Va bene il “custode del paesaggio”, ma non voglio essere stipendiato per fare il giardiniere. Io devo produrre un prodotto che mi venga pagato al suo giusto prezzo, poi con quello ti garantisco di gestire il paesaggio grazie al mio lavoro e ai miei animali. Portiamo noi i formaggi ai negozi. Il problema è soprattutto la carne. Il capretto è una carne buona, magra, saporita. Cerchiamo di valorizzare il progetto Capretto della Langa Astigiana, allevato a latte materno. Questa è la garanzia di qualità e anche del benessere dell’animale.
Siamo clienti di un macello, andiamo là, ci macella l’animale e poi noi possiamo tagliare la carne e preparare i pacchi, il privato così viene e si prende la carne, oppure il ristorante.  Adesso sono 3 anni che portiamo capre e qualche caprettone a far trasformare al salumificio di Moretta. Si ottengono prodotti ottimi, è una carne poco conosciuta. Li piazziamo con i gruppi di acquisto, perché se la gente non li assaggia prima, sono prodotti difficili da collocare.



Allevare capre non è un gioco

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Voi state aspettando il libro sulle capre, io sto aspettando che le mie capre partoriscano… Intanto rileggo per l’ultima volta le bozze, poi potrò dire all’editore che sono a buon punto e passerò alla scelta delle foto. Operazione non semplice, visto il numero di immagini nel mio archivio, ma meno impegnativa dello scrivere i capitoli. Deve ancora venirmi l’ispirazione per il titolo…

(foto M.Vigo)

(foto M.Vigo)

Intanto ecco un’altra delle appassionate che mi hanno inviato la loro storia, affinché la utilizzassi nel libro.

Mi chiamo Marta, ho 20 anni, abito nel comune di Ceranesi sulle alture di Genova. Ho un’azienda agricola di nome “Pilan” con una ventina di capre da latte e 3 mucche, sempre da latte. La mia prima capra si chiamava Isotta (Isi) un regalo per me e mio fratello da parte di mio padre. Ho anche altri animali (cavallo, pecore, asini, oche, galline, cani) per la fattoria didattica.

(foto M.Vigo)

(foto M.Vigo)

Ho scelto le capre perché sono animali molto intelligenti, simpatici ed affettuosi, specialmente le mie che sono cresciute a biberon di latte in polvere. Della capra mi affascina molto la sua furbizia.  Mungo e caseifico. Ho imparato a fare il formaggio ad Imperia nell’Azienda agricola Barbara Saltarini. La proprietaria, molto gentile, tramite uno stage mi ha trasmesso tutte le nozioni necessarie per fare tomini, stracchino, primo sale, ricotta, formaggette fresche o stagionate. Per adesso non vendo i miei formaggi, ma sto cercando di aprire un piccolo caseificio vicino alla mia stalla. L’azienda è mia e di mio fratello Marco (18 anni) . I miei genitori ci danno una GRANDE mano. Allevare capre non è un gioco. Sono molto impegnative, ma tenute nella maniera giusta ricambiano il lavoro a loro dedicato.

(foto M.Vigo)

(foto M.Vigo)

Pascolo all’aperto circa due ore al giorno. Alle capre fa piacere uscire dalla stalla e divorare tutti i germogli. Ed io le accompagno, insieme alla mia cucciola di border collie che per ora fa solo disastri! L’aspetto più piacevole è andare a pascolare nel bosco dove l’unico rumore sono i campanacci delle capre. Secondo me molti allevatori di capre sono donne perché la capra è un animale molto più gestibile rispetto ad una mucca per una donna!Mi rendo conto che la mia vita è cambiata quando (raramente) devo andare via di casa per qualche giorno e la prima domanda che faccio quando sento i miei è “le capre come stanno?


Ci va passione e pazienza, soprattutto nei momenti duri

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Cristina e Ivo li conosco di persona, ero stata da loro quando stavo realizzando il libro sui giovani allevatori “Di questo lavoro mi piace tutto”, ma lei mi ha mandato un contributo anche per quanto riguarda l’allevamento delle capre nella loro azienda. Lascio a loro la parola.

(foto C.Boggiatto)

(foto C.Boggiatto)

Viviamo a Sparone in provincia di Torino, abbiamo un allevamento di capre da latte, in totale sono 22 più nove capretti. Sono per lo più meticce, poi ci sono alcune saanen, alcune camosciate e fiurinà.
Ho scelto gli incroci perché sono più resistenti e si adattano di più al pascolo soprattutto in media/alta montagna.
Incrociando con le saanen si riesce ad ottenere un ottimo risultato sulla produzione di latte, ma allo stesso tempo hai degli animali più rustici che si adattano meglio al territorio.
La mia prima capra si chiamava Nicoletta e l’aveva comprata mio padre quando ero un bambino, purtroppo poi una mucca l’ha schiacciata.

(foto C.Boggiatto)

(foto C.Boggiatto)

Ho un allevamento di mucche per lo più valdostane e alcuni incroci da latte. Ho scelto di integrare la mia azienda con le capre un po’ per passione, un po’ perché il formaggio caprino era ricercato.
La capra è un animale socievole, molto gestibile, con il pregio che mangia in zone dove le mucche non si fermerebbero, ripuliscono il sottobosco e tutti i rovi e le piante che crescono intorno ai pascoli.
Non mi piace la loro testardaggine e il fatto che rosicchiano ogni cosa.
Sono degli animali molto tranquilli, socievoli e si affezionano molto a chi li accudisce.
Momenti difficili purtroppo ce ne sono sempre. Circa un anno fa ho dovuto dimezzare il numero da 40 a venti capi: alcune erano vecchie e i parti sono andati male o partorivano prima del tempo previsto o i capretti morivano. È stato un anno bruttissimo perché vedi i tuoi sforzi e il tuo lavoro andare in fumo, anche i veterinari non sapevano cosa dire, probabilmente era stato portato dal brutto tempo che c’era stato in estate (forti piogge e estate fredda).

(foto C.Boggiatto)

(foto C.Boggiatto)

Una scena che tutti dicono divertente (ma per me non lo è stato) risale a parecchi anni fa, una sera d’estate mi metto a mungere nel cortile all’aperto le capre, ad un certo punto il becco si è messo ad inseguirmi, probabilmente avevo toccato una capra in calore e a lui non era piaciuto, alla fine ho dovuto mungerla il mattino seguente.
Un altro aneddoto molto carino è vedere quando le mie due bimbe vogliono mungere, partono con il secchio in una mano e lo sgabello dall’altra, tutte decise, si avvicinano alle capre finché non riescono a fermarne una, poi si mettono lì e provano a mungere.

(foto C.Boggiatto)

(foto C.Boggiatto)

Mungo per la maggior parte dell’anno di solito da marzo fino ad inizio novembre. Lavoro il latte e produco delle forme di caprino, faccio anche del misto (50% capra, 50% vacca), sto anche provando a fare la ricotta di capra.
Per ora il formaggio lo vendiamo direttamente noi sui mercati, soprattutto nel circuito di Campagna Amica. I nostri prodotti saranno cari, ma non carissimi, bisogna pensare che sono produzioni di nicchia, fatti in modo artigianale, che purtroppo stanno scomparendo, non abbiamo più un mercato che tuteli i nostri prodotti e abbiamo purtroppo dei costi da sostenere. Se non c’è richiesta il prodotto si accumula, non avendo abbastanza spazio sei obbligato a svenderlo.
Sono dell’idea che il nostro paese sarebbe in grado di coprire tutte le richieste di latte, carne e formaggio, perché l’allevamento è sempre stato presente nella nostra tradizione fin dai tempi più antichi, importando dall’estero stiamo facendo morire la nostra terra, le nostre razze e le nostre tradizioni.

(foto C.Boggiatto)

(foto C.Boggiatto)

Il mondo dell’allevamento è cambiato profondamente, una volta si allevava per avere del cibo in tavola, ora esistono i piccoli appassionati che tengono le bestie per pura passione o bellezza, e aziende discretamente grandi che vanno dai trenta a più di 100 capi. Ora come ora se si vuole campare con l’allevamento bisogna produrre in quantità per poi vendere i tuoi prodotti e riuscire a ricavare i soldi per vivere. Invece una volta tutte le famiglie avevano due o tre capre o mucche con alcuni piccoli appezzamenti di terreno e in tutti i cortili non mancavano galline e conigli. Tutto questo permetteva alle famiglie di sfamarsi, ora non è più così. Ci sono meno aziende, ma con grandi dimensioni che producono per sé e per gli altri. Di sicuro l’allevamento non è più visto come fonte di cibo primario, ora tutti puntano a lavori d’ufficio o simili, dove a fine mese si prende lo stipendio, se fai l’allevatore non hai sempre la certezza di avere la solita resa tutti i mesi, ci sono imprevisti di vario genere e di sicuro non è un lavoro semplice perché ci devi essere 24 ore su 24, no ferie, no mutua, no festività. Diciamo che è un lavoro duro che molte persone non hanno idea di cosa voglia dire fare sacrifici e spaccarsi la schiena per tirare avanti. Ovviamente ci va passione e pazienza soprattutto nei momenti duri.
In più secondo me il mondo dell’allevamento non è sufficientemente valorizzato e purtroppo in molte occasioni viene pubblicizzato in maniera negativa. Non siamo tutti allevamenti intensivi dove le bestie vengono trattate come numeri e disprezzate, per noi non è così, hanno un nome, un carattere diverso e si cerca di aiutarle e rispettarle il più possibile. Una cosa sbagliata di cui si parla molto in questi tempi e che amareggia tutti è l’arrivo di latte e derivati dall’estero e quello che fa male è capire che alla gente non importa mangiare bene, mangiano qualsiasi porcheria senza guardare la qualità e la provenienza dei prodotti, basta che costino poco.

(foto C.Boggiatto)

(foto C.Boggiatto)

In azienda non sono da solo, mi aiuta la mia compagna Cristina Boggiatto, che da due anni si occupa a tempo pieno delle capre, poi mia madre e mia sorella si occupano dei mercati, e mio padre che mi aiuta con le mucche e in estate a fare il fieno. Io mi occupo per lo più delle vacche e nel periodo estivo, se non sono in alpeggio, do una mano a mio padre con il fieno.
Pascolo all’aperto da marzo a novembre, alcune volte anche parte di dicembre se il tempo permette.
Con le capre al pascolo sta soprattutto Cristina e sovente insieme ci son anche le nostre bimbe Gabriella (6 anni) e Elisa (3 anni). Di solito le capre pascolano 3-4 ore al giorno, mentre in alpeggio sono libere di pascolare tutto il giorno, tranne la sera che le chiudiamo nei recinti.

(foto C.Boggiatto)

(foto C.Boggiatto)

Avevo già un’azienda, quindi con le capre è solo aumentato un po’ il lavoro. Con i tempi che corrono non c’è niente di facile, la capra è un animale che si adatta molto al territorio, quando hai un po’ di pascoli e di bosco dove possono mangiare, sei quasi a posto, certo non puoi abbandonarle a sé stesse. Bisogna rifornirsi di fieno di secondo taglio per l’inverno, mettere in conto spese veterinarie, ma soprattutto bisogna avere passione e pazienza. Per noi le capre sul nostro territorio sono una risorsa perché ripuliscono i pascoli e tutti gli appezzamenti semi-abbandonati sulle rive dell’Orco che scorre proprio vicino a noi. Possono essere un problema se ci sono piante da frutta, perché ovviamente bisogna cercare di non fargli causare danni agli alberi. Non bisogna mai lasciarle incustodite, possono scappare in giardini o negli appezzamenti di terreno non nostro, tutto sta al nostro controllo diretto, bisogna sempre starci dietro.


Cosa ne pensate delle piste?

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Il post di oggi nasce sotto lo stimolo delle riflessioni di alcuni amici che, casualmente e senza conoscersi tra di loro, mi hanno scritto chiedendomi sia il mio punto di vista sia, più ampiamente, quello delle persone che, come loro, seguono questo blog (allevatori, appassionati di montagna, curiosi). L’argomento è quello delle piste agro-silvo-pastorali, in particolare quelle che raggiungono gli alpeggi. Forse ne ho già parlato in passato, ma riprendo volentieri la questione e vi sottoporrò anche un sondaggio.

(Val di Susa)

Avendo io frequentato la montagna sotto diversi aspetti (come semplice turista/escursionista/ciclista, ma avendo anche vissuto la vita d’alpeggio), proverò a dirvi cosa ne penso. In linea di massima sono favorevole alle piste che raggiungono gli alpeggi. Però… c’è una serie di considerazioni da fare, perché il discorso non può essere semplicemente liquidato con un sì o un no.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Prima di continuare con il mio punto di vista, vi inviterei a leggere, sul blog dei Camoscibianchi, la posizione di Werner Bätzing, un’analisi approfondita sulla situazione nelle Valli di Lanzo. “Per una gestione moderna e durevole delle Valli di Lanzo è necessario e irrinunciabile che frazioni, alpeggi e boschi siano raggiungibili con autoveicoli e piste, ma ciò non significa che, per questo motivo, ogni nuova pista agrosilvopastorale debba per forza essere costruita.” Condivido questo punto di vista, perché è inutile realizzare opere faraoniche, spesso anche mal fatte, laddove non ve ne sia la necessità o dove queste piste servono solo per “depredare” il territorio, senza portare alcun beneficio.

(Bassa Engadina)

(Bassa Engadina)

Non è detto che la pista debba per forza deturpare l’ambiente. Ovviamente, nel momento della sua realizzazione questa sarà una “ferita” nel paesaggio, ma occorre distinguere tra lavori ben fatti e scempi che permangono anche a distanza di anni. Il lavoro deve prevedere non soltanto la tracciatura del percorso, ma anche la manutenzione e la rinaturalizzazione del territorio circostante, con apposite opere.

(Madonna di Campiglio)

(Madonna di Campiglio)

Inutile tracciare delle “autostrade”: una pista che sale ad un alpeggio non sarà una strada trafficata. Anzi, a mio parere queste opere devono essere chiuse ai non aventi diritto (come peraltro già accade nella maggior parte dei casi). La pista serve a chi deve recarsi in alpeggio per lavoro, per portare o andare a prendere materiali, ecc. Verrà utilizzata anche dagli escursionisti a piedi e da chi pratica la mountain-bike. Nella documento che vi ho indicato prima, si parla della perdita/distruzione degli antichi percorsi preesistenti nel momento in cui vengono realizzate le piste.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

E’ vero, questo talvolta accade, anche perchè è inevitabile intersecare sentieri e mulattiere, però altre volte le antiche e le nuove vie hanno esigenze diverse di raggio e di pendenza, quindi si possono mantenere anche gli antichi percorsi. Sta poi al pubblico degli escursionisti scegliere quale seguire. Mi è già successo di vedere che, nel momento in cui c’è la pista, il sentiero viene quasi totalmente abbandonato, anche qualora sia stato mantenuto intatto.

(Engadina)

(Engadina)

Le piste “si vedono da lontano”. E’ vero, anche se ben fatte, specialmente nel primi anni, il loro tracciato può essere individuato anche a distanza. Lo ripeto, bisogna farle bene, senza che siano degli squarci nella montagna. Poi anche una strada asfaltata può divenire parte del paesaggio alpino. Non mi dite che non siete mai saliti in auto ad uno dei tanti passi alpini che ci permettono di passare in Francia, o non sognate guardando in TV i tornanti su cui si inerpicano i ciclisti durante il Giro d’Italia o il Tour de France.

(Val d'Aosta)

(Val d’Aosta)

Certo, potreste anche dire che quelle strade ormai ci sono e non occorre aprirne altre. Che i valloni “incontaminati” devono restare tali. Vero? Falso? Pensate all’ambiente o pensate a voi stessi quando fate un’affermazione di questo tipo? Salite sempre a piedi in montagna, o dove c’è una strada percorribile la utilizzate per avvicinarvi il più possibile alla partenza per la vostra meta?

(Valli di Lanzo)

(Valli di Lanzo)

Riporto ora la testimonianza di una delle persone che mi hanno stimolato queste riflessioni. Così scrive Gianni: “Avendo io vissuto l’infanzia in una frazione di montagna dove portavo gli zoccoli, per andare all’asilo ed a scuola mi facevo più di mezz’ora di mulattiera ripida, per lavarmi la faccia dovevo andare a prendere l’acqua alla fontana con i secchielli agganciati sul bastone a spalla, con la gerla portavo legna, erba, fieno e letame, sapevo mungere la mucca e le pecore ed ero molto in difficoltà con i miei compagni che giù in paese già andavano tranquillamente in bicicletta, mentre io sempre a piedi e quando finalmente dopo tante traversie anche alla mia frazione è giunta una pista, la nostra vita è decisamente cambiata in meglio. La pista era stata fatta bene e con i dovuti criteri poiché se non era così i montanari (cervello fino) non avrebbero mai accettato lavori improvvisati.
Trovo pertanto poco democratico il no assoluto ed intransigente contro le iniziative di miglioramento, avanzato da chi vorrebbe quelle zone destinate solo ed esclusivamente alla contemplazione ambientale, quale sfogo saltuario di evasione dalla città.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Sì alle piste fatte bene, piste fatte seguendo criteri ben precisi, piste utili, piste realizzate e utilizzate con buon senso. Potreste anche obiettare che le priorità sono altre, che vi sono migliaia di persone che abitano in luoghi dove la viabilità è danneggiata, strade a rischio di frane, strade crivellate dalle buche, che vengono percorse quotidianamente, mentre una pista per un alpeggio serve al massimo un paio di famiglie per pochi mesi all’anno. E’ vero, ma secondo me entrambe le cose sono necessarie, una non deve annullare l’altra. Prima di chiedervi il vostro punto di vista con un sondaggio, voglio ancora farvi riflettere su alcuni aspetti della vita d’alpeggio.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Non possiamo pretendere che nelle “terre alte”, molto alte in questo caso, si debba per forza continuare a vivere come uno o due secoli fa. Il mondo è cambiato, chi siamo noi per decidere che qualcuno invece debba rimanere indietro perché a noi non piacciono le piste? E poi comunque sono cambiate anche le esigenze e le modalità lavorative anche di chi pratica questo antico mestiere.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Non si può più scendere con il mulo, le tome e il burro nelle gerle come un tempo, l’asl avrebbe qualcosa da ridire in proposito! Asini e muli si usano ancora dove la strada non c’è per il giorno della transumanza, ma capirete anche voi che non possono sostituire completamente il bagagliaio di un fuoristrada. Poi oggigiorno anche il margaro o il pastore in alpeggio devono poter scendere in giornata, vuoi per motivi burocratici, vuoi per altre incombenze che cento anni fa non esistevano.

(Val Pellice)

(Val Pellice)

Può essere pittoresca una scena del genere, ma i diretti interessati ne farebbero anche a meno, se possibile. Pensate poi se quella transumanza avesse dovuto aver luogo in un giorno di maltempo! Le cose da portare in alpeggio e da riportare a valle a fine stagione sono molte, legate al mestiere e alla vita quotidiana dell’allevatore e della sua famiglia.

(Val Chiusella)

(Val Chiusella)

Già, la famiglia… Un tempo si saliva ad inizio stagione e si scendeva in autunno, uomini e bestie, tutti insieme. Oggi ci sono allevatori con mogli che fanno un altro mestiere e che raggiungono i mariti solo nel fine settimana. Salgono portando viveri freschi, vestiti puliti, le auto stipate di tutto quel che serve. Se non si può fare diversamente, ci si adatta e ci si sacrifica, ma ben venga la possibilità di fare una vita un leggermente migliore. Se si hanno dei figli giovani, magari hanno anche voglia di scendere una sera e incontrare gli amici, una volta terminati i lavori. Non pensiate che chi fa l’allevatore sia solo un sognatore filosofo votato alla solitudine, che tragga soddisfazioni sufficienti dallo stare con gli animali e dagli splendidi scenari che l’alpeggio offre!

(Val Chiusella)

(Val Chiusella)

Le piste servono a portare le attrezzature di cui non si può fare a meno: fili, picchetti e batterie, reti per le pecore, sale, cibo per i cani. Una volta come si faceva? Una volta c’erano meno animali, più gente e si lavorava diversamente. Provate a pensare che, al posto del filo e dei picchetti, c’erano anche bambini piccoli che andavano da soli al pascolo degli animali con un tozzo di pane duro in tasca o una fetta di polenta da far durare fino a sera.

(Val d'Aosta)

(Val d’Aosta)

Ci saranno alpeggi dove probabilmente mai verrà costruita una strada: perchè utilizzati per poche settimane all’anno, perchè lassù non si munge e caseifica, perchè tanto non c’è una famiglia, ma solo un operaio che sorveglia gli animali. Certi alpeggi verranno abbandonati, perchè non c’è la strada. E’ già successo: nei valloni più impervi, alle quote maggiori, vi sarà capitato di vedere alpeggi crollati e pascoli non più utilizzati.

(Valle Stura)

(Valle Stura)

Oppure, mancando una pista, quelle montagne verranno caricate con animali in asciutta, manze, vacche con vitelli lasciati incustoditi o soggetti a sorveglianza saltuaria da parte dell’allevatore o di un suo incaricato. Certamente, se viene realizzata una pista di servizio per l’alpeggio e se questo è comunale, il Comune può mettere nei regolamenti clausole ben precise, per esempio riguardo la manutenzione dei pascoli, il loro utilizzo, l’attività di caseificazione e così via. Insomma, richiedere che la montagna venga gestita opportunamente, sia una risorsa di cui può beneficiare anche il turista.

(Val d'Aosta)

(Val d’Aosta)

Ci saranno irriducibili che continueranno ad alpeggiare anche laddove non ci sono le strade, specialmente con greggi, come si è sempre fatto. Non che loro non abbiano esigenze, ma si sacrificheranno. Magari c’è anche qualche allevatore che preferisce così, quindi in quel caso il problema non si pone  e saranno tutti contenti, gli ambientalisti, i turisti, i pastori. Ma quanti ne conosciamo, di questi casi?

Ecco infine il sondaggio, potete dare risposte multiple. E’ solo un modo per capire come la pensate, poi ovviamente potete commentare sotto l’articolo per esprimere in maniera più approfondita le vostre opinioni.


I miei genitori mi hanno trasmesso questa passione

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Le bozze del libro sono sul tavolo dell’editore, o meglio, sono nel suo computer. Adesso mi dedico alla scelta delle foto, lavoro non da poco, visto l’immenso archivio che ho! Spero di potervi dare presto notizie rassicuranti sulla pubblicazione. Intanto, continuo a pubblicare le storie che ho ricevuto dal web. Nel caso di Davide, a dire il vero lo conosco anche personalmente, lui e la sua famiglia, avendoli incontrati più volte in occasione di rassegne e battaglie delle capre.

(foto D.Cattelino)

(foto D.Cattelino)

Abito nelle Valli di Lanzo, ho 20 capre e 20 pecore. Ho delle Valdostane (che porto alle battaglie delle capre), poi Fiurinà e Sanen, perché mi piacciono entrambe le razze. La mia prima capra è stata una capra Tibetana regalata da mio padre e mia madre (che anche loro insieme a mio fratello condividono questa mia passione) e avevo 12 anni. Oltre alle capre ho anche le pecore e qualche animale da cortile. Ho scelto le capre perché ho seguito le orme dei miei genitori che mi hanno trasmesso questa passione.

(foto D.Cattelino)

(foto D.Cattelino)

Della capra mi piace tutto, a parte quando scappano e mi fanno correre su per le montagne. La cosa più bella è stare al pascolo immerso nella natura. Le capre secondo me sono una gran risorsa perché mantengono il territorio pulito e in ordine. E’ un animale intelligente, furbo, affettuoso. I momenti più difficili incontrati in questi anni sono stati quando ho avuto una predazione da parte del lupo. Mi occupo io delle capre e, quando ce n’è bisogno, c’è anche la mia famiglia ad aiutarmi. Quando mi reco al lavoro e loro sono al pascolo le metto dentro al filar (le reti), quando invece sono a casa le pascolo in diverse zone sorvegliate da me e da Leda (il cane).

(foto D.Cattelino)

(foto D.Cattelino)

In questa immagine del 2015, a cui Davide tiene particolarmente, si vede tutta la famiglia alla premiazione della sua capra che, ad Usseglio, aveva conquistato il titolo di Regina. “Le mie giornate con le capre sono molto più piene ma molto più gratificanti. Se qualcuno mi dice che vuole inizare a tenere capre, gli rispondo che è una buona idea, però ci vuole molto impegno. Qui in valle ci sono diversi allevatori di capre, siamo in buoni rapporti, si organizzano le rassegne e le battaglie. Ogni capra ha un nome accuratamente scelto in base alla razza, al colore, alla simpatia e alla bellezza.


Emozioni

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Come molti di voi sapranno, dal novembre del 2015 sono anch’io “un’allevatrice”. Che parolona! Però le normative esigono che, indipendentemente dal numero di animali allevati, si seguano certe procedure. Così, prima di portarle a casa, ho dovuto ottenere un codice di stalla per la struttura che le avrebbe ricoverate, un numero identificativo del mio allevamento. Sta poi a me scegliere se averne due, dieci, cinquanta o più!

Le capre erano quattro, sono diventate cinque quest’autunno, grazie ad un regalo. Non sono per me un mestiere, sono un passatempo (un piacevole impegno!), una passione, una fonte di ispirazione letteraria e fotografica e molto altro ancora. Prendersi cura di qualsiasi animale insegna molte cose, aiuta a crescere, è uno stimolo in determinate situazioni. Ciascuno vive questa “esperienza” a modo suo, ma raccogliendo interviste e testimonianze per il mio prossimo libro, ho anche avuto modo di confrontare il mio rapporto con questi animali e quello delle persone che via via incontravo.

La scorsa settimana, esattamente nei giorni attesi, c’è stato il periodo dei parti. Erano tre le capre gravide, di cui due al primo parto. L’anno scorso invece solo una capra era gravida, mi aspettavo la nascita per una data e invece era avvenuta quasi una settimana prima, così me l’ero addirittura persa, ero arrivata a casa quando il capretto era già in piedi, quasi asciutto e con la pancia piena. Tutto bene, ma meglio essere presenti in questi momenti delicati! Nel caso della prima nata della stagione, la madre ha iniziato ad avere comportamenti “anomali” nel pomeriggio. Alla sera ancora nulla. Dopo un’ultima visita notturna in stalla sono andata a dormire, puntando la sveglia ben prima dell’alba. Sono arrivata al pelo per salvare questa piccolina, appena nata. Infatti la madre l’aveva appena partorita e stava cercando di ucciderla a testate. Ho dovuto allontanarla dopo averle pulito il muso per esser sicura che potesse respirare, poi ho spostato la madre, ho cercato di tranquillizzarla e, con molta attenzione, le ho fatto “accettare” il capretto. C’è voluto un po’ di tempo, ma finalmente ha smesso di picchiarlo ed ha iniziato a leccarlo. Oggi è la più amorevole delle madri.

Ciò comunque ha contribuito a rendermi più apprensiva in attesa dei due parti successivi, che erano previsti dopo alcuni giorni. Fortunatamente entrambi sono avvenuti nel primo pomeriggio. Un conto è leggere sui manuali, un conto è osservare dal vivo come si comporta la capra nelle ore precedenti. Non ha voluto seguire le altre al pascolo ed è tornata alla stalla. E’ entrata ed ha cominciato a scavare con le zampe una “tana” nelle foglie della lettiera. Poi comunque ogni animale ha il suo comportamento. Bisou ha partorito senza coricarsi, il capretto era molto grosso, così ho dovuto aiutarla.

Come tutti gli erbivori, che in natura devono essere in grado di sfuggire al più presto ai possibili predatori, stimolato dalle leccate della mamma, dopo poco tempo il capretto era già in piedi. E’ fondamentale che succhi il colostro già nelle prime ora di vita, sia perché è il primo alimento che gli darà forza ed energia, sia perché così assimilerà gli anticorpi che che costituiranno le sue difese immunitarie.

L’ultimo parto era previsto per il giorno dopo, e così è stato, nuovamente nel pomeriggio. Si trattava della capra più vecchia del gregge, in teoria quella per cui bisognava preoccuparsi meno rispetto alle primipare, invece ho dovuto chiamare un amico per aiutarmi. Il travaglio andava per le lunghe e temevo il capretto potesse essere mal posizionato o soffocare. Forse se l’avrebbe fatta da sola, alla fine, ma è stato meglio così. Anche in questo caso è nato un capretto grosso e… di un colore totalmente inaspettato! La mia stagione dei parti era quindi terminata e potevo iniziare a godermi i capretti. Non potevo però non pensare a chi di animali ne ha molti molti di più! La mole di lavoro, l’impegno, la stanchezza a fine giornata…

Per chi questo è un mestiere, c’è comunque l’attesa per il periodo delle nascite, ma le emozioni sono differenti. C’è chi non perde il legame con il singolo animale, chi vive con apprensione ogni singolo momento, poi con gioia, soddisfazione (o anche dolore e rabbia quando qualcosa non va per il verso giusto). Ovviamente io posso permettermi di godermi di più tutto il contorno. Nell’immagine vedete le due primipare, Chocolat e Bisou, che escono per la prima volta al pascolo insieme con i loro capretti. Si annusano, quasi debbano ristabilire i contatti e ridefinire le gerarchie.

Che dire poi delle “sorprese”? Conosci il colore delle mamme, sai qual era il becco… ma poi la genetica fa i suoi scherzi e nasce un capretto di un colore totalmente imprevedibile! Per chi alleva capre di razza, manca questo aspetto: le Saanen devono essere bianche, le Camosciate marroni con la striscia nera e così via. Con la Valdostana, le colorazioni del mantello sono quattro (castana, nera, serenata e cannellata), ma vi possono essere variazioni intermedie. Queste possono anche far escludere una capra da un’eventuale iscrizione al libro genealogico, ma non tutti puntano a questo obiettivo. Nel mio caso, quel che conta è la bellezza!

Parliamo poi del carattere. La capra, pur essendo un animale sociale che vive in gregge, soffre se costretta a stare da sola, ha comunque un suo carattere individuale ben marcato. Questo si è evidenziato in maniera particolare dopo il parto. Chocolat, che inizialmente voleva uccidere il suo capretto, adesso trascura la sua alimentazione al pascolo per non perdere mai d’occhio la piccola (che le da filo da torcere, essendo la più vivace e intraprendente del trio dei nuovi nati). Non la lascia mai sola, la controlla nei suoi giochi, la annusa, la lecca di continuo, la spinge con il muso. Guai se si allontana o se non la vede più. In quel caso, decide che il cane sia colpevole e lo insegue a gran carriera, lui fugge mugolando, mentre intanto la capretta dorme sotto una radice!

Hiver aveva già partorito altre volte: dov’era prima i capretti non venivano lasciati con le mamme tutto il tempo, ma solo per la poppata. Così lei non è particolarmente apprensiva o materna mentre è al pascolo. Quando le faccio uscire dalla stalla, lei va a cercare da mangiare. Solo quando è sazia allora può anche capitare che chiami la figlia. Questa così si trova a dover cercare compagnia altrove, ricevendo gran cornate dalle altre capre, che senza tanti complimenti, la scacciano in quanto la vedono come come una possibile ladra di latte destinato invece ai loro capretti. Nemmeno quando grida perché le fanno male sua madre si preoccupa di andarla a cercare. La povera Pastis segue me o il cane, ma comunque non resta mai indietro e, quando lo ritiene opportuno, sua madre la allatta senza farle mancare il cibo.

Per me il bello di avere le capre è anche poter godere di tutto questo. Emozioni, soddisfazioni, piacere personale, istanti di gioia e divertimento. Che dire del momento in cui Joli coeur si è prestata a fare la zia (lei quest’anno non ha partorito) ed ha sopportato per alcuni minuti i giochi e le capriole di Etoile sulla sua schiena? Ogni tanto si girava e si grattava con un corno la schiena, come se vi fosse stato un insetto fastidioso e non una capretta vivace.

Anche i capretti mostrano già i segni del loro carattere. Il maschio, Biscuit, mangia, dorme e ogni tanto gioca. Qui lui e Pastis stanno simulando una battaglia, a dimostrazione di come questo comportamento sia innato. Pastis sembra voler diventare una capra battagliera, aveva tre giorni di vita e già tirava indietro le orecchie, drizzava il pelo sulla schiena e affrontava il mio pugno come se si fosse trattato di un’avversaria. Meglio che non prenda troppo questo vizio con chi non è un suo simile, o potrebbe farmi passare dei guai dolorosi, quando sarà cresciuta!

Etoile ha l’argento vivo addosso. E’ la più dispettosa, giocherellona, salterina. Ogni rilievo è suo: un bidone, un tronco tagliato, un mucchio di terra, salta e corre fin quando non è stanca e allora si cerca un posto comodo e riparato dove dormire, con gran disperazione della mamma, come già detto. Con quel musetto non può non suscitare simpatia e pare aver capito di essere in un certo senso la preferita.

E così perché non approfittarne? Se io mi siedo a leggere mentre sono al pascolo, ecco che arriva di corsa e mi salta in braccio. Prima mi sale sulle spalle, mordicchia i capelli, annusa le orecchie, poi alla fine si accomoda in grembo e dormirebbe pure, non ci fosse la madre a belare e darle colpetti con il muso. Certo, le sto viziando, ma il bello è anche questo. Non terrei le capre, se non potessi passarci del tempo insieme in questo modo. Solo averle in stalla, andare mattino e sera a dar da mangiare in modo “meccanico” non fa per me. Le ho per godermele! Le capre sono animali che si prestano ad essere viziate e sono loro stesse a cercare il contatto con l’uomo. Meglio capre viziate e un po’ noiose, ma che si possono prendere in qualsiasi momento, per medicarle o per mungere, piuttosto che capre a cui non puoi nemmeno andar vicino in mezzo al gregge.

Ciascuno però resta al suo posto: non sono le grattatine ad un capretto a sovvertire l’ordine delle cose. Sono animali, dormono in stalla, mangiano fieno ed erba, vivono una vita da capre, mai mi porterei un capretto in casa (a meno di gravi problemi di tipo sanitario ed esigenze particolari). Sono capre e mi piace godermele come capre! Anche se non allevo capre come attività principale, so che verrà il momento in cui dovrò vendere degli esemplari: il maschio innanzitutto, spero di trovargli un posto come riproduttore in autunno, dopo la stagione d’alpeggio, altrimenti bisognerà castrarlo e poi macellarlo. Niente di sconvolgente, semplicemente uno degli aspetti dell’allevamento. Se non lo accettiamo, non dovremmo nemmeno iniziare ad allevare certi animali.


Le mie capre, oltre ad essere funzionali, sono esteticamente meravigliose

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Oggi vi racconto la storia di una mia quasi coetanea che molti di voi avranno “conosciuto” ieri, dato che è stata tra i protagonisti della puntata di Linea Verde del 26 febbraio. Isabella però mi aveva già scritto qualche tempo fa per “partecipare” al libro sulle capre con la sua esperienza. Perchè lei alleva capre, ma non solo.

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Abito in Calabria, in un pezzo di Sila che si chiama Jure Vetere a 1100 mt slm, in Provincia di Cosenza. Ho un allevamento estensivo di 150 capi di capre da latte, razza Nicastrese. E’ una razza autoctona del mio territorio e si adatta perfettamente alle caratteristiche impervie del luoghi dove vive. Riesce a produrre latte con caratteristiche organolettiche eccelse nutrendosi di solo pascolo, resistente alle malattie, ai climi rigidi invernali della Sila e si adatta benissimo anche al forti caldi estivi. Ha una buona produzione di latte anche senza l’aggiunta di mangimi, 2 litri al giorno, e i parti sono solitamente gemellari e trigemini. Allevo anche altri animali, tutte razze autoctone calabresi, Pecore Sciara detta anche Moscia di Calabria, Asini Calabresi, Vacche Podoliche, Cani da Pastore della Sila.

(foto I.Biafora)

(Pecora Sciara, foto I.Biafora)

Oltre ad essere un’allevatrice, sono un agronomo zoonomo, quindi è una scelta che ho fatto fin dai primi studi. Già da piccola sapevo che avrei fatto lo zoonomo. Ha influito in parte mio padre che iniziò per hobby ad allevare vacche da latte 40 anni fa, per cui fin da bambina ho avuto contatto stretto con natura ed animali.

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Ho scelto questo tipo di capre, per la loro adattabilità al territorio, perché producono a costo quasi zero, e per le caratteristiche eccelse del loro latte. Della capra apprezzo l’adattabilità ai terreni impervi e la capacità di alimentarsi dove nessun’altra specie domestica riesce. Così sfrutto al 100% il mio terreno di pascolo. È un animale di intelligenza superiore, nato per essere libero ed arrangiarsi in qualsiasi situazione, economico nel suo mantenimento e con produzioni in carne e latte qualitativamente più salubri, da un punto di vista nutrizionale, rispetto alle carni e ai latti delle altre specie zootecniche. Ovviamente parlando sempre di animali allevati al pascolo. Le carni e i latti derivanti da animali allevati in stalla con fieni acquistati e mangimi sono di qualità molto scadente.

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Forse una delle cose più belle è il fascino che ancora provo quando le guardo pascolare tutte in gruppo, tutte uguali, perfettamente in armonia con la bellezza del paesaggio silano, i suoni delle campane, i giochi sui massicci di granito, ed io resto incantata a guardarle come un bambino a cui si comprano per la prima volta i pesciolini nell’acquario. Vivo in un territorio particolarmente bello, la Sila, e le mie capre, oltre ad essere funzionali, sono esteticamente meravigliose. Difficile non rimanerne affascinato…

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Mungo sia la capre che le pecore e prossimamente anche le Podoliche. Il latte al momento viene venduto al caseifici della zona. Sto partecipando ad una pratica di PSR della Regione Calabria per chiudere la filiera del latte in Azienda con caseificio e spaccio aziendale. So già caseificare per diletto, l’ho sempre fatto perché l’ho sempre visto fare. Fin da piccola ho sempre frequentato i caseifici dove l’azienda versava il latte. Ho solitamente l’aiuto di un dipendente per quanto riguarda la mungitura e il periodo della fienagione. Io mi occupo di tutto il management aziendale, dai piani di selezione, la scelta delle colture dei seminativi, la commercializzazione e la gestione economica.

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Il terreno aziendale è tutto recintato, gli animali pascolano da soli con l’ausilio dei Cani da Pastore della Sila come deterrenza per il Lupo. Quello che più mi entusiasma è la selezione delle razze pure, la capacità di fare accoppiamenti che migliorano sia la morfologia che le produzioni, da tantissima soddisfazione. Inoltre è altrettanto soddisfacente riuscire a selezionare mantenendo la caratteristiche di rusticità che permettono di allevare con facilità queste razze calabresi.

(foto I.Biafora)

(foto I.Biafora)

Quello che veramente mi ha cambiato la vita è stato passare da un sistema d’allevamento intensivo di vacche da latte ad un allevamento estensivo della varie specie. Tutto è molto più facile, tutto costa di meno, ne ho guadagnato in serenità e tempo libero. Credo che negli ultimi anni, nonostante la crisi economica che ha completamente spezzato il due il mondo agricolo italiano, l’agricoltura in generale sia rimasto l’unico settore economico non saturo, per cui molti vi si stanno avvicinando vedendolo come una reale possibilità di guadagno. Quello che non mi convince in questo quadro è che, per fare agricoltura e allevamento, ci vuole prima di tutto tanta competenza e nessuna improvvisazione, perché è un mondo dove, anche se sembra tutto calcolato alla perfezione, 2+2 spesso non fa 4. E quando non fa 4 bisogna prima di tutto essere preparati psicologicamente. Ci vuole quindi tenacia, oltre che competenza. Non so se tutto questo ritorno alla terra di cui si sente tanto parlare sia reale o solo ‘’un’idea romantica’’


Un appuntamento ed una ricetta

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Dopo un periodo di stop, ecco che riprendono le serate di presentazione dei miei libri. Il primo appuntamento è per questo venerdì, 3 marzo.

Vi aspetto alle ore 21:00 presso la sede CAI di Coazze (TO) per raccontarvi le “Storie di pascolo vagante” e per chiacchierare di alpeggi, pastorizia e montagna.

Veniamo alla ricetta. Passato il Carnevale, iniziamo a pensare alla Pasqua. Così come una certa propaganda ignorante inizia a bersagliarci con foto fasulle di agnelli neonati strappati alle madri che li hanno appena partoriti (sic!), io inizio a proporre qualche ricetta con cui cucinare l’ottima carne ovicaprina, sia di agnello, sia di capretto. La premessa, come sempre d’obbligo, è quella di ricercare carne italiana, locale, meglio ancora riuscire ad accordarsi con l’allevatore per andare a ritirarla direttamente al macello.

Oggi vi presento un piatto dalla Sardegna. Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato a mettere insieme un buon numero di ricette a base di carne di capra/capretto per il mio futuro libro. Mattea Usai è una di loro, la ricetta è sua. Io l’ho sperimentata nella variante con l’agnello.

Capretto del Campidano

Ingredienti: carne di capretto mista, polpa e parti con osso; limoni; uova; cipolla; aglio; alloro; olio; sale.
Rosolare la carne in un tegame basso e largo con un velo di olio extra vergine di oliva. Tritare finemente una cipolla grossa e due o tre spicchi di aglio. Aggiungere alla carne rosolata alcune foglie di alloro e far stufare, senza farla colorire. Salare e mentre la cipolla appassisce spremere alcuni limoni in una ciotola e aggiungervi i soli rossi delle uova. Salare leggermente, amalgamare e tenere da parte. Rosolata la carne ed appassita la cipolla, coprire con acqua tiepida a filo. Chiudere con un coperchio e portare a cottura a fuoco basso. Tirar su la carne cotta con una schiumarola e tenerla in caldo. Far freddare il fondo. Filtrarlo e aggiungerlo all’insieme di uova e succo di limone. Assaggiare e regolare di sale e di succo di limone, che si deve sentire. Rimescolare bene. Al momento di andare in tavola rimettere la carne nel tegame e scaldarla per bene. Togliere dal fuoco e versarci sopra la miscela di uova, limone e fondo di cottura. Rimettere il tegame sul fornello a fuoco basso e non rimescolare ma solo scuotere il tegame. La salsa si addenserà piano piano nappando per bene la carne.
La ricetta può avere delle varianti. Al momento di aggiungere l’acqua o il brodo si possono aggiungere carciofi in quarti, oppure finocchietto selvatico antico o finocchi bianchi.

Io l’ho servita con un contorno di purè di patate, non avendo aggiunto alcuna verdura nella cottura con la carne. Buon appetito a tutti (la carne di agnello la si trova tutto l’anno, quella di capretto invece ha una reperibilità più stagionale, quindi generalmente la trovate soltanto a Pasqua).



Non riesco neanche a spiegarlo: è un amore troppo grande!

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Ancora un’intervista ricevuta via internet. Stavo però controllando sulle mappe e… penso che ci siano buone probabilità di conoscere Gloria molto presto, dato che mi hanno contattata da un paese vicino al suo per presentare i miei libri nel mese di aprile durante una manifestazione zootecnica che è in via di organizzazione. Ma veniamo alla storia, all’entusiasmo e alla grande passione di questa giovane amica.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Mi chiamo Gloria e sono del 1998. Vivo a Barchi in Val Trebbia tra Genova e Piacenza. Ho un piccolo allevamento di capre per passione ma mi piacerebbe continuare e riuscire ad avere un bel gregge. Adesso ne ho una quindicina, principalmente incroci, camosciate/saanen ma mi sto attivando per comprare qualche capra di razza. Mi piacerebbe avere delle Frise, Valdostane o delle Alpine. Queste perché sono molto belle, rustiche, e comunque si prestano ai miei territori.  La mia prima capra l’ho comprata nel 2011, si chiamava Polifema perché aveva un occhio solo. L’avevo presa per far compagnia al cavallo e da quel giorno è scattata la malattia. Qualche mese dopo ne avevo già un’altra e da lì in poi non mi sono più fermata.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

La passione per gli animali l’ho sempre avuta, sono il mio mondo, a partire dai cani, passando ai cavalli fino ad arrivare alle capre. La mia famiglia ha le bestie da generazioni, ce l’ho nel DNA! Io personalmente adesso ho solo le capre ma appena finisco la scuola ho intenzione di acquistare di nuovo i conigli e un cavallo. Mio zio invece ha un centinaio di vacche e una decina di cavalli.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Le capre le ho scelte perché sono delle bestie fantastiche: molto intelligenti ma anche dispettose… “O le ami o le odi” e io ho scelto la prima opzione. Il bello delle capre è che se riesci a farle affezionare a te, non ti lasciano più. Sono particolari, fanno un sacco di dispetti ma tengono anche puliti gli spinai e nessun animale pulisce come loro. Non riesco neanche a spiegarlo: è un amore troppo grande! L’unica cosa che non mi piace è l’odore del becco nel periodo del calore: quello proprio non lo sopporto.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

I momenti difficili capitano a chiunque. Ho avuto una capra morta di parto, una morsicata da una vipera, una uccisa dal lupo, un becco ammazzato da un montone, capretti vari ecc.  Inoltre non sono potuta andare in stalla per alcuni mesi per due operazioni al polso. Non mancano mai i compaesani che si lamentano giustamente per i danni e tanti altri avvenimenti, ma fa tutto parte del gioco, non si deve mai mollare!

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Le maggiori soddisfazioni me le hanno date le capre che ho comprato selvatiche e che dopo alcuni mesi sono diventate come cagnolini. La nascita dei capretti la considero la più grande emozione che io possa provare: è inspiegabile l’agitazione che hai prima di entrare in stalla quando sei nel periodo delle nascite.
Per adesso non mungo anche perchè sarebbe un impegno troppo grande per me che vado ancora a scuola, e arrivo a casa alle 16. Solo in estate se hanno troppo latte e il capretto non lo ciuccia tutto allora dopo averlo munto lo dò alla mia mamma o alla nonna che lo mischiano a quello delle vacche e fanno i caprini misti. Loro sono le incaricate a fare il formaggio infatti quello di vacca lo facciamo per tutto l’anno, insieme a ricotte e burro.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Siamo una grande famiglia! Mio zio e i miei cugini si occupano delle vacche e del fieno, mio papà fornisce i mezzi (ha un’impresa edile con trattori ecc.), la nonna e la mamma, come ho detto prima, fanno i formaggi e ora si sta appassionando alla caseificazione anche mia sorella mentre mio fratello che è ancora un po’ piccolino dà una mano a me, in stalla e nei recinti estivi. Infatti, in primavera e autunno le mollo al pomeriggio e ci sto dietro stando attenta che non combinino qualcuna delle loro mentre in estate le tengo nelle reti che sposto quasi tutte le settimane nelle sponde da pulire. Certe volte ci sto delle ore nel recinto con loro, mi siedo lì e le osservo semplicemente, per soddisfazione personale: mi piace guardarle mangiare e giocare con i capretti.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Quando finisco la scuola ho intenzione in estate di portarle su nei pascoli dove pascolano le vacche di mio zio e tenerle su per buona parte dell’anno. Sono ettari ed ettari di pascolo dove non basterebbero 500 capre per tenerli tutti puliti! Le aprirei al mattino e alla sera le rimetterei di nuovo dentro alla baracca che abbiamo su. Sono obbligata per colpa dei lupi. Ne girano molti dalle mie parti e farebbero un banchetto se le lasciassi libere di notte. Non posso neanche prendere i cani antilupo perché passano troppi turisti e si sa come andrebbe a finire.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Il mio punto di riferimento è il mio papà! E’ un uomo eccezionale e anche se non se ne occupa di prima persona mi dà consigli e mi aiuta soprattutto nel fornirmi le strutture. Quest’anno ad esempio, mi ha fatto una stalla nuova in modo da rendermi il più autonoma possibile. E’ il primo a darmi “un calcio nel culo” se ce n’è bisogno ma è anche il primo a darmi una mano.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Le capre, come tutte le altre bestie, sono una GRANDISSIMA risorsa! E va agevolata. Non di sicuro come fa lo Stato rendendoti la vita impossibile con tutta la burocrazia con cui ti fanno scontrare ogni giorno.  Molti allevatori di capre attualmente sono donne. Secondo me perchè sono animali facilmente gestibili al contrario delle vacche con cui magari serve più prestanza fisica, quindi si concentrano più su questo genere. A me personalmente le vacche non piacciono di per sé perchè sono più tonte rispetto alle capre. Da quando ho le capre la mia vita è più incasinata perchè naturalmente sono un impegno costante, ogni giorno dell’anno, sono un lavoro assicurato, anche quando vorresti non uscire di casa magari durante una nevicata o quando vorresti andartene in vacanza. Ma ho la fortuna di avere un sacco di persone su cui poter contare e qualche giorno libero riesco sempre ad averlo. Nonostante tutto ciò la mia vita è più ricca: ricca di emozioni, di risate, di orgoglio e anche di problemi ma ne vale pena!

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Se qualcuno mi dicesse che vorrebbe iniziare a tenere le capre sarei molto contenta. Mi piacerebbe molto avere qualcuno con cui parlarne e magari trattare qualche esemplare. Qui le abbiamo in pochissimi.
Il Mondo dell’allevamento, soprattutto in città, adesso è visto in modo molto superficiale, se non, purtroppo, trascurato del tutto. Vige un’ ignoranza generale da far gelare il sangue. Secondo i pensieri odierni, chi alleva è ignorante e sfigato. Il problema è che non capiscono che se tutti noi smettessimo il pianeta non potrebbe andare avanti. Ma vaglielo a spiegare a quei vegani mentecatti che spopolano su Facebook. E’ una battaglia persa! Certo è che se un giorno scoppierà qualcosa, noi sapremo sopravvivere, loro no.

(foto G.Pisotti)

(foto G.Pisotti)

Ogni mia capra ha un nome come lo hanno avuto tutte quelle che sono passate nella mia stalla. E’ una tradizione di famiglia: anche le vacche di mio zio hanno un nome e ne avrà avute quasi un migliaio in tutti questi anni. Certi nomi ti vengono d’istinto, in base alle caratteristiche dell’animale mentre per altri è più difficoltoso.
Il mio prossimo acquisto sarà il cane da pastore. Sogno di riuscire ad addestrarlo nei migliori dei modi ed essere un tutt’uno con lui e le capre. Oramai io ho un legame con gli animali. In qualsiasi parte del mondo io andrò loro saranno la prima cosa che noterò. Senza di loro, sono vuota. La passione non la puoi gestire, fa parte di te.


L’inverno, verso la fine

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E’ da molto tempo che non vi mostro foto di pecore… Domenica scorsa sono andata a trovare un pastore e poi, casualmente, ho incontrato un altro gregge. Anzi, a dire il vero ne ho visti diversi, lungo le strade che ho percorso.

Sono stata da Andrea. Quando sono arrivata, il gregge era ancora nel recinto. C’era odore di lana bagnata che asciugava al sole, dopo le forti piogge del giorno precedente.

I pastori stavano mangiando pranzo nella roulotte, anche se erano le 10 del mattino. I cani aspettavano pazienti, i cuccioli invece non perdevano d’occhio la porta, caso mai venisse gettato fuori qualcosa per loro. Pranzo in mattinata, poi si apre il recinto e si parte al pascolo, una volta che le reti sono aperte, non c’è più modo di fermarsi a mangiare con calma, meglio farlo da seduti, nella roulotte, mangiando qualcosa di caldo, piuttosto che un pezzo di pane e salame tirato fuori dal gilè.

Con Andrea quest’anno c’è Michael, che da tempo coltivava il sogno di fare questa vita, questo mestiere. Mentre ancora andava a scuola, quando riusciva andava ora da questo, ora da quel pastore, ma adesso eccolo qui a tempo pieno, mi racconta che, nel gregge, ci sono alcune capre di sua proprietà.

E’ ora di partire e andare al pascolo. Due bambini, abitanti in qualcuna delle case vicine, già da un po’ aspettavano a poca distanza dal recinto, ansiosi di potersi unire al gregge e accompagnarlo nello spostamento.

Ci sono il cielo e i colori dell’inizio della primavera, ma in realtà questa è ancora la fine dell’inverno. Il verde che si vede qua e là è ancora poco, non sufficiente a sfamare il gregge, che deve passare da un pezzo all’altro prima di arrivare alla fine della giornata.

Le pecore si allargano in un incolto accanto alla strada. Di spazio ce n’è, ma non sarà questo pascolo sufficiente per arrivare alla sera. L’inverno non è stato dei più duri, neve n’è venuta poca, ma di erba non ce n’era molta. “E’ stato un inverno normale, ma eravamo abituati male da annate come quella scorsa, quando c’è sempre stata erba!

Andrea e Michael sono giovani, nessuno dei due è “nato” pastore, per entrambi si tratta di una scelta. Il pascolo vagante è un mestiere che conosce molte, moltissime difficoltà e problemi, ma c’è ancora chi decide di portare avanti questa tradizione, questa passione.

Sulla via del ritorno, nelle campagne c’è un gregge che avevo visto già al mattino: il recinto era proprio accanto al casello dell’autostrada. Provo a capire di chi si tratta, scatto una foto con lo zoom, riconosco la pastora, così mi rimetto gli scarponi e mi avvio a salutare.

Da quanti anni non incontravo Marie France e Natalino? Probabilmente una decina! Più volte avevo visto da lontano il loro gregge, lì nelle campagne del Canavese, ma sempre solo mentre passavo in auto sulle strade principali. E’ domenica e il pastore sta ascoltando la partita da una radiolina portatile appoggiata a terra tra le foglie secche.

Il gregge si deve spostare. L’inverno non è stato facile, nelle stoppie di mais a terra ce n’era ben poco e di erba ancora meno. Sono già passati più volte avanti e indietro negli stessi pezzi, nel corso della stagione. Altri pastori ancora adesso stanno dando fieno.

L’inverno è quasi alla fine, ma a volte sono proprio questi i giorni più duri. Sai che tra poco finalmente ci sarà erba dappertutto, per tutti, ma intanto le giornate sono lunghe e il gregge fatica a riempirsi la pancia.

I pastori conducono gli animali in un prato accanto all’autostrada. E’ verde, rispetto a tutto quello che c’è intorno, ma l’erba è ancora molto molto bassa. “Vieni poi a trovarci su in montagna!“. C’è ancora aria d’inverno, ma il pensiero è già ai mesi a venire, quando finalmente si tornerà in alta quota.

Ci saranno sempre più lupi, su. Ormai ce n’è ovunque anche in Val d’Aosta…“. In montagna adesso nevica ancora. La bella giornata primaverile del mattino ha cambiato faccia, l’aria è fredda, verso le valli già piove e nevica in quota. E’ la fine dell’inverno…


Le donne sono più adatte al rapporto con le capre perché hanno una sensibilità diversa

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Un post al femminile per l’8 marzo. Parlando di capre avrete già notato come tanti allevatori siano proprio donne. Le ragioni sono molteplici: è un animale più piccolo e più facilmente gestibile, è un animale che, con una certa impostazione aziendale, riesce a dare da vivere anche senza grossi numeri e grosse strutture, tra la capra e la donna c’è una certa affinità caratteriale (cosa confermata dalla maggioranza delle intervistate). La testimonianza di Mariagrazia è significativa anche in questo senso, ma soprattutto ho trovato importante il mondo in cui descrive il suo percorso di vita ed il cambiamento dei suoi punti di vista riguardo all’allevamento. La sua storia inoltre ha diverse analogie con quella di altre donne che ho intervistato: trasferirsi in montagna come scelta di vita, la decisione di allevare capre, il rimanere da sola a mandare avanti l’attività, con grande passione e determinazione.

(foto M.Arrighini)

Allevo capre Bionde dell’Adamello e ho scelto questa razza perché rustica, autoctona e bella. Non sapevo niente di capre e la mia scelta cadde sulla Bionda dell’Adamello perché mi piaceva esteticamente. Nel 2005 Claudio (allora mio compagno) ebbe l’idea di acquistare delle capre per tenere “pulito il prato”. Io avevo lasciato da poco il mio lavoro di optometrista e mi dedicai alla ricerca di queste capre. Nella ricerca mi si aprì un mondo a me completamente sconosciuto, conoscevo le capre solo come animale da compagnia per i cavalli, mi sono appassionata e abbiamo deciso di iniziare l’allevamento con 10 caprette e un becchetto. Ti lascio immaginare le scene con i biberon con le caprette che mi assalivano il fango a cui non ero assolutamente abituata, la preoccupazione di non essere in grado di occuparmi di queste creature poi, piano piano, frequentando corsi e confrontandomi con altri allevatori sono arrivata fino ad oggi e ancora ho molto da imparare, guai se non fosse così. Quello con le capre è un legame, ma non mi pesa. Nei miei primi 40 anni ho vissuto esperienze e visto posti, ora ho scelto di fermarmi e sentire. Nella stagione di asciutta mi posso permettere di frequentare corsi e allontanarmi per qualche ora e questo mi basta.

(foto M.Arrighini)

Ho tre cavalli che sono la mia passione da sempre (e poi con il fieno che mi sprecano le capre ci mantengo un cavallo). Le capre mi sono piaciute subito. Animale molto intelligente, ti mette alla prova ogni giorno è una sfida continua è affettuosa. Quando le porto al pascolo e le guardo, mi danno un senso di libertà, ribellione. Delle capre non mi piace la violenza con cui si picchiano, la legge del più forte è applicata senza pietà. Mi è capitato di trovare una capra morta per le botte ed è il dolore più grande perché sempre penso all’errore che posso aver fatto, una distrazione, una svista. I momenti difficili per me che non nasco in questo ambiente sono stati tanti, fin dal primo giorno. L’ inverno che è il periodo in cui le capre sono asciutte e non producono latte è il più duro perché non ci sono entrate ed è per questo che ho pensato di fare una linea di creme cosmetiche con il latte delle mie capre ma non è sufficiente.

(foto M.Arrighini)

Il momento più bello è il parto, un concentrato di gioia e dolore nello stesso tempo a volte questo perché vedi la nuova vita arrivare, alcune capre ti cercano come a chiedere assistenza, ma possono capitare complicazioni, morte della madre o del capretto, sofferenza. Non riesco a spiegare con le parole le emozioni che mi danno questi fatti, ma mi hanno aiutato a crescere, a prendere coscienza di alcune cose della vita. Ho imparato a conoscere meglio la natura e quanto possa essere generosa e crudele allo stesso tempo. Essendo nata e vissuta in città, avevo una visione disneyana della natura: tutto bello, a lieto fine, il cattivo soccombe sempre, Bambi che viene allevato dagli altri animali del bosco (ma quando mai!!). Invece no, non c’è un cattivo e un buono e se la mamma muore, muori anche tu perché nessun coniglietto ti allatterà. Quindi non mi stupisco quando le persone scelgono di essere “vegane” e vorrebbero salvare tutti gli animali del mondo, perché anche io ero così, e solo vivendo in mezzo agli animali ho capito che non avevo idea di cosa significa la legge della natura.

(foto M.Arrighini)

Mungo a mano e faccio il formaggio a latte crudo. Produco lattiche, stracchini e qualche stagionato. Vorrei trovare una buona cantina per fare l’erborinato. Vendo ai clienti che vengono in alpeggio e ai mercatini locali. Ho imparato seguendo i corsi organizzati dall’APA e sperimentando. In alpeggio le mie capre “si autogestiscono”, le accompagno al pascolo soltanto quando prendono la direzione che porterebbe al paese. Sono sempre libere e vengono alla baita per farsi mungere o quando piove. Quando scendiamo dall’alpeggio sono nel recinto e sfruttano il ricovero quando c’è brutto tempo. Qui le accompagno sempre al pascolo con la mia cagnolotta Nube.
Mi piace prendermi cura di loro singolarmente come il parto e la mungitura, si instaura un rapporto speciale. Credo che le donne siano più adatte al rapporto con le capre perché hanno una sensibilità diversa. Le capre sono ribelli, non bisogna prenderle con forza o gestirle come le vacche, hanno bisogno di metodi più convincenti, bisogna attirare la loro attenzione e farsi seguire, bisogna essere pazienti e gentili. Le mie 52 capre hanno tutte un nome e lo scelgo in base al mio gusto personale ma può cambiare se il carattere della capra lo richiede. Cerco di mantenere l’iniziale della madre in modo da avere le famiglie e mi aiuta a collegarle tra loro.

(foto M.Arrighini)

Sul territorio delle Pertiche non ci sono difficoltà per il pascolo perché ci sono tante aree abbandonate e le capre sono ben accette a patto che si chieda ai proprietari e non ci si avvicini alle baite che sono diventate ormai case di vacanza con giardinetti e così via. Indubbiamente la mia vita è completamente cambiata considerando che prima di avere le capre ero un Optometrista e avevo un negozio di ottica, vivevo in città e la montagna era solo quel posto dove si va a sciare. Ora con le capre ho conosciuto una vita nuova, talmente diversa che non so quando sarò sazia di questo, ho molto ancora da scoprire e da imparare da loro. Se qualcuno pensa di allevare capre, io lo incoraggio e cerco di dare il mio appoggio dove posso perché è un’esperienza bellissima.


Dopo tanti sacrifici, sono riuscito a realizzare il mio sogno

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Continuiamo il viaggio tra gli allevatori di capre. Fabio lo conosco da qualche anno, adesso ci racconta come è riuscito a realizzare il suo sogno di aprire una sua azienda agricola.

(foto F.Tonelli)

Vivo a Verrès, in Valle d’Aosta. Ho un allevamento di circa 50 capre da latte che, oltre ad essere una passione, sono anche fonte di sostentamento in quanto, dopo tanti sacrifici, sono riuscito finalmente a realizzare il mio sogno: aprire un’azienda agricola tutta mia. E’ stato piuttosto difficoltoso per diversi motivi. Sono orgoglioso di essermi costruito ciò che ho, partendo completamente da zero (non sono figlio d’arte, i miei genitori fanno tutt’altro) e fare di questa passione il mio lavoro! A parte la mia famiglia, non ho avuto aiuti da nessuno. Abbiamo fatto i salti mortali ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Allevo capre Camosciate delle Alpi. Prima di scegliere questa razza mi sono informato bene e ho visitato diverse aziende. Sono molto rinomate per la loro produzione di latte e sono una razza tutto sommato abbastanza rustica, che si adatta bene al nostro territorio, al clima e soprattutto rispecchiano il tipo di allevamento su cui volevo puntare io.

(foto F.Tonelli)

La mia prima capra l’ho avuta in regalo da mia nonna quando ero bambino. Era una capretta nana molto mansueta e graziosa con cui avevo instaurato un bellissimo rapporto: era la mia ombra, era come un cagnolino che mi seguiva ovunque andassi. Con il passare degli anni ho avuto la conferma che questa era la mia strada e ho così deciso di mettere anima e corpo per gli animali, dedicando la mia vita a loro e seguendo questo cammino, tanto pieno di sacrifici quanto ricco di soddisfazioni. Casa mia è uno zoo… Fin da bambino, grazie alla preziosa collaborazione dei miei genitori, ho avuto la fortuna di poter tenere una marea di animali. Ancora oggi, gli animali sono tanti! Alcuni sono solo da contorno e non c’entrano nulla con l’attività… Li ho perché mi piacciono, è più forte di me! Ho smesso di andare alle Fiere perché se no ogni volta arrivo a casa con qualcosa. Altri invece sono parte integrante dell’azienda come le mie galline “felici”. Le definisco così perché secondo me lo sono. Tante persone vengono a trovarmi per comprare le mie uova e mi fa piacere accontentare chi ama ancora i prodotti della terra, chi ci tiene a sapere cosa mangia e preferisce rifornirsi direttamente in azienda piuttosto che sugli scaffali della grande distribuzione.

(foto F.Tonelli)

Al contrario di quel che si possa pensare, le capre sono animali estremamente intelligenti! Le ho scelte perché fin da piccolo mi hanno incuriosito e appassionato… Inoltre, essendo solo a gestire l’azienda avevo bisogno di una tipologia di allevamento che mi permettesse di cavarmela con le mie forze e allo stesso tempo mi permettesse di guadagnarmi da vivere. E poi le capre… Non so nemmeno come spiegare, mi piacciono e basta! Della capra mi piace tutto! E’ un animale simpatico e intelligente, a tratti buffo. Le mie sono abituate al contatto con l’uomo perché mungendole mattino e sera sono domestiche. Non c’è bambino che venga a trovarmi che non resti contento di vederle. Sono graziose e mansuete, adorano le coccole e sono molto curiose.

(foto F.Tonelli)

Momenti difficili… Tanti, forse troppi! Credo che i momenti difficili servano a farti apprezzare quelli belli. E credo sia proprio in quei momenti che ti accorgi se questa è davvero la tua strada. E’ facile andare avanti quando tutto va bene, ma la vera forza sta nell’andare avanti anche quando le cose non vanno come vorresti! Un aneddoto che ricordo con piacere è successo quando ero piccolo ed ho visto per la prima volta come nascevano i capretti. E’ una cosa che mi è rimasta impressa, ogni volta mi emoziona. E’ sempre speciale vederli nascere. Ogni anno me ne nascono tantissimi, ma ogni volta è come la prima. E’ bello vederli nascere per poi essere accuditi dalla loro mamma, vederli alzare a fatica e dopo poche ore correre come matti nei box. E’ bello vederli crescere e diventare adulti per dire “ti ricordi quello com’era piccolo” oppure “questo è figlio della mia preferita” o ancora “la mamma di questo era un fenomeno”.

(foto F.Tonelli)

Per la mungitura ho costruito artigianalmente un palchetto sul quale faccio salire gli animali due volte al giorno. Ogni giro ce ne otto, sanno che una volta su trovano il mangime e quindi salgono volentieri. Vengono poi bloccate in maniera da poter essere munte. In questo modo ogni animale assume la giusta razione di mangime e viene munto bene e nel pulito. Il latte lo conferisco ad un caseificio qui vicino, di cui sono socio. Non lo lavoro in azienda principalmente perché non sarebbe fattibile come tempo. Lavorare il latte, produrre formaggi, seguirli e poi venderli mi occuperebbe un sacco di tempo, nel periodo in cui per altro ci sono tanti lavori da svolgere in campagna. Essendo solo diventerebbe complicato e rischierebbe di ripercuotersi sul prodotto finale, il formaggio appunto. E poi c’è da fare un discorso economico. Vendendo il latte, conferisco l’intera quantità che produco, non ho scarto e a fine mese arriva il bonifico. Un domani che i miei genitori saranno in pensione e potranno darmi una mano, chi lo sa, magari si potrà pensare ad un punto vendita. Ad oggi i miei genitori svolgono altri lavori e hanno una stabilità lavorativa che non metterei mai a rischio per farli venire in azienda con me! Operai non ne voglio, al giorno d’oggi non è facile. La maggior parte delle volte ti porti in casa persone demotivate che non hanno voglia di fare niente e pensano in un’azienda agricola si trascorra tutto il giorno a guardare gli animali che pascolano ma non è così! Quindi, meglio solo che male accompagnato!

(foto F.Tonelli)

Mi occupo della stalla e in estate, pur non avendo tanti terreni, faccio un po’ di fieno. Inoltre svolgo altre piccole attività annesse all’azienda che mi permettono di guadagnare qualcosa in più. Ho scelto di non pascolare più. Allevando capre destinate alla produzione di latte ci va un occhio di riguardo con l’alimentazione. Trovo che dando solo fieno si mantenga un prodotto regolare, sia come quantitativo sia a livello di analisi. Non avrei comunque abbastanza terreni e pensare di pascolare un periodo per poi ritirarle di nuovo a fieno e successivamente ri-pascolare sarebbe controproducente al massimo. Ho ridotto drasticamente parassitosi, mastiti e altre problematiche legate al pascolo. Le capre in inverno trascorrono alcuni mesi in stalla, hanno un box che permette loro di muoversi anche nei periodi più delicati come quelli del parto, di mangiare e di abbeverarsi quando vogliono attraverso l’uso di apposite mangiatoie e coppe. In estate hanno un recinto fisso e possono entrare o uscire dalla stalla a loro piacimento.

(foto F.Tonelli)

Secondo me le capre sono animali incantevoli. Sanno trasmettere tanto e sono in grado di percepire un sacco di cose sulla persona che hanno davanti. Sentono se hai paura, se sei intimorito da loro oppure se sei a tuo agio e si comportano di conseguenza. La mia vita è cambiata parecchio da quando ho le capre. Avendo molti animali da accudire non mi posso allontanare di casa. Le ferie sono ormai un ricordo lontano, da otto anni a questa parte non vado più in vacanza ma non mi pesa. Sono contento perché faccio un lavoro che mi piace e mi rende orgoglioso ogni giorno. Non rimpiango i sacrifici che faccio per i miei animali perché loro sono la mia vita, senza di loro non avrebbe senso stare al mondo, non mi immagino un futuro senza di loro. Con questo lavoro si sa, non si diventa ricchi. Personalmente penso che la ricchezza non sia solo quella economica. La vera ricchezza è la felicità. Se uno ha la salute e un po’ di felicità, ha tutto! Se qualcuno vuole iniziare con le capre gli direi di pensarci bene: se è davvero convinto fa bene! Gli animali riescono a trasmetterti tanto, a volte molto più delle persone.

(foto F.Tonelli)

Capre da compagnia, perché no! Per chi vuole tenere alcuni animali come hobby non mi sembra una cattiva idea, anzi. Gli animali sono davvero speciali e se uno ha il posto e il tempo per tenerli ben venga. Diversi studi hanno dimostrato l’importante aiuto svolto dagli animali nella vita dell’uomo. Molto diffusa recentemente la Pet Therapy, ovvero l’uso di animali per creare dei legami con pazienti in difficoltà come bambini disabili o anziani.
Dalle mie parti ci sono parecchi allevatori di capre. Con qualcuno è difficile andare d’accordo. Credo che vedere un ragazzo poco più che ventenne che si sta costruendo passo dopo passo un’azienda susciti un po’ di rivalità in qualcuno. Credo che un po’ di invidia sia dovuta al fatto che, tutto sommato, me la stia cavando benone! Va detto che la crisi che colpisce il settore agricolo certo non aiuta, anzi. Si sta creando una “guerra dei poveri” che in molti casi da vita ad atteggiamenti abbastanza spiacevoli. Ma non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, ci sono anche tante persone buone. Credo in questi momenti difficili sia meglio aiutarsi e sostenersi piuttosto che ostacolarsi il lavoro, già abbastanza duro di suo. Fortunatamente ho tanti amici in questo settore che la pensano come me, su cui so di poter contare.


Serata a Mezzenile

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ATTENZIONE! COMUNICAZIONE URGENTE! L’EVENTO è STATO RIMANDATO A DATA DA DESTINARSI!!!!

Un altro appuntamento per incontrarci, chiacchierare, vedere le mie immagini e ascoltare la presentazione dei miei libri. Questa volta il tutto può essere abbinato ad una cena.

L’appuntamento è per venerdì (17 marzo 2017) nelle Valli di Lanzo, a Mezzenile (TO) presso il ristorante I Sabbioni. Per la cena (ore 20:00) è gradita la prenotazione al 0123/581210. Per chi non riuscisse ad arrivare in tempo per la cena, è possibile partecipare anche solo alla presentazione del libro alle 21:00 circa.


Un fenomeno preoccupante

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Internet ha dato a tutti la possibilità di esprimere la propria opinione in modo globale. Mettere nero su bianco parole, pensieri, immagini, che restano lì, vengono letti, rilanciati, commentati. Può essere un bene, può essere un male. Bisognerebbe essere in grado di comprendere, bisognerebbe volersi documentare a fondo, ma spesso purtroppo non è così e si generano dei veri e propri mostri.

E’ da qualche giorno che mi chiedo se sia o meno opportuno scrivere questo post. Uso immagini dei miei animali, perché la persona di cui vi parlerò di problemi ne sta avendo già fin troppi. Una persona da me intervistata per il libro delle capre (se ricordo bene, mi aveva chiesto lei di inviarle il questionario per potermi raccontare la sua passione) ha avuto un’inattesa celebrità, seguita da risvolti tutt’altro che positivi. Dopo il mio post, è stata intervistata da un giornale locale, che ha narrato la sua bella storia: esempio ammirevole di giovane che, pur studiando, con sacrifici sceglie di rimanere nelle sue terre e mantenere vive le tradizioni grazie all’allevamento delle capre.

Il primo articolo era corretto, ben scritto. Poi però la “notizia” ha fatto strada e quella persona è stata intervistata da un giornale a tiratura più ampia, che invece ha dato un taglio diverso alla storia. Rileggendo l’articolo, mi sembra di cogliere un tono un po’ forzato da parte del giornalista, che enfatizza la figura della giovane “Heidi” a beneficio di un pubblico in cui vuole suscitare emozioni, più che non curiosità e voglia di conoscere. Sempre volutamente, viene posta la fatidica domanda sull’alimentazione: ci avviciniamo a Pasqua e si sa che, in questa stagione, è un argomento che “tira”.

Per di più l’intervistatore, nel suo pezzo, le mette in bocca delle parole che non sono mai state dette: “Sa che i capretti che nasceranno prima di Pasqua e saranno venduti, finiranno in pentola a rallegrare la festa di qualcuno. Lei stessa non è certo vegetariana ed è convinta che gli animali «sanno essere davvero cattivi pure loro e non in situazioni di pericolo. Anche tra loro ci sono i buoni e i fetenti. Però la vita qui regala cose che in città sono impensabili»“. Peccato che la frase sugli animali cattivi non sia sua, ma un commento di un’altra persona in una foto del suo profilo facebook. Se ci si rivolge ad un pubblico ampio, le cose vanno spiegate. Un tempo la gente sapeva che gli animali sanno essere “cattivi” (ma poi, cosa vuol dire? siamo NOI a stabilire i parametri di bontà e cattiveria, giustizia e ingiustizia): ormai non si conosce nemmeno il comportamento naturale del gatto domestico (avete mai visto un gatto giocare con una preda catturata? un topo o un uccellino??), figuriamoci la “cattiveria” di una capra contro un suo simile!

Ne parlavo ieri commentando la foto pubblicata da un amico: spiace tenere le capre legate in stalla, ma in certe situazioni è inevitabile. Anche la più affettuosa e coccolona (con me), può arrivare a ferire o ammazzare un suo simile in stalla. Il caso che commentavamo riguardava una capra che, saltando tutte le apposite protezioni, è andata nello spazio di un’altra capra: quest’ultima, per cercare di sfuggire all’assalto a suon di micidiali cornate della prima, si è rotta malamente una gamba. In un contesto come quello di un giornale letto da persone “non addette ai lavori”, o le cose si spiegano, o è meglio non dirle. Perché comunque l’argomento era già spinoso in partenza, avendo chiesto se era vegetariana. Non vedo il perché dell’aver posto la domanda. L’argomento, se lo si voleva affrontare, poteva essere fatto in un altro modo.

Se lo chiedessero a me, direi che Biscuit non potrà continuare la sua vita nel mio gregge. Quando scenderà dall’alpeggio, cercherò qualcuno che voglia acquistarlo come riproduttore. Se non troverò nessuno, verrà castrato e poi macellato. Non può rimanere nel gregge per questioni di consanguineità: si accoppiasse con le capre, vorrebbe dire sua madre, le sue sorelle, zie e cugine. I capretti che nascerebbero sarebbero più deboli, a rischio malformazioni, ecc ecc. E’ così, è l’allevamento, come è sempre stato da quando l’uomo ha smesso di essere un cacciatore-raccoglitore ed ha iniziato ad essere un agricoltore-allevatore.

Sappiamo bene come ci siano forme di allevamento più o meno rispettose delle necessità e del benessere degli animali. Se la nostra alimentazione comprende anche cibi di origine animale, standoci a cuore l’argomento, dovremmo cercare di acquistare solo quei prodotti (carne, latte, uova, trasformati) dei quali conosciamo l’origine e le modalità di allevamento. Se sono animali allevati al pascolo, animali che salgono in alpeggio, ecc., hanno condotto una vita conforme alle loro naturali necessità. Sicuramente più dell’agnello “salvato” e portato a spasso al guinzaglio con il cappottino per le vie di Trento!!

E qui veniamo al punto dolente… perchè l’agnello diventerà un montone, il dolce capretto tra le braccia dell’allevatrice diventerà un grosso becco… Ma certe cose ormai le sanno solo più quelli che hanno un contatto diretto con questi animali, li allevano con passione e con tutto il rispetto che si meritano, seguendo e rispettando le loro esigenze e la natura. Dispiace doversene separare, dispiace dover mandare al macello un capretto o una capra vecchia, ma è il normale ciclo delle cose quando si ha un allevamento. Altrimenti non si tengono animali. Inutile essere ipocriti. Siamo onnivori, non erbivori: per utilizzare certe sostanze, abbiamo bisogno dell’animale che le trasformi per noi. E’ sicuramente opportuno non eccedere nel consumo di carne e scegliere QUALE carne mangiare, possiamo anche farne a meno, optando per una dieta opportunamente bilanciata per non andare incontro a carenze e patologie. Ciascuno è libero di alimentarsi come meglio crede. Non ho problemi a confrontarmi e dialogare con un vegetariano o un vegano che, civilmente, mi spieghi le sue ragioni. Ma di qui a riversare un torrente di odio, fanatismo, assurdità raccapriccianti su una giovane appassionata che racconta la sua vita felice con le capre…

Perché è quello che è successo. Una persona sana di mente non credo possa pensare che io sia una potenziale assassina antropofaga se mi faccio fotografare mentre gioco con i miei capretti. Invece, in seguito all’articolo citato, sui social un’ondata inimmaginabile di odio si è riversata contro l’allevatrice. Minacce personali a lei, alla sua famiglia e al suo “allevamento”. Il mio invito è quello di non sottovalutare eccessivamente il fenomeno: i peggiori fanatismi inizialmente sono stati derisi, ma in seguito hanno portato a seri danni per l’umanità. Non sto esagerando: “Muori tu sgozzata. Amen”, “Un paese di 300 abitanti tutti consanguinei. Cosa vi aspettavate? Tutti ritardati depravati”, “abito anch’io in montagna in Alto Adige, come dappertutto anche in mezzo alla natura gli allevatori hanno il cuore chiuso e l’egoismo antropocentrico sviluppatissimo… gli animali sono come giocattoli per questa ragazzina superficiale come tante altre…”, “perché dare spazio ad una squilibrata che cerca visibilità?”, e via di seguito, centinaia e centinaia di commenti su toni ben più gravi di questi, dove arrivano a dire che lei sarebbe in grado di sgozzare il fidanzato dopo averlo abbracciato e altre amenità del genere. Che dire? Io sono senza parole. Profondamente preoccupata dall’esistenza di simili persone, veri fanatici pericolosi. Hanno scritto che andranno a “liberare quei poveri animali” (per farli andare dove? per farli sbranare dai lupi?? o preferirebbero metterne uno in ciascuno dei loro alloggi al terzo o quarto piano di un condominio???). Per fortuna che queste persone affermano che è l’alimentazione a base di carne a generare odio, cattiveria e violenza. Lo scollamento tra la realtà del mondo produttivo (agricoltura e allevamento) e i consumatori dei prodotti finali in molti casi è ormai un abisso apparentemente invalicabile. Storie che sarebbero da premiare vengono trattate un questo modo.

Cari giovani,giovanissimi, tutti che volete resistere in montagna allevando pecore, capre, razze in via di estinzione… figli, nipoti di allevatori, ma perché cercate visibilità in questo modo? Che foste squilibrati già lo si sapeva! Affrontate fatiche, sacrifici e spese, lavorate 365 giorni all’anno e nemmeno contate le ore di lavoro… ma andate tutti a fare un provino per un talent show, per un reality show!!!! …battute a parte… resistete… Chiudete la pagina su facebook dove vi si insulta e continuate a testa alta la vostra vita!!!


La capra è anche un messaggio politico che ci propone il recupero urgente della montagna

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Prima o poi spero di incontrare Ivo e la sua famiglia, per adesso ringrazio il mondo virtuale che ci ha mesi in contatto. Qualche tempo fa mi ha scritto, mandandomi il suo contributo per illustrarmi la sua storia, la sua realtà. Una bella storia, ma leggendo tra le righe possiamo anche intuire le fatiche e i sacrifici che permettono a questa azienda di esistere, affrontati grazie alla passione, alla forza della famiglia, alle idee e agli ideali.

(foto I.Boggione)

In mezzo all’attesa dei parti ho partorito anch’io una paginetta sulla mia esperienza con le capre, anche se magari non ti servirà un granché perché immagino che siano cose che un po’ tutti ti dicono delle capre…. comunque mi fa piacere condividere e confrontarci. Mi chiamo Ivo e vivo a San Benedetto Belbo, nel Sud del Piemonte, in Alta Langa, precisamente in Alta Valle Belbo.

(foto I.Boggione)

Le capre sono parte ormai della mia famiglia, del mio tempo, della mia vita… Addirittura credo che siano una proposta furba per il lavoro e per il futuro per tutti, nella direzione di un ritorno alla terra e alla famiglia contadina, e nella ricerca di un’armonia tra allevamento e agricoltura e di uno stile di vita sobrio e rispettoso. La mia attività principale è l’apicoltura, ma fin da ragazzo ho accresciuto l’interesse per l’allevamento e la pastorizia, ed in particolare per le capre. Al momento devo anche lavorare qualche ora fuori per motivi economici. Riesco a seguire un centinaio di alveari e, per ora, 20 capre. Non da solo ovviamente, ma con l’aiuto di mia moglie, che è davvero speciale… Sarà per le sue origini montane, infatti viene dalla Valle Varaita, o perché semplicemente essendo una donna ha una sensibilità, una cura ed una marcia in più a favore di tutto ciò che è vita, bellezza, semplicità e bontà. E poi le capre hanno bisogno di una famiglia più che di una stalla! E i miei bimbi sono forse i loro amici preferiti.

(foto I.Boggione)

Ivo scrive su facebook che, al momento, per i formaggi occorre ancora attendere, dato che il latte lo stanno mangiando i capretti... “Alleviamo capre meticce, incroci di alpina comune e camosciata; sono capre molto rustiche, che si adattano al pascolo estensivo integrale da Pasqua ai Natale, e che negli altri mesi riescono a tirare avanti con un buon fieno. Quando partoriscono, solitamente tra gennaio e febbraio, i capretti rimangono con le madri e imparano da loro. Ne vengono fuori delle capre piuttosto selvatiche, ma che crescono sane e robuste e soprattutto molto rustiche e capaci di adattarsi alle giornate di pascolo nei boschi.

(foto I.Boggione)

Da casa nostra in cima al paese, fino alla cima della collina verso Mombarcaro, da 20 anni ormai i terreni della valle sono stati abbandonati, essendo ripidi e terrazzati, ma sono il luogo ideale per le capre. Dobbiamo ringraziare tutta la gente del nostro paesello, che è contenta di vedere rivivere quei pendii sui quali avevano lavorato, sudato, cantato e pregato i loro nonni… e quante storie ci raccontano del passato… quando ci fermiamo dalla stradone a guardare la collina e i muri e i “ciabot” di pietra e i “crutin” che piano piano riemergono dai rovi e dalla boscaglia. Le capre così sono maestre di storia e ci danno una mano a farci rivedere il nostro passato; e credo che oggi ci diano una lezione sulla sobrietà dei nostri antenati e che ci invitino a fare come loro: ad accontentarci di poco, ad inerpicarci ostinati sulle difficoltà del cammino in salita, senza paura, e a portarci dietro con occhio vigile e premuroso i nostri piccoli, nella boscaglia, nella vita dura e vera. La capra è anche un messaggio politico che ci propone il recupero urgente della montagna e che grida il dovere di rispettare l’equilibrio e le regole della natura. La capra non consuma gasolio, ma produce e dà da mangiare. Ci dà un buon latte e ottimi formaggi, e anche un buon letame per concimare i terreni più comodi da coltivare per il grano, le verdure e la frutta.

I prodotti dell’azienda Bôgiôn cit li trovate presso di loro a San Benedetto Belbo o ai mercatini ai quali partecipano. Seguiteli su Facebook per maggiori informazioni.



La passione mi è stata trasmessa dal territorio

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Ancora una testimonianza di un allevatore di capre (ma non solo… non solo capre e non solo allevatore!) da altre parti d’Italia rispetto a quelle che sono solita frequentare. Purtroppo l’amico Rocco non mi ha mandato immagini dei suoi animali e della sua terra, quindi mi limiterò a riportare le sue parole, con qualche link per approfondimenti.

Vivo a Conversano, sono laureato in Scienze Naturali e sono un ricercatore precario all’università. Il mio allevamento è ad Altamura nell’area dell’Alta Murgia, Parco Nazionale dell’Alta Murgia – Puglia. Ho un allevamento di 150 capre di razza garganica. Questa razza è minacciata di estinzione e meglio si adatta all’habitat che caratterizza l’azienda, dove sono presenti su una superficie di 200 ha pascoli arborati e cespugliati.
Ad un certo punto ho cominciato ad allevare pecore di razza Gentile di Puglia e mancavano alcune capre, il gregge sembrava “lento”, ho acquistato quindi una decina di capre di razza jonica. La passione mi è stata trasmessa, e non tramandata, dal territorio, dalla storia del paesaggio e della gente che vive con gli animali, dalla cultura; inoltre, occupandomi di conservazione delle specie selvatiche e degli habitat riconosco nell’attività pastorale un ruolo chiave per il mantenimento i elevati livelli di biodiversità sempre se l’attività è oculata….
Allevo anche pecore di razza Gentile di Puglia e Altamurana, vacche podoliche allo stato brado.

Ho scelto le capre per diffondere un prodotto eccezionale come il latte e i suoi derivati, ricco di proprietà nobili e poi perché utilizzano a pieno l’habitat a loro disponibile.
Della capra mi piace la sua indipendenza e quel comportamento selvatico che io accomuno al camoscio. Non mi piace il fatto che sale sui muri di pietra a secco o su vecchie strutture di pietra facendole crollare. E’ un animale molto intelligente, ma è anche una preda.
Momenti difficili ce ne sono e ce ne saranno, penso che il momento più difficile è quando ti trovi di fronte ad un individuo deceduto o che non sta bene e devi fare di tutto per capire ed intervenire…

Quando un qualcosa vuole tempo affinché si realizzi, dalle mie parti si dice: “tempo e frasche (rami con foglie) vuole la capra”, anche la capra per partorire e fare il latte vuole il suo tempo.
Qui si produce yogurt e cacio ricotta. Il latte lo caseifica un casaro venendo in azienda 2-3 volte alla settimana. Vendo soprattutto tramite gruppi GAS e amici; l’azienda ha una convenzione con il dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Bari i cui ricercatori studiano i rapporti/interazioni tra pascolo e biodiversità descrivendo lo stato di conservazione e in particolare l’azienda cofinanzia il monitoraggio sul lupo, pertanto i prodotti si vendono perchè se acquisti questo prodotto contribuisci e partecipi allo studio e alla conservazione del lupo. Questa storia sta avendo un grande successo:W le capre e W i lupi e l’intera biodiversità legata ai sistemi pastorali.

C’è un operaio, il fieno lo compriamo. Ogni giorno fino al tramonto gli animali sono portati al pascolo e seguiti. Le capre, almeno dalla mia esperienza e rapporto, rispondono molto bene ai “comandi” durante il pascolamento, questo è molto importante soprattutto in un territorio dove ci sono altri confinanti che pascolano o coltivano. Le capre sono una risorsa per il territorio, ma sono un problema quando non gestisci il gregge non preoccupandoti dei cicli vegetazionali: il sovrapascolo è un problema per esempio.
Oggi ho l’impressione che oggi il rapporto con la campagna in generale tenda ad essere valorizzato ed diffuso. In generale però odio l’umanizzazione eccessiva degli animali. Gli animali vanno gestiti. Nella mia zona di solito le capre sono miste alle pecore e con numero molto inferiore (su 500 pecore ci sono 30 capre). Il mio allevamento è l’unico in zona ad avere 150 animali. Attualmente non è la mia prima fonte di reddito, ma spero un giorno di sì, mi piacerebbe dedicare ancora molto più tempo.


Otto montagne

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C’è un libro che dovete leggere, se non l’avete ancora fatto. La maggior parte dei libri che ho letto nella mia vita, li ho presi in biblioteca, perché se avessi dovuto acquistarli a questo punto avrei una casa con i muri fatti di volumi, talmente tanti sono i titoli che ho “divorato”. Raramente cerco un libro sulla base di recensioni, di solito mi affido al caso. Vado allo scaffale dei nuovi arrivi e mi lascio ispirare da qualcosa, una frase nella quarta di copertina, un titolo, la copertina stessa. Con “Le otto montagne” di Paolo Cognetti pensavo di leggere un romanzo “di montagna”.

Non pensavo però di trovare la “montagna” nell’accezione di chi vi sale in alpeggio con il bestiame. Montagna intesa come alpeggio, “lui la chiama così“, dice uno dei protagonisti. Ho letto le recensioni solo una volta terminata la lettura di questo meraviglioso libro, scritto con uno stile scorrevole, in grado di far rivivere (specialmente a chi la montagna la conosce bene) sensazioni, paesaggi, suoni, rumori e persino odori. Ero lì durante la mungitura, vedevo i momenti della lavorazione del latte, guardavo con tristezza l’alpeggio vuoto e abbandonato, le baite crollate, sentivo i campanacci.

Le recensioni sono tutte positive e al suo Autore, quasi mio coscritto, hanno portato un meritato successo. I posti di cui parla mi sono meno famigliari di altri, ma mi sembrava comunque di conoscerli. Ho poi cercato on-line i riferimenti ed ho scoperto di essere stata in alcuni di quei luighi, ma ho solo sfiorato il vallone in cui è ambientato il cuore del romanzo. Però non è quello il punto: in questa o in quella valle, io mi ci ritrovavo a camminare per quel sentiero. Vivevo il cambiamento delle stagioni, la transumanza verso l’alpeggio, i pascoli che via via vengono mangiati, l’ora speciale della sera, la mia preferita quando ero lassù, quella in cui il tempo si dilata, i suoni sono più profondi, c’è una pace che non ho mai ritrovato altrove.

Anche i protagonisti mi pareva già di averli incontrati, per lo meno quelli della montagna. Prevedevo le loro risposte, i loro comportamenti, il loro attaccamento a quelle baite, agli animali, al lavoro, ai luoghi di origine. Chi scrive le recensioni parla del rapporto padre-figlio, parla della montagna intesa come territorio, come scuola di vita, come luogo in cui ci si confronta con sé stessi meglio che non altrove. Tutto vero, e l’Autore è molto bravo a tratteggiare i suoi personaggi, il loro carattere, i conflitti interiori, la trama del romanzo.

Ma io mi sono soprattutto lasciata trasportare lassù (il lago non è questo, ma è poco lontano…) nelle quattro stagioni, specialmente quella estiva e quella autunnale, la salita in alpeggio quando ormai è tutto pascolato, bruciato dal gelo, con le fiamme dorate dei larici. L’aria che cambia dopo quel certo temporale, i raggi che si fanno obliqui… Certe descrizioni sono identiche nei miei occhi, nei miei ricordi, forse le ho già riportate da qualche parte anche nei miei libri o su queste pagine virtuali. Chi ha scritto “Le otto montagne”, la montagna la conosce bene, l’ha vissuta. Non è solo opera di fantasia, questo romanzo, ma… anche senza conoscere l’Autore, posso immaginare che nelle pagine della sua opera ci siano tante ore spese lassù, nella montagna dei pascoli, in quella del bosco e pure in quella più altra, delle pietraie e dei nevai.

Molte volte i libri “di montagna” hanno come protagonisti quelli che “vanno” in montagna. Qui invece c’è chi la abita chi la vive, chi cerca di resistere, chi vuole riportare in vita l’alpeggio abbandonato, sfalciare e pascolare i prati che altrimenti verrebbero invasi di cespugli e alberi.

Eccolo il torrente lungo cui giocavano i protagonisti, da bambini, torrente che cambierà, che si ingrosserà con le alluvioni, che verrà sfruttato dall’uomo per produrre energia. Ma che, in alto, continuerà a scorrere in mezzo a pascoli e rocce. Anche nel libro c’è qualche capra, che pascola incustodita alle alte quote… C’è la vita dell’alpe ritratta nella sua cruda realtà, senza eccessi di poesia. C’è il margaro che nasce con quella “malattia” e non potrà mai lasciare quel suo mondo, la sua montagna.

Leggete “Le otto montagne”, non rimarrete delusi. Scorre fluido come il torrente lungo il quale salirete e ridiscenderete molte volte con i protagonisti. E’ una bella storia, dura e spigolosa come i montanari, una storia che emoziona più volte, dall’inizio alla fine. Una storia che mi ha fatto riflettere anche su vicende personali. Una storia di territorio e radici, ma anche di valori antichi.  A me ha lasciato dentro un senso di malinconico struggimento, ma anche una gran voglia di andare a vedere quel vallone. Non chiedetemi dov’è… leggete il libro e provate anche voi a scoprirlo!


10 anni e allora…

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10 anni fa, 4 aprile 2007. Quasi non sapevo cosa fosse un blog. Volevo parlare del mondo dei pastori vaganti, volevo farli conoscere, soprattutto volevo comunicare al “mondo” alcune problematiche che affliggevano questa realtà. E così avevo aperto un blog… Le storie di pascolo vagante. Qui il primo post, poi tutti gli altri a seguire. 10 anni di riflessioni, storie, vita vissuta, immagini, interviste, contributi da parte di amici.

In questi 10 anni sono successe tante cose, mi sono successe tante cose. Da un paio di anni a questa parte avete ben visto come di pascolo vagante in senso stretto qui se ne parli sempre meno. Non è più il mondo con cui ho a che fare quotidianamente, la vita ha portato così. Resto più che mai a contatto con allevamento e allevatori, adesso ho “persino” un mio codice di stalla e un micro gregge di capre per passione personale. Però una serie di riflessioni ed eventi in questo momento mi dicono di sospendere queste pagine. Scusatemi, lo so che per molti erano un gradito appuntamento. Per coerenza però in questo momento ho deciso di chiudere. Non sono più le storie di pascolo vagante di 10 anni fa e non ho più stimoli e materiale per aggiornarle costantemente.

Le greggi continuano il loro cammino, bene o male. Certe mie amicizie tra i pastori continuano, erano iniziate già prima del blog. Altri pastori li ho persi di vista. Qualcuno non c’è più. Qualcuno ha smesso. Qualcun altro sta attraversando gravi difficoltà. Viene davvero da chiedersi… dove vai pastore? Nemmeno io so fino in fondo dove sto andando. Sicuramente continuerò a scrivere, idee in mente ne ho, tempo per sedermi e dedicarmici per più ore senza pensare ad altro un po’ meno. In autunno dovrebbe uscire il libro sulle capre, poi chissà. Magari tornerò a scrivere qui o forse lo farò altrove. Tutti coloro che sono su facebook, possono seguirmi lì per vedere immagini ed essere informati sugli appuntamenti, serate, ecc.

Chiudo con un pensiero speciale per un pastore in difficoltà, uno dei pastori che mi ha aperto le porte del pascolo vagante. Magari buone notizie sulla sua situazione mi sproneranno a ricominciare… Nel caso invece decidessi di aprire un nuovo sito, lo comunicherò anche qui. Per adesso comunque vi saluto. Sono stati dieci anni molto belli e il blog mi ha permesso di incontrare nuovi amici. Grazie davvero a tutti. Buon cammino.


Precisazioni

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A seguito delle decine e decine di commenti, messaggi e telefonate ricevute ieri, per dare una risposta chiara a tutti voi, ho deciso di scrivere ancora un ultimo post dopo quello in cui vi annunciavo la chiusura di questo blog. Innanzitutto, per chiusura intendo dire che non scriverò più nuovi post, ma ovviamente questi 10 anni, dal 2007 ad oggi, con tutti i testi, le foto e i video resteranno on-line.

Poi volevo rassicurare sulle mie condizioni di salute. Sto benissimo, anzi, oserei dire che la mia vita è in un periodo particolarmente felice. Inoltre, le voci sulla vendita delle mie capre sono solo uno scherzo, un pesce d’aprile. Loro restano con me, anche se ovviamente dovrò mandarle in guardia per la stagione estiva, di modo che possano pascolare in alta quota erba molto migliore di quella che troverebbero intorno a casa mia.

Inoltre, la chiusura di “Storie di pascolo vagante” non deve essere vista come una “sconfitta”. Non chiudo assolutamente perché mi senta sconfitta o perché l’argomento non mi interessi più. Continuerò a seguire le tracce del gregge, la passione c’è e resta dentro di me. Ma avrete ben visto anche voi come, negli ultimi tre anni, via via ho presentato sempre meno post aventi come argomento la pastorizia nomade. Quelle che vi raccontavo non erano più quindi storie di pascolo vagante. Erano altre cose.

Sono pienamente consapevole di come un blog sia qualcosa di consultabile, mentre facebook offre solo brevi istanti che si perdono rapidamente nella rete (gli album fotografici però sono visibili fin quando si vuole). Quello che ho scritto è che, nell’immediato, facebook servirà per tenersi informati specialmente sugli appuntamenti e… perché no, sulle novità anche riguardanti “le mie scritture”. Le storie di pascolo vagante ultimamente non mi soddisfacevano più, non avevo più lo stimolo giusto per scriverle. Quindi serve qualcosa di diverso. Stimoli intorno a me ne ho tantissimi, concedetemi una pausa per mettere insieme idee e pensieri, poi…

Qualcosa ci sarà di sicuro. Non un seguito, ma qualcosa di nuovo. I tempi cambiano, le idee maturano, si trasformano e si evolvono. A me non è mai piaciuto parlare di ciò che non conosco a fondo. Riportare notizie sul pascolo vagante per sentito dire non fa per me. Non sono più quotidianamente in quel mondo in prima persona, quindi non posso farvene una cronaca. Scrivere ho scritto tanto, cercate i miei libri se ancora non li avete, così potrete leggere i miei pensieri e vedere le mie foto!

Ci rivedremo sicuramente “altrove”. Se non siete su facebook, ogni tanto nei prossimi mesi fate un giro qui, magari ci sarà una sorpresa, un nuovo link su cui cliccare e nuove storie da scoprire. Come vi ho detto, le idee non mi mancano. Credo che uno scrittore debba scrivere per passione e non per obbligo. Capisco che ci si affezioni ad un filone, alle puntate di una serie, ma se chi scrive non riesce più a metterci dentro la passione, anche al lettore, al telespettatore, arriverà qualcosa in meno e alla fine un prodotto scadente cancellerà anni ed anni di pubblico fedele. Per questo ho detto basta. Ma prometto di “portarvi ancora con me”, specialmente in posti come questo. Se riuscite a leggere il messaggio contenuto in questa foto, avrete già capito cosa intendo dire. Altrimenti… portate pazienza qualche giorno, settimana, mese…


…e adesso potete seguirmi qui…

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